Giuseppe Bonfitto
Ha collaborato a diverse nostre iniziative ed è entrato a far parte del gruppo di studio della biblioteca a cui ha donato parecchio del suo tempo soprattutto quando si è reso necessario fotografare diverse collezioni di beni culturali: le tavolette votive, i paramenti sacri del santuario e quelli della collezione della biblioteca.
Ha fatto parte del gruppo corale gregoriano per l’animazione della liturgia domenicale. Insomma, Giuseppe fa parte della nostra famiglia.
Fiori del Gargano
Il Gargano dalla più remota antichità è conosciuto come inesauribile scrigno di essenze botaniche. Proteso ben dentro l’Adriatico, esposto a venti di terra e di mare, rifugio sicuro di uomini e bestie, è stato sempre meta accogliente di pastori e pellegrini e, con essi, anche di rami e semi che da lontane foreste approdano, portati dal turbolento agitarsi dell’aria e dell’acqua. La sua lunga storia di vecchio sasso scagliato nel mare, giunta fino a noi carica di ricordi belli e drammatici, di suggestioni e di desideri, esprime in primavera la sua mai sazia ricchezza con l’ubriacante caleidoscopio di forme e colori.
Giuseppe non ha voluto fare un documentario bensì descrivere un Gargano conosciuto, amato e sognato, visto con gli occhi stessi della luce che tutto avvolge e penetra; la luce che unifica e nello stesso tempo distingue le forme, penetra nei precordi della realtà esaltandone i segreti e costringendo l’intelligenza a superare la velleità, tutta umana, di schedare, analizzare, alambiccare. Giuseppe mostra le gemme del Gargano come segno visibile della Bellezza Assoluta e Antica che trae da se stessa la ragion d’essere.
San Marco ieri
La biblioteca di S. Matteo gli è particolarmente grata per la memoria di oltre cento anni di vita della nostra cittadina che lui ha documentato e interpretato attraverso l’arte che gli è più congeniale: l’arte fotografica.
Il cuore del fotografo batte all’unisono con quello della città. È una storia vissuta a due in cui il testimone segue la città vivente nelle sue fasi gioiose e dolenti.
La crescita e il declino, i quartieri antichi schierati intorno alla chiazza di sotta e la chiazza di sope, le case costruite in faccia al sole di mezzogiorno: strette, accucciate l’una all’altra per ripararsi dal vento e conservare, insieme al calore, l’inestimabile ricchezza della vicinanza e dello scambio amichevole.
Poi la città dilagò e coi nuovi quartieri si sgranò superando il limite del torrente.
Giuseppe ha documentato con rara attenzione il progressivo ingresso della nostra cittadina nella modernità. È una fase delicata