Monasterium sine armario, quasi castrum sine armamentario

Convento di San Matteo-Foto del 2011
Convento di San Matteo-Foto del 2011
La surriferita espressione della Series Provinciarum nel sec. XVIII non era più di moda, ma in qualche maniera era ancora operativa in alcuni ambienti ecclesiastici, anche francescani. Al povero p. Michelangelo Manicone da Vico spesso veniva rivolto un interrogativo: perché ti occupi di matematica e di agricoltura? Perché non ti limiti ad insegnare teologia, visto che sei il titolare della cattedra nello Studio Generale di Gesù e Maria in Foggia? La risposta era sempre quella: già, mi occupo di matematica e di agricoltura perché sono un frate, sacerdote e teologo e, come tale, devo occuparmi di tutto il bene del popolo di Dio.
Convento di San Matteo_Foto del 2009
Convento di San Matteo_Foto del 2009
Una delle affermazioni a cui, da quando facevamo le elementari, siamo più affezionati, dice che la cultura occidentale è stata salvata dai monaci soprattutto benedettini.
La cosa è vera, ma dovrebbe essere completata da un interrogativo: perché i benedettini hanno istituito gli scriptoria e perché gli amanuensi? E perché i protagonisti sono proprio i benedettini? Purtroppo i libri di storia si limitano a sottolineare che se non ci fossero stati i monaci medievali non si sarebbe salvato nulla dell’immenso patrimonio della cultura classica. Insomma, i Benedettini si erano limitati a copiare Cicerone, Virgilio etc. solo per fuggire l’ozio e, forse, per avere il plauso delle future generazioni. In effetti i benedettini la sapevano molto
più lunga di quanto i loro interessati estimatori siano in grado di concedere.
La risposta è in un motto medievale nato nei meandri di chissà quale biblioteca monastica Claustrum sine armario, quasi castrum sine armamentario, un monastero senza biblioteca è come un castello senza cannoni. L’icasticità dell’espressione, insieme alla forza dell’impianto concettuale fanno sospettare che i luoghi comuni allignassero anche nei nobili tempi medievali. Forse i colleghi dell’ignoto monaco inventore della frase pensavano alla biblioteca come al luogo dell’incanto e della contemplazione; o la consideravano un antro abitato da fantasmi, in cui l’animo, già protagonista e vittima di punti interrogativi che penetrano ed erodono, rischiasse ulteriormente di perdersi, irretito da messaggi contraddittori e da allusioni non sempre chiare; o forse l’intendevano solo come il luogo della conservazione delle memorie, frutto e segno di un passato di cui nessuno ha nostalgia, ma che è sempre divertente scoprire, secondo la bellissima considerazione di S. Agostino: perché il passato è sempre più bello del presente? Risposta: perché è passato!
Claustrum sine armario, quasi castrum sine armamentario ci rivela un uomo diverso, che ha un’idea più terrestre, strumentale e operativa della biblioteca, altrimenti non l’avrebbe paragonata a un’armeria e i libri a cannoni pronti a sparare.
La proiezione del monastero verso l’esterno è evidente, come è chiaro lo spingersi del concetto stesso di biblioteca verso un mondo variegato, sempre diverso, in continuo movimento, proteso verso un tempo di cui non si conosce la fine.