Convento di s. Matteo a S. Marco in Lamis
Convento di s. Matteo a S. Marco in Lamis
Anche il comune di S. Marco in Lamis, dopo tante proposte bocciate, e progetti rimasti inevasi, concluse che la migliore idea possibile fosse riconsegnare il convento agli antichi proprietari: i frati minori. Il 6 maggio 1885 propose, quindi, al ministro generale di istituire un seminario. Ma anche questa proposta aveva i suoi punti deboli, e fu accantonata.
I superiori dell’ordine francescano e della provincia religiosa, tuttavia, compresero che il clima ideologico non era più quello del 1866, e che la maggior parte della popolazione era favorevole a un eventuale ritorno dei frati, proprio come affermava Ippolito Taine in una sua preziosa considerazione del 1877. Il padre ministro generale dell’ordine, p. Bernardino da Portogruaro, con decreto del 2 dicembre 1883 nominò p. Romualdo Ferrecchia di Casalnuovo Monterotaro nuovo padre provinciale della provincia dei frati minori di S. Michele Arcangelo.
Le condizioni dei frati erano disastrose. Allontanati con la forza dai loro conventi, la maggior parte erano sparsi per ogni dove a servizio delle diocesi o ritirati in famiglia. Altri sopravvivevano in vita solitaria facendo i lavori più diversi. Alcuni, però, con la tacita connivenza delle autorità locali, si erano riuniti in alcuni conventi da dove erano stati allontanati dalle leggi soppressive.
P. Romualdo, con grande accortezza diplomatica, iniziò un lavorio di avvicinamento con le autorità locali che gli parevano più sensibili ai desideri dei frati e alle necessità della gente. Così, tra il 1883 e il 1886, i frati tornarono a Stignano, S. Matteo, S. Martino in Pensilis, Biccari, Bovino e nel convento del SS. Salvatore a Lucera.
Il 1 giugno 1885 la presenza di fatto nel convento di S. Matteo si era consolidata per merito di fra Matteo Donato Tancredi, frate laico di S. Marco in Lamis, il quale acquistò per £ 2.389 dal comune di S. Marco in Lamis il fondo rustico adiacente il convento, già orto dei frati, comprendente una piccola vigna e un boschetto.
L’acquisto del fondo rustico manifestava anche per il convento di S. Matteo la strategia della presenza già in atto a S. Giovanni Rotondo, Castelnuovo della Daunia, Manfredonia e in altri conventi francescani. I frati, col favore delle popolazioni e la collaborazione, non tanto nascosta, delle autorità cittadine, tendevano a tornare e consolidare la loro presenza nei luoghi da cui erano stati allontanati.
Il Convento di s. Matteo a S. Marco in Lamis
Il Convento di s. Matteo a S. Marco in Lamis
Se non era possibile il ritorno nei vecchi conventi, se ne fabbricava uno nuovo di zecca come avvenne a Sepino in provincia di Campobasso dove p. Anselmo da Sassinoro costruì in montagna il conventino di S. Maria degli Angeli, nei pressi della città di Saipins, chiamata Terravecchia, distrutta dai Romani alla fine della seconda guerra sannitica.
Il 5 ottobre 1899 p. Leonardo De Martinis, albanese nato a Greci, lasciò il convento di S. Matteo che l’aveva ospitato per qualche anno, diretto alla sua amata Albania. Alla partenza lasciò una sua poesia di addio. Scrittore e poeta italoalbanese, quale missionario apostolico in Albania dedicò la sua vita a quella terra, dove fondò le prime scuole cattoliche. Rinomato il suo scritto “L’arpa di un Italo-Albanese”. Alcune sue poesie sono pubblicate nella rivista l’Eco di S. Francesco di Assisi.
A S. Matteo i frati erano in compagnia di guardie campestri, soldati e varia umanità; i piani inferiori erano praticamente abbandonati.
