Fino agli anni ’60 dello scorso secolo, il santuario di S. Matteo era frequentato da una speciale categoria di pellegrini: i transumanti che da sempre, dal centro del Gargano, scendevano per raggiungere in pianura i pascoli invernali. Le greggi si riposavano sul piazzale per qualche ora e i pastori facevano una rapida visita alla chiesa monastica.
Il fenomeno della transumanza riguardava anche altre regioni. Da oltre un millennio tra l’Abruzzo, il Molise e diverse zone della Campania era praticato il trasferimento delle greggi, chiamata transumanza orizzontale, verso le pianure della Capitanata dove usufruivano dei pascoli invernali. Di tanto in tanto i regnanti avevano tentato di disciplinarne il flusso di uomini e bestie soprattutto per evitare i frequenti scontri tra pastori e agricoltori. Nel 1447 il Re Alfonso I d’Aragona istituì la Regia Dogana delle pecore di Puglia con sede a Lucera, che regolò il
flusso intenso di pecore e pastori. In seguito, nel 1468, l’istituzione fu trasferita a Foggia. Il tentativo di Alfonso I d’Aragona ebbe buon fine.
La maggior parte della pianura dauna fu invasa da milioni di pecore condotte nelle varie poste dai tratturi, tratturelli e bracci.
Anche nei territori sottoposti alla giurisdizione dell’abate di S. Giovanni in Lamis, il traffico di pecore e pastori s’intensificò facilitato dal tratturello NunziateIla-Stignano che attraverso la Valle di Stignano penetrava in profondità verso il Gargano centrale. Così il piazzale di S. Giovanni in Lamis fu frequentato come mai si sarebbe immaginato.
La discesa dai pascoli montani verso la pianura avveniva verso la fine di settembre, intorno all’equinozio di autunno in cui cadeva la memoria liturgica dell’evangelista S. Matteo. La coincidenza del passaggio delle greggi con la festa del santo produsse una ben più intensa frequentazione della chiesa del monastero.
Dagli inizi della seconda metà del sec. XVI, e forse anche dalla fine del XV, la vecchia negletta chiesa monastica di S. Giovanni in Lamis, frequentata da numerose comitive di pastori, divenne un santuario.
Si comprende, così, il motivo per cui l’abate commendatario del feudo di San Giovanni in Lamis, Vincenzo Carafa, chiese al papa Gregorio XIII di inviare i Frati Minori per assistere i fedeli. La richiesta dell’abate, e la risposta positiva del papa Gregorio XIII, prendevano atto che il vecchio monastero benedettino e cistercense, per merito dei pellegrini e dei pastori transumanti, aveva assunto da tempo una diversa fisionomia religiosa.
Fino a un decennio fa nel nostro santuario di S. Matteo sul Gargano la conoscenza del rapporto tra il santo apostolo e i transumanti si basava esclusivamente sulla tradizione orale e sulle espressioni devozionali dei pastori locali i quali, praticando la piccola transumanza verticale dall’altopiano garganico alla Puglia Piana, usavano sostare col gregge sul piazzale del convento. Un frate benediceva le pecore, i pastori offrivano un agnello e proseguivano il loro viaggio. Spesso il frate era chiamato a recarsi nei luoghi dei pascoli.
Si sapeva anche che questo rapporto era ricordato nelle zone molisane e del Subappennino dauno settentrionale dalla capillare diffusione dell’immagine del santo apostolo ed evangelista nelle chiese poste sui cammini delle greggi, e che nelle medesime zone si celebrava la festa accompagnata dalla “fiera di S. Matteo”.
Non si conoscevano, tuttavia, i motivi della centralità del santo evangelista in un fenomeno, quello della transumanza, che appariva del tutto estraneo alla sua vita e al suo vangelo. Si conoscevano i fatti, ma non le motivazioni né la sorprendente portata dei fatti. La cosa ci disturbava, ma nello stesso tempo ci incuriosiva.
Il difetto delle nostre ricerche era nella prospettiva da cui partivano: i rapporti del santuario di S. Matteo sul Gargano con i contadini e i pastori abruzzesi coniugati in ambiente locale con caratteri esclusivamente devozionali.
I transumanti
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