Rituali di pellegrinaggio
Nella seconda metà del sec. XX tra gli studiosi si è sviluppato in grande interesse per i pellegrini eredi delle grandi migrazioni devote del medioevo che pongono in unica catena i santuari di Santa Maria di Stignano, San Matteo, Monte Sant’Angelo, Santa Maria di Pulsano, San Leonardo a Siponto, l’Incoronata di Foggia.
Tale interesse ha avuto origine dagli studi sulla storia dei santuari condotti soprattutto da istituti universitari. I ritrovamenti archeologici avevano evidenziato l’importanza del santuario di S. Michele in tutto il territorio europeo con la scoperta e lo studio dei graffiti runici e delle iscrizioni longobarde. Gli studi sui rapporti che il santuario garganico aveva stabilito con regioni lontanissime sparse per tutta Europa si sono allargati a tutta la vasta tematica degli scambi religiosi e culturali.
Il passaggio ininterrotto di comitive religiose, nell’arco di oltre quindici secoli ha condizionato profondamente il paesaggio rurale e quello urbano del Gargano, la viabilità, le devozioni, le istituzioni ecclesiastiche, il costume e il linguaggio.
I pellegrini, proprio nell’assidua e diuturna frequentazione, hanno assorbito, a loro volta, da questi luoghi contenuti religiosi nuovi con rilevanti influssi sugli atteggiamenti e le abitudini religiose dei loro luoghi di origine.
In particolare la Via Francisca, da Stignano all’Incoronata di Foggia, collegando in successione incalzante in meno di cento chilometri un notevole numero di santuari, consente alle comitive di sviluppare un discorso spirituale, unico e insieme articolato, fatto non solo di azioni più propriamente religiose individuali e collettive, come i sacramenti, la preghiera e la meditazione, ma anche di esperienze vitali come la convivenza e la condivisione tra persone diverse in condizioni difficili, la privazione di molti beni e comodità, l’accettazione delle insicurezze e dell’autorità. Si aggiunga che tutto ciò è vissuto in clima di forte rievocazione di ciò che lungo i secoli è accaduto lungo queste strade, e di come questi luoghi si siano trasformati nel tempo divenendo i luoghi di Dio; come e perché siano legati l’uno all’altro, e il significato perenne che questo legame storico esprime.
Benché oggi siano quasi soverchiati da flussi devoti recenti interessati soprattutto al santuario di p. Pio, i pellegrini antichi hanno conservato nel tempo le caratteristiche originarie, e si distinguono nettamente da questi ultimi per la complessità del rapporto che hanno col territorio garganico e i suoi santuari. Provengonoin maggioranza dalle province di Foggia, Bari, Lecce, Taranto, Brindisi, Campobasso, Isernia, Chieti, L’Aquila, Avellino, Benevento, Napoli, Salerno, Potenza e Matera, Lazio meridionale. Molti di essi abitano in piccoli centri agricoli di poche
migliaia di abitanti o in agglomerati rurali.
La grotta dell’Arcangelo, o, qualche volta, la tomba di San Nicola a Bari, è la meta culminante verso cui e per cui le comitive si muovono. Gli altri santuari sono tappe intermedie di preparazione e di riflessione. Attraverso la successione delle visite ai vari santuari, i pellegrini si preparano all’incontro con l’arcangelo Michele nel luogo terribile della sua apparizione, casa di Dio e porta del cielo, inteso come il punto culminante dell’itinerario spirituale, dove l’uomo si trova solo con la sua coscienza, sospeso sulla montagna fra cielo e terra, pronto a dire a Dio e agli angeli un si o un no semplice e definitivo.
Le comitive sono caratterizzate da esclusivo interesse religioso. Gli interessi economici sono del tutto assenti; l’eventuale utile che si ricava dal pellegrinaggio viene destinato alla festa patronale o alle necessità della chiesa.
I gruppi sono diretti sempre dalle medesime persone, chiamati ‘priori’, a cui la comunità riconosce una precisa funzione di ordine religioso. Il priore è l’organizzatore, il direttore e animatore religioso, guida i canti e le pratiche devozionali avvalendosi di un gruppo di collaboratori costituito secondo una gerarchia di gradi e di funzioni la cui trasmissione da una generazione all’altra avviene talvolta per via ereditaria: il capo-segretario, il ‘portacristo’ (crocifero), i portatori di lampioncini, di campanello.
I capi-compagnia ordinariamente guidano ogni anno un solo pellegrinaggio, raramente due, ricostruendo quasi sempre lo stesso gruppo degli anni precedenti.
La coesione interna del gruppo è completa: ogni membro sa quel che deve fare secondo schemi antichi e accettati da tutti.
La quasi totalità dei gruppi si organizza al di fuori delle strutture ecclesiastiche territoriali, parrocchie e diocesi, ma senza alcuna concorrenzialità con esse. Ai sacerdoti è riservato il ruolo istituzionale di insegnare, benedire e santificare, ma sono del tutto esclusi da questioni organizzative o finanziarie.
Le componenti civili e religiose della comunità riconoscono ai pellegrini il ben preciso ruolo di rappresentare la totalità della popolazione presso il santo verso il cui santuario si incammina. In molti paesi a questi pellegrinaggi viene di fatto riconosciuto un vero e proprio ruolo pubblico e sono organizzati anche col concorso delle amministrazioni comunali. D’altra parte, una delle caratteristiche più evidenti di questi pellegrinaggi è che non sono mai generici, bensì dotati di forte senso di appartenenza alla propria comunità che si esprime con gli iniziali riti di benedizione nella chiesa principale, con l’accompagnamento continuo dei santi patroni e dei defunti, come anche col ricordo dei parenti e amici lasciati in paese.
L'ambiente dei rituali di pellegrinaggio
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