
Di Nicolaus Maria Barbieri non sappiamo nulla. È più che probabile che il Barbieri, più che compilare il rituale, abbia rivisto e riorganizzato un materiale preesistente in forma più slegata e frammentaria. Le caratteristiche del rituale, infatti, in particolare la completezza dell’impianto, l’equilibrio delle parti, la proprietà della terminologia, l’armonioso vicendevole completarsi del linguaggio contadino e di quello colto, lo scientifico uso delle fonti, il senso del teatro, la raffinatezza della comunicazione e altro fanno pensare che l’autore sia stato depositario
di una cultura teologica e letteraria e, comunque, di una formazione culturale di base ben al di sopra di quanto l’ambiente, caratterizzato da solido e fondato analfabetismo originario, porti a supporre. A quell’epoca, infatti, solo pochissimi abitanti l’ex Regno delle Due Sicilie sapevano leggere.
Allo stato attuale delle ricerche, nonostante le innumerevoli e continue corruzioni testuali dovute alla trasmissione manoscritta, questo si presenta come il più completo tra tutti i rituali conosciuti.
Ne conosciamo due edizioni differenti. La prima è quella redatta da Nicolaus Maria Barbieri, arrivata a noi con due manoscritti, ciascuno in due grossi quaderni, redatti nei primi decenni del secolo XX, essenzialmente uguali, ma differenti nella organizzazione.
Questo secondo documento è stato compilato probabilmente intorno al 1960.
Verso questa data, infatti, i pellegrinaggi molisani e abruzzesi cominciarono ad utilizzare i mezzi di trasporto automobilistici i quali provocarono l’accorciamento del tempo del pellegrinaggio e questo fatto, a sua volta, accelerò il processo di mutazione profonda di taluni elementi sostanziali del pellegrinaggio stesso.
Il rituale si rivela di grande interesse per la quantità di fonti liturgiche, letterarie e popolari utilizzate. Spesso riecheggiano brani letterari provenienti da epoche diverse di grande spessore religioso e culturale; un esempio per tutti, l’accenno alla spiritualità battesimale legato al ricordo del miracolo di Cone:
Facciamo tutti quanti il + segno della Croce pensanto davere presente agl’ochi nostri quelle (tre) gocce d’acqua Santa di Conos città di Frigio che S. Michele le fece scaturire per Miracolo come profetizzò l’Evangelista precursore di Cristo l’a nella Pocalisse.

Secondo la edizione più antica del rituale, il pellegrinaggio si compie in otto giorni per vie di campagna dal Basso Molise attraverso le plaghe dell’Alto Tavoliere fino a Torremaggiore dove trascorre la prima notte. Attraverso l’ampia porta settentrionale della Valle di Stignano la comitiva s’inserisce nel vivo della montagna garganica e, proseguendo per la ripida strada che costeggia il torrente Iana, attraversata S. Marco in Lamis, giunge al convento di San Matteo dove fa sosta per la seconda notte.
L’ultima sosta è a Macchia Val Fortore.
L’intenzione esplicita è di attuare, oltre che rappresentare, l’itinerario spirituale della conversione e condurre il pellegrino a diventare nuova creatura.