I faticosi inizi, problemi e interrogativi, sviluppo e consolidamento della nuova biblioteca Biblioteca provinciale pubblica.

Convento di San Matteo-Foto del 2011
Convento di San Matteo-Foto del 2011
Quando nel 1973 fu affidata a p. Mario Villani, la nuova biblioteca di S. Matteo aveva già sei anni di vita. Il compito riguardava il suo sviluppo e il suo consolidamento.
Il capitolo provinciale del 1970 l’aveva qualificata come biblioteca provinciale “pubblica”; ma questo per la tradizione culturale della provincia monastica era un elemento nuovo il cui significato, insieme alle responsabilità connesse, era tutto da identificare.
Intanto il pomposo titolo la proponeva, insieme alle altre biblioteche provinciali, come espressione dell’intera provincia monastica e sua voce qualificata nei disparati campi del sapere. Al convento di S. Matteo era affidata la funzione di coltivare un ambiente che favorisse, insieme alla custodia e allo sviluppo della biblioteca, anche la sua conoscenza tra gli studiosi, il rapporto con gli istituti culturali, la creazione di un interesse popolare in modo che la biblioteca fosse intesa come propria dall’intera cittadinanza di S. Marco e del Gargano.
La consapevolezza di tale necessità era diffusa, ma non si avevano ancora idee chiare sulla specifica progettazione richiesta, sul tipo dei destinatari, né dei metodi per proporre la nuova istituzione come culturalmente “necessaria” per chierici e laici.
Abituati a un individualismo culturale di lunga data, i frati non erano avvezzi ad elaborare progetti da condividere col mondo culturale laico, da realizzare con i medesimi intenti, anche se con diversi linguaggi e metodologie.
Da alcuni decenni, inoltre, il carattere culturale della provincia religiosa, travolta dalle urgenze della chiesa italiana e dalle richieste dei vescovi, tendeva ad anchilosarsi in una monocultura prevalentemente orientata alla pastorale parrocchiale.
I giovani frati non erano formati alla visione ampia e variegata del mondo che, invece, aveva caratterizzato la formazione culturale degli ultimi decenni del XIX e della prima metà del XX secolo.
La biblioteca di S. Matteo correva anche il pericolo di chiudersi in una funzione arredatoria, ottima per attirare attenzioni, curiosità … e carrieristi.
Nel migliore dei casi correva il pericolo di bloccarsi alla fase della “biblioteca di conservazione” atta a custodire le sacre memorie, ma priva di forza vitale. Oltre tutto la mentalità corrente negli ambienti culturali laici, ed anche clericali, non considerava la possibilità che le biblioteche ecclesiastiche avessero una destinazione che andasse oltre la specifica funzione di custodire gelosamente le memorie del passato.
Fu una ricerca lunga, appassionata e in certi momenti faticosa6. Nonostante il fluire dei secoli nella nostra provincia religiosa si è sempre conservata una certa nostalgia per la fase quattrocentesca della sua storia, la fase eremitica descritta agli inizi del sec. XVI da un ignoto frate autore di una Series Provinciarum

In hac Provincia Fratres ad eremitarum modum in locis desertis per nemora habitant, nihil curantes de rebus secularium quorum confessiones non audiunt …

Anche tra gli amici laici, come all’interno della fraternità francescana, si avvertiva la necessità di un servizio culturale certamente qualificato come “religioso” nello spirito e nelle intenzioni, che tuttavia non si limitasse alla teologia, bibbia, francescanesimo e altre discipline ecclesiastiche.