È quindi un insieme di persone che, vivendo già in compagnia, sentono il bisogno, per tre giorni ogni anno, di approfondire questo legame in un intenso atto religioso che vuol essere la sintesi del vivere e degli scambi quotidiani, e, nello stesso tempo, un rilancio di valori fondanti, profondi e creativi.
Il lunedì seguente l’ottava di San Michele, vale a dire il primo lunedì dopo il 16° giorno di maggio, la gente si ritrova nella chiesa collegiata verso le ore 4,00.
Dopo la Santa Messa, il sacerdote assistente dice la preghiera d’inizio del pellegrinaggio e comunica le disposizioni necessarie. Il corteo s’incammina verso il convento di San Matteo dove giunge intorno alle 6,00.
Secondo la tradizione le donne precedono, guidate dalla loro croce scortata dai lampioncini.
Segue la fila ordinata degli uomini, anch’essa aperta dalla croce e dallo stendardo.
Un grosso campanello scandisce le varie fasi della preghiera e del canto.
La separazione di uomini e donne è di rigore durante la preghiera. I due cori si rimandano con voce poderosa le domande e le risposte, le invocazioni e i gemiti raggiungendo, nell’alternarsi dei suoni gravi e acuti nelle diverse strofe dei canti, momenti di coinvolgimento totale dell’intelligenza e del sentimento in un’armonia naturale, di difficile definizione, che s’inserisce magistralmente nel normale dipanarsi dei contrappunti della vita le cui note sono il sibilo del vento e il batter della pioggia, lo stormir delle fronde e il muggire dei buoi, il grido dei contadini
e il canto degli uccelli. Il canto O glorioso Principe, Arcangelo San Michele, Deh liberaci dalla guerra e dai nemici, ripetuto all’infinito, è uno dei momenti più coinvolgenti e denso di commozione di tutto il pellegrinaggio.
L’abbigliamento dei pellegrini è quello tradizionale: vestiti semplici e comodi, un tascapane o zainetto con oggetti essenziali, un cappello, un secchiello per attingere l’acqua, un bastone e l’immancabile ombrello senza di cui nessun pellegrino si mette in viaggio. Spesso, infatti, l’intero pellegrinaggio si svolge sotto la pioggia.
Il viaggio si compie interamente a piedi osservando le tappe obbligate di San Matteo, San Giovanni Rotondo, Campolato, l’edicola di San Michele posta all’inizio della salita della Costa per ricordare i pellegrini sammarchesi defunti. Il percorso si snoda lungo la via asfaltata, la statale 272, attraversando l’abitato di San Giovanni Rotondo, fino al primo tornante nei pressi di Monte Sant’Angelo. Poi i pellegrini si fermano all’edicola di San Michele per l’allocuzione finale e il bacio del Crocifisso. L’andare è la rappresentazione visiva del viator che a piedi, impolverato e umile si reca da chi rappresenta l’unica sua speranza. Voglio sottolineare l’esistenza di un dato piuttosto generale e frequente che sul Gargano è presente e visibile forse più che altrove: la sofferenza del pellegrino è costituita anche dal salire con fatica la montagna sacra. Arrampicarsi su per le aspre e odorose balze del Gargano è rappresentare la tenacia quotidiana di chi non si rassegna alla vita, che vuol superarla e tende con tutte le sue forze alla meta dove troverà la sua pace.
Sulla sommità del monte Dio ha posto la sua dimora.
Le persone che per la prima volta partecipano al pellegrinaggio si caricano di una pietra dal peso proporzionato alle loro capacità che porteranno in cima al monte. Il cammino riprende per la “Via della Costa”. Il sentiero ripido e difficile è l’ultimo tratto, non ancora divorato dalla modernità, dell’antica Via Francisca che i pellegrini percorrevano fin dalla fine del sec. V per recarsi alla grotta dell’Arcangelo.
Il contatto col santuario è una esplosione di gioia insieme al ringraziamento. I pellegrini si inginocchiano, baciano la terra, toccano le porte del tempio, le baciano, incidono il nome sulle pareti, spesso lasciano l’impronta del piede o della mano.
Sperimentano finalmente la pace nella penombra familiare della casa di Dio.
Il giorno seguente è dedicato alla Santa Messa nella grotta e alle devozioni.
Il terzo giorno la Cumpagnia riparte battendo l’intero percorso asfaltato. Fino a qualche decennio fa la fatica del cammino si avvertiva con qualche disagio per le persone più deboli. Oggi, grazie alla modernizzazione, anche loro possono compiere il pellegrinaggio insieme agli altri. Alcune automobili, infatti, seguono il corteo soccorrendo chi è in necessità; portano medicine, latte e pannolini per i bambini e altri generi indispensabili. Così oggi, a uomini e donne validi e in buona salute, allegramente si accodano anche bambini, perfino qualche piccolo in carrozzina, e molti anziani in età avanzata. I pellegrini oggi sono più di trecento e rappresentano tutto il paese, una volta tanto unito intorno a San Michele, senza distinzione di età, sesso, condizione sociale, culturale ecc. ecc. I datori di lavoro concedono volentieri ai loro sottoposti licenza di assentarsi durante i tre giorni del pellegrinaggio.
Anche a S. Michele, come negli altri santuari, spesso il pellegrino sente prepotente il bisogno di evidenziare i simboli e dare dimensione concreta all’esperienza del sacro per mezzo di gesti. Si crea intorno una “coreografia” tale da cosificare, per così dire, il rapporto con Dio e i suoi santi: cantare filastrocche, magari strampalate, affermando il valore espressivo del canto anche in assenza di elementi teologico-formali convincenti; gira diverse volte intorno all’altare o al santuario; tocca i battenti delle porte; prega profondamente prostrato; compie l’ultimo tratto a piedi, si accosta all’altare in ginocchio.
Da ciò deriva la sfrenata iconofilia che spesso caratterizza il pellegrino: ha bisogno di vedere, di avere dappertutto l’immagine del santo o dei simboli che lo rappresentano. Ne deriva la dovizia di oggetti religiosi, di calendari, di autoadesivi ed altro. Né bisogna scandalizzarsi se si vedono immagini di santi su bottiglie, portaceneri, oggetti di uso domestico , oltre che su quadri dinanzi a cui mormorare una preghiera. Per il pellegrino infatti il confine fra sacro e profano è labile, a volte inesistente. Il pellegrino di norma è dotato di senso religioso profondo e diffuso che abbraccia tutti gli aspetti dell’esistenza, e, d’altra parte, il santo viene inteso come il compagno di vita, anche lui pellegrino, che partecipa alle vicende quotidiane.
La "cumpagnia" di San Marco in Lamis
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