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A servizio di S. Matteo
Nel 1940 ritroviamo i due amici a S. Matteo, ma molte cose erano cambiate: p. Agostino era stato eletto ministro provinciale e Pasquale Soccio era al suo primo anno di insegnamento di storia e filosofia al Liceo Bonghi di Lucera. Il convento di S. Matteo, poi, non era più quello che aveva accolto Pasqualino nell’autunno del 1918. Erano stati fatti lavori importanti, la scuola di teologia era frequentata da dieci giovani frati guidati nello studio e nella vita da p. Doroteo Forte, guardiano e professore di teologia, p. Aurelio Porzio, maestro dei chierici e professore di sacra scrittura, p. Gerardo Di Lorenzo professore di filosofia e maestro di musica.
Anche la posizione giuridica del convento era stata risolta, probabilmente anche con la fattiva collaborazione di Pasquale Soccio.
Il 17 giugno del 1940 nello studio del notaio Massimo Tardio l’atto di donazione del convento alla Provincia Monastica di San Michele Arcangelo dei Frati Minori di Puglia e Molise da parte del Comune di San Marco in Lamia fu firmato dal podestà dott. Matteo Schiena e da p. Agostino Castrillo, testimoni furono i proff. Paglia e Pasquale Soccio.
Tra il 9-15 settembre 1940 si tenne a S. Matteo una settimana di studi pedagogici per i maestri dei chierici e i direttori dei Collegi Serafici. La settimana fu voluta da p. Agostino il quale coinvolse Soccio, già conosciuto come esperto di problemi pedagogici con i suoi stimati articoli pubblicati nella rivista I Diritti della Scuola. Nel breve saluto ai convegnisti il prof. Soccio affermò che occorreva riconoscere nel messaggio francescano, allora più che mai, non l’attualità ma la perennità.
Sulla perennità del messaggio francescano il prof. Soccio tornò quando, a conclusione della settimana di studi pedagogici, si tenne una solenne Accademia per celebrare la recente dichiarazione di S. Francesco a Patrono d’Italia. La figura del Santo nel suo storico rapporto con l’Italia venne sviluppata da p. Aurelio Porzio; p. Leonardo Jannacci parlò di S. Francesco poeta. Il prof. Soccio parlò del Motivo speculativo francescano nella filosofia di ogni tempo.
Rilevata la manchevolezza della ragione umana nella ricerca della verità, l’oratore consacrò l’inconfondibile caratteristica della scuola francescana fra le correnti di pensiero che si vennero determinando nel tempo … La filosofia francescana rispecchia la vita dell’Uomo Umbro Poverello. Come la vita di S. Francesco è un canto di amore alle creature tutte, così il motivo speculativo francescano ha questa nota dominante: l’amore.
Così riferisce il Messaggero del 2 ottobre 1940.
Sulla settimana scrissero diversi giornali: La Madonna del Pozzo, ottobre 1940; Il Messaggero, 2 ottobre 1940; L’Avvenire, 24 settembre 1940; L’Osservatore Romano, 23-24 settembre 1940.
Altro avvenimento importante del 1940 fu l’inaugurazione della biblioteca del convento. I 3.000 volumi del 1927, nel 1939 erano cresciuti con l’arrivo dei libri già del convento di Stignano. La biblioteca fu intitolata a p. Antonio M. Fania da Rignano Garganico. Il discorso inaugurale fu tenuto da p. Diomede Scaramuzzi, Capo dell’ufficio stampa dell’Ordine e noto studioso di francescanesimo. All’avvenimento era presente anche il prof. Pasquale Soccio il quale tanti anni dopo, nel 1979, intervenuto alla presentazione della biblioteca allestita negli attuali locali, con sorrisetto ammiccante si augurò che, dopo aver assistito a quelle del 1940 e del 1979, non gli accadesse di dover assistere a una terza inaugurazione!
Il 1940 per Pasquale Soccio fu l’inizio di un rapporto culturalmente qualificato con il convento di S. Matteo. Il suo nome era conosciuto e stimato. Amava lavorare senza clamori sviluppando rapporti di amicizia e di collaborazione che metteva generosamente a disposizione della fraternità di S. Matteo.
La sua grande capacità di costruire venne allo scoperto nel 1966 quando si cominciò a riflettere sul XIV centenario della fondazione dell’abbazia di San Giovanni in Lamis che l’opinione comune diceva che cadesse nel 1968. Insieme al prof. Tommaso Nardella e all’avvocato Berardino Tizzani, fu costruita una fitta rete di rapporti con la Società di Storia Patria per la Puglia, l’Università di Bari, la Biblioteca Provinciale di Foggia, studiosi e scrittori.
Il secondo grande avvenimento della storia culturale di S. Matteo fu il IV centenario dell’arrivo dei Frati Minori a S. Matteo. Pasquale Soccio e il suo amico Tommaso Nardella furono l’anima del triennio 1978-1980 in cui si celebrarono ben tre grandi convegni di studio sulla storia di S. Matteo, sull’archeologia del Gargano e sui Francescani in Capitanata con la partecipazione di specialisti provenienti da diverse Università. Di ogni convegno furono pubblicati gli atti. Fu pubblicata anche la monografia storica sul convento composta da p. Doroteo Forte, e le due monografie di Pasquale Soccio San Matteo Rupe, Riva di luce e San Giovanni in Lamis-San Marco in Lamis, origine e fine di un’abbazia, nascita di una città.
