La parola “Santuario” è comunemente riservata ai “luoghi sacri per la presenza o manifestazione della divinità, di eventi miracolosi, per l’esistenza di reliquie insigni”, e perciò diventati centri di aggregazione dei devoti e meta di pellegrinaggi.
Questa visione risente dell’esperienza antica e medievale quando il pellegrinaggio era motivato soprattutto dal ricordo del passaggio di Gesù sulla terra, o dalla vita degli apostoli e di santi. Il ricordo spesso è corroborato dall’esistenza di reperti materiali chiamati reliquie, costituiti da frammenti dei corpi dei santi, o da oggetti che in qualche maniera hanno avuto un contatto materiale con loro come vesti, oggetti necessari alla vita quotidiana, oggetti liturgici e devozionali.
Il nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983, al can. 1230 afferma:

“Col nome di santuario si intendono la chiesa o altro luogo sacro ove i fedeli, per un peculiare motivo di pietà, si recano numerosi in pellegrinaggio con l’approvazione dell’Ordinario del luogo”.

Pellwgrini di Vasto nella loro visita annuale al convento di San Matteo-Foto del primo maggio 2010
Pellwgrini di Vasto nella loro visita annuale al convento di San Matteo-Foto del primo maggio 2010
La genericità di quest’ultima definizione non esclude che la nascita di un santuario possa derivare anche dall’esistenza di eventi straordinari e di memorie materiali.
Il Codice sottolinea che l’idea del pellegrinaggio motivato per un peculiare motivo di pietà è prevalente perché riconduce il concetto di santuario alla sua base eminentemente religiosa, popolare e spontanea. Ai fedeli è riconosciuto il diritto di soddisfare particolari esigenze spirituali in un luogo di loro scelta adatto allo scopo con l’approvazione, almeno tacita, dell’autorità ecclesiastica. Le motivazioni di questa particolare scelta del popolo di Dio possono essere le più svariate tra cui anche gli elementi cari alle definizioni tradizionali, particolari manifestazioni,
eventi, reliquie ecc., ma soprattutto il semplice fatto di essere frequentati per un peculiare motivo di pietà.
Viene sancita la prevalenza della scelta spontanea e popolare sugli elementi oggettivi storicamente accertati su cui l’istituzione spesso basa le sue scelte. Si supera,
così, la visione statica delle decisioni proposte dall’alto.
Perciò il can. 1234, § 1 delinea un quadro operativo riguardante il santuario entro cui i fedeli possano usufruire con maggiore abbondanza dei mezzi della salvezza e di una vita liturgica più ricca, soprattutto con i sacramenti della penitenza e dell’eucaristia. Tra la definizione cara al mondo accademico e quella del Codice di Diritto Canonico, quale è stata quella giusta che ha conferito tale titolo all’antica chiesa badiale di S. Giovanni in Lamis trasformandola nel Santuario di S. Matteo?
Dobbiamo notare anche che la costituzione storica del santuario si avvale anche del significato primigenio della parola sanctuarium, ereditata dall’antichità latina, utilizzata in primis per designare l’angolo più riposto e sicuro della casa imperiale dove si conservava l’archivio privato dell’imperatore, le sue carte più riservate e preziose. Plinio il Vecchio riferisce che Pompeo entrò nel sanctuarium di Mitridate VI Eupatore re del Ponto dopo averlo sconfitto nel 63 a.C. In quella stanza segreta il generale romano trovò un libro su cui il re di propria mano aveva scritto la composizione dell’antidoto che gli aveva permesso di vivere nonostante i molti tentativi di avvelenarlo perpetrati dai suoi molti nemici. La parola designava, parimenti, le mura e le porte della città, gli edifici civili e religiosi la cui inviolabilità e sicurezza erano garantite e sancite da apposite leggi. Diversamente i luoghi di culto erano loca sacra, dedicati agli dei.
Il significato sotteso in questa terza definizione, come sicuro rifugio adatto al riposo, è perfettamente in regola con i bisogni del pellegrino. Arrivato in cima al Monte di Dio fisicamente sfinito, il pellegrino ha bisogno di riposarsi in un luogo raccolto e sicuro, nella pace saziante della casa di Dio.
Foto-ricordo di due pellegrini con la fraternità di San Matteo-Foto del 2010
Foto-ricordo di due pellegrini con la fraternità di San Matteo-Foto del 2010
Credo che, non togliendo assolutamente nulla alle due precedenti, questa definizione derivi dalla gioia che il pellegrino sperimenta quando, arrivato alla fine del suo viaggio, si trova nella penombra riposante della casa di Dio, sua roccia di salvezza, rifugio sicuro dopo la fatica del viaggio della vita, pieno di incognite e pericoli.