Convento di San Matteo-Foto del 2012
Convento di San Matteo-Foto del 2012
Per diversi anni la presenza dei frati a S. Matteo si mantenne in uno stato di pericolosa provvisorietà. Tra l’altro non potevano progettare un’attività religiosa e pastorale di lungo respiro poiché non avevano alcuna autorità nell’accoglienza dei pellegrini e nella gestione della chiesa. Questa era stata posta alle dipendenze dell’autorità comunale la quale la gestiva per mezzo di cappellani nominati dal prefetto su indicazione del municipio. All’inizio ebbero la nomina di cappellani tre preti sammarchesi, Pietro Longhi, Francesco Paolo Cera e Federico Nardella con l’incarico di “celebrarvi qualche Messa quando attalenta loro, per raccogliere limosine nella festa di S. Matteo e nel mese di maggio per il concorso immenso dei devoti e pel passaggio dei pellegrini”. In seguito verso la fine del secolo,quando i rapporti con i frati divennero più familiari, il Comune propose come cappellani sempre nomi di frati già presenti a S. Matteo. Tuttavia la convivenza dei frati cappellani con gli altri frati integrati nella provincia francescana non fu felice.
I primi per legge rispondevano esclusivamente agli amministratori comunali, ma erano pur sempre figli della provincia francescana di S. Michele e quindi ugualmente soggetti alle leggi canoniche e a quelle del diritto proprio dei frati.
I cappellani erano frati che dai superiori provinciali avevano ricevuto il permesso di eseguire l’ufficio di cappellani del santuario di cui il comune di San Marco era proprietario; si sentivano, quindi, del tutto indipendenti dai superiori religiosi dovendo perseguire gli interessi dell’ente locale.
Convento di San Matteo-Foto del 2012
Convento di San Matteo-Foto del 2012
Da quanto s’intuisce dalla relazione di p. Ludovico Barbaro, ministro provinciale dal 1863 al 1883, la questione principale era la gestione della chiesa e quella dell’economia per le quali i cappellani rivendicavano l’esclusiva. Le cose andarono avanti all’italiana.
Le autorità si barcamenavano tra le oggettive difficoltà di applicare la legge, la consapevolezza della sua ingiustizia, insieme alla sempre più evidente contrarietà delle popolazioni a questi provvedimenti.
Dal 1885 al 1904 si susseguirono progetti di riuso da parte del comune: ospedale, seminario della diocesi di Foggia, ospizio dei poveri. Si pensò anche di trasferirvi l’Orfanotrofio Maria Cristina di Foggia. tutte queste idee si rivelarono inattuabili perché fin dal 1867 era chiara la difficoltà di gestire un immobile di quella grandezza, ridotto a mal partito, lontano dai centri abitati e privo di comode comunicazioni e senza alcun cespite su cui fare affidamento.
Tra le altre proposte ci fu anche quella di un prete sammarchese di chiedere ai salesiani di istituire una loro scuola. Il generale dei frati minori, ascoltato il suo Consiglio, sentenziò che il convento di S. Matteo, a norma del diritto canonico, era ancora dei frati minori, e tale sarebbe restato fin quando alla Santa Sede fosse parso opportuno. La proposta dei salesiani fu respinta.
I superiori provinciali dei frati fecero diversi tentativi per instaurare rapporti più chiari col comune di S. Marco. Ma bisognava risolvere la questione dei cappellani.
Fu un momento di grave crisi. Gli interventi dei padri provinciali, di regola disattesi dai cappellani, indussero il governo della provincia francescana a chiedere che il ministro generale chiudesse anche dal punto di vista canonico il convento di S. Matteo, ma ci fu fiero dissenso di molti frati, della popolazione di San Marco e dei paesi vicini e relativa richiesta “di lasciare aperto il convento di S. Matteo”.
La cosa si trascinò a lungo. Intervennero il ministro del culto, il vescovo di Foggia, Mons. Carlo Mola, intermediari vari. Alla fine il vescovo di Foggia usò mezzi forti: colpì di interdetto la chiesa di S. Matteo, proibendo con questo atto ogni forma di culto [p. Doroteo Forte]. I cappellani, con a capo p. Vincenzo Calvitto, furono costretti a sloggiare.
La situazione si chiarì il 2 agosto del 1902 quando il capitolo provinciale celebrato a Bitonto, presieduto dal ministro generale p. Davide Fleming, prendendo atto che la presenza francescana a S. Matteo si era ormai stabilizzata, e che ci sarebbe stata l’aperta collaborazione delle autorità e del popolo di San Marco in Lamis, decise di erigere nello stesso convento lo Studio di Teologia.
La decisione ebbe la sua prima attuazione il 27 aprile del 1904, col tacito assenso dell’amministrazione cittadina, fu costituita la prima comunità composta da due soli frati: p. Filippo Petracca presidente, e p. Epifanio Menichella. A maggio la fraterntà di S. Matteo crebbe di un elemento, p. Antonio Centola, che ebbe anche l’incarico di cappellano, a cui si aggiunse a settembre p. Raffaele Spina, Nicola Giuliani e fra Elzeario.
La formula giuridica utilizzata per superare le difficoltà legate alla soppressa personalità giuridica dell’ordine fu quella consentita dalle leggi vigenti. Poiché i frati come semplici cittadini conservavano ancora intatti i loro diritti civili e quindi potevano stipulare e firmare i contratti, la loro presenza nei conventi suddetti era legittimata dal contratto di fitto firmato a nome proprio da uno di loro. Costui, poi, avendo conservato come semplice cittadino la libertà di associazione, poteva condividere il suo spazio come meglio gli pareva. Così avvenne a S. Matteo.
Convento di San Matteo-Foto del 2012
Convento di San Matteo-Foto del 2012
Da quando i frati di fatto erano tornati a S. Matteo dovevano pagare al comune, proprietario dell’immobile, £ 1.000 annue, che vennero ridotte a £ 700 nel 1901. Nel 1904, con la costituzione della nuova fraternità, il fitto fu esteso a 5 anni e si pagò £ 500 annue, ridotte a £. 300 nel 1905 quando il fitto fu portato a 29 anni [Pasquale Soccio: Materna Terra].
Convento di San Matteo-Foto del 2012
Convento di San Matteo-Foto del 2012
Il 28 ottobre 1903 fra Matteo Donato Tancredi, per una cifra simbolica, vendeva a p. Antonio (al sec. Salvatore) Dota, nuovo provinciale della rinata provincia monastica di S. Michele Arcangelo, il suddetto fondo rustico. Il fondo è così descritto: “Un fondo rustico consistente in giardino con piccola vigna, boschetto annesso ed accessori, come mandre, grotte per animali ed altro; dalla estensione a corpo e non a misura di circa versure tre od Ettari 3.70.35; sito nel tenimento di S. Marco in Lamis alla contrada Convento S. Matteo, coerente a levante con terra di Giovanni Potenza, a mezzogiorno con la strada che mena al Convento di S. Matteo, a settentrione col fabbricato del Convento in parola e da ponente coi terreni del Signor Carmine Spagniuoli”. In seguito il fondo in questione fu acquistato da Blunno Michele fu Matteo (p. Vincenzo Blunno) e Botta Francesco fu Matteo (p. Eugenio Botta) i quali, a loro volta, quando la provincia religiosa riebbe la sua personalità giuridica, lo trasferirono a favore della provincia monastica di S. Michele Arcangelo, nella persona di p. Cristoforo Valentini, ministro provinciale. Data della registrazione presso la Corte dei Conti 24 ottobre 1936.
Il ritorno semiufficiale dei frati segnò anche la ripresa economica del convento il cui primo bilancio economico di aprile del 1904 evidenziava un esito di £. 59,80 di fronte a un introito di £. 24,80 di cui £ 2,65 avute dai pellegrini. Nel resoconto di fine maggio le elemosine dei pellegrini ammontavano a £ 153,40. Altre fonti economiche erano le SS. Messe, la questua, la vendita di maiali, agnelli e galline donati dai devoti contadini, le elemosine raccolte a San Marco in Lamis, Monte Sant’Angelo, Rignano, San Giovanni Rotondo. L’introito complessivo era di £. 1.178,10, l’esito di £ 851,15. Nella stalla era presente un cavallo che a volte non bastava. Era necessario affittarne un altro. Le spese maggiori erano costituite dai lavori necessari a rendere abitabile il convento: materiali e relativo trasporto e mano d’opera. La nuova fraternità aveva trovato un terreno umano molto buono.
Una interessante curiosità registrata nel mese di aprile del 1904 è il pagamento di £. 2,00 per la Bolla della Crociata. Istituita nel 1497 per finanziare le guerre contro i Turchi, rimase in vigore fino al 1906. Bastava un contributo di poche lire (comunque £. 2,00 a quel tempo era una sommetta apprezzabile) per avere benefici spirituali e spesso anche materiali. Chi aderiva, aveva il privilegio di poter mangiare carne e latticini nei giorni di digiuno, anche in quaresima. Fu istituita anche una forma di Bolla Crociata per gli ecclesiastici.
Nel 1904 era ancora in vigore.