Questi due grandi avvenimenti aprirono per il convento di S. Matteo ampie prospettive in cui cultura e religione sono due nomi della stessa realtà in cammino.
Del resto, questo era il pensiero primigenio alla base dell’impegno culturale di Soccio con S. Matteo, espresso nella conferenza fatta nel 1940 nell’Accademia per celebrare la dichiarazione di S. Francesco a Patrono d’Italia.
S. Matteo che è in me
Con la sua presenza continua, discreta e rispettosa Pasquale Soccio esprimeva un profondo francescanesimo di tipo medievale, quasi fosse discepolo di Ruggero Bacone, di Guglielmo da Occam e di Giovanni Duns Scoto con la loro capacità speculativa, ma anche col realismo di chi è attento alle cose del mondo e alle evoluzioni della storia, proiettato verso un futuro lontano, pieno di umanità.
Perciò, introducendo il primo convegno di studi organizzato per ricordare il IV centenario della presenza dei frati a San Matteo, alla fraternità francescana e specialmente a p. Nicola De Michele si rivolgeva ringraziandoli per aver scelto un programma quanto più umile tanto più profondamente intelligente, quanto più modesto tanto più audacemente costruttivo, con l’intuizione costante di chi sa distinguere quanto c’è di transeunte e quanto c’è di duraturo.
Il duraturo si fonda sulla durezza del reale, il transeunte sulla vanità degli uomini.
Il transeunte e il duraturo sono stati sempre la croce e delizia di S. Matteo che nella storia è stato meta da raggiungere, realtà da comprendere e costruire con fatica, ma anche luogo in diversi sensi elevato che favorisce visibilità e lustro, solleticando vanità e interessi.
Questa considerazione ci introduce nel clima, fatto di mente, ma soprattutto di cuore, in cui Soccio, chiaramente vorrebbe vivere: oggetti reali, semplici e comprensibili,
scambiabili con persone ugualmente innamorate della vita.
Che cosa è San Matteo per noi? s’interroga nel primo capitolo di Materna Terra.
Dai Momenti di vita con p. Agostino Castrillo iniziati nel 1918, attraverso S. Matteo rupe riva di luce, fino al sereno “Commiato” di Materna terra del 1992, il filo della vita in Pasquale Soccio s’aggroviglia e prende forza dall’antico monastero di San Matteo. Egli ama la sua terra perché da essa si sente amato. La sua terra, poi, esprime il suo momento vitale nel convento di S. Matteo che lo impressiona col suo repentino, inarrestabile e solitario esplodere dal grigio inerte delle rocce calcinate dal sole, o dal verde intenso e compatto dei nuovi boschi. Del convento non saprai mai dove alla sapienza della natura s’innesti l’opera dell’uomo. Chi conosce a fondo la fisicità di San Matteo, sa bene quanto sia vera l’intuizione di Soccio.
S. Matteo rappresenta l’indomita forza come cifra con cui s’interpreta l’homo garganicus che raspa il terreno avaro con le sue mani adunche e ne trae il succo vitale.
Negli scritti di Soccio si susseguono immagini di antico sapore. San Matteo visto come “una grande nave ancorata saldamente a uno scoglio e nel vuoto; e così vince i marosi della storia” è un’immagine che riporta alla millenaria storia dell’umanità già descritta nelle drammatiche scene del diluvio biblico: l’arca di Noè, ancorata ai dirupi del monte Ararat in Armenia e lo sguardo dei salvati sull’immensa distesa fangosa piena di cadaveri affioranti.
Così il viandante stanco, scampato dai pericoli della Valle di Stignano “arriva” a San Matteo, tocca con i piedi laceri la “riva” della salvezza; il suo cuore gioisce e gli sembra che tutto il paesaggio lo aspetti pieno di bagliori luminosi e di speranza:
E come quei che con lena affannata, - uscito fuor del pelago a la riva, - si volge a l’acqua perigliosa e guata, - così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, - si volse
a retro a rimirar lo passo - che non lasciò già mai persona viva.
(Dante, Inferno, canto I)
I significati di rupe e riva di luce, cari a Soccio, sono riassunti nel significato primigenio della parola “sanctuarium”, presente ancora nella sua interezza in alcune lingue moderne fra cui l’inglese, che qualifica San Matteo nella sua funzione socio-religiosa come luogo di riposo sicuro e protetto.
Per Pasquale Soccio San Matteo è riva di luce e rupe a cui la fragile navicella dell’esistenza umana si affida. Nella bibbia Dio è “mia rupe e mia salvezza”, la rupe è la salda sicurezza che non teme le variazioni della natura, né gli eventi della storia, né la cattiveria umana.
Il presente scritto rappresenta una piccola parte delle “confessioni” che Soccio ha pubblicato nei suoi preziosi libri Momenti di vita con p. Agostino Castrillo, Gargano Segreto, San Matteo rupe riva di luce, e Materna terra.