L’altezza solitaria della montagna garganica, il suo essere punto di arrivo per i pellegrini di terra e di mare induce Marcello Cavaglieri, nel suo Pellegrino al Gargano, collegandosi con la Bibbia, ad affermare che Dio ha posto la sua casa sul Monte Gargano perché tutti, dai quattro angoli della terra, possano vederla e desiderarla.
Il Gargano, a suo modo di vedere, è costituito Monte di Dio prima e indipendentemente da S. Michele, da p. Pio e dagli altri santi. Essi sono i santi del cammino, anch’essi servi di Dio, difensori e guide del pellegrino nel cammino faticoso, difficile e pieno di pericoli dove è facile perdere la strada o incontrare serpenti e grassatori di strada. L’idea si riferisce in primo luogo alla Grotta di S. Michele, anticipatrice del riposo eterno nella Casa di Dio. I santuari della via sono luoghi di sosta, muniti e sicuri dove il viandante prega e riposa in tranquillità, e da cui, rifocillato e incoraggiato, riprende il suo cammino.
Si coglie a questo punto la suggestione biblica di Dio mia roccia di salvezza, nel cui seno l’anima riposa: Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo (Nota).
Probabilmente i santuari della Via Francisca nella loro fase iniziale erano intesi come asili sicuri dei pellegrini, garantiti da leggi e consuetudini. È noto che gli stessi pellegrini erano tutelati da leggi speciali che valevano in tutti i percorsi che facevano. In seguito, soprattutto per la presenza dei grandi ordini religiosi,
i luoghi di sosta divennero importanti luoghi di culto e, quindi, santuari nel senso moderno.
È probabile che il monastero di S. Giovanni in Lamis, molto prima che diventasse “santuario di S. Matteo”, sia stato reputato dai pellegrini un Sanctuarium perché offriva loro sicurezza, riposo e conforto fisico e spirituale, visto che si trovava, come ancora si trova, in cima a una montagna che i pellegrini salivano con fatica.
Anche se i documenti attualmente conosciuti non ne parlano, si può ipotizzare che lo stesso monastero, coerentemente con la tradizione benedettina, ospitasse in appositi reparti i pellegrini in transito a cui veniva offerta anche l’adeguata assistenza religiosa e che fosse favorita la fondazione di ospizi, come si può dedurre dagli ospizi esistenti a S. Marco in Lamis e S. Giovanni Rotondo.
Pellegrini di Vasto-Foto del 2012
Pellegrini di Vasto-Foto del 2012
Nella storia del santuario di S. Matteo sul Gargano, non esiste un racconto di fondazione, né un particolare avvenimento a cui ascrivere il motivo del suo essere meta di pellegrinaggio. L’unico elemento, che inserisce il nostro santuario nel quadro delle definizioni più antiche, potrebbe essere la reliquia di S. Matteo che il Gonzaga dice essere un dito, ma che in tutta la tradizione documentaria seguente viene detta “Dente”.
Resta tuttavia da capire se fu la presenza del “Dente” a provocare i pellegrinaggi, oppure, con maggiore probabilità, fu l’intensa frequentazione per un peculiare motivo di pietà a richiedere la presenza del sacro “Dente”, evento da intendere come confermativo post factum.
I pellegrini
Le preoccupazioni dell’Abate Commendatario fanno pensare prima di tutto ai pellegrini che da oltre un millennio facevano parte del paesaggio umano sul percorso che dal Tavoliere settentrionale s’insinuava nella profonda fenditura della montagna che da Stignano a Mattinata divide il Gargano meridionale da quello settentrionale. Il fondo valle offriva l’unico accesso al Gargano centrale ai pellegrini provenienti dall’Abruzzo, dal Molise e dal Subappennino settentrionale.
I documenti finora conosciuti non fanno alcun accenno ai pellegrini. Contengono tuttavia un prezioso riferimento che fa capire come la difficile e tortuosa strada che dalla pianura nord-occidentale della Daunia, passando per San Marco in Lamis e San Giovanni Rotondo, portava a Monte Sant’Angelo, già dall’inizio del secondo millennio cristiano era chiamata Via Francisca, un nome che denotava il suo inserimento nella grande rete viaria che con questo nome percorreva buona parte dell’Europa e dell’Italia diretta ai grandi santuari romani, alla Grotta dell’Arcangelo Michele sul Gargano e ai porti pugliesi per chi volesse raggiungere la Terra Santa. La presenza dei pellegrini è testimoniata non solo dai rapidi cenni del Gonzaga e degli altri testimoni citati, ma anche dalla documentazione sugli ospizi dei pellegrini dislocati lungo la Via Francisca, a San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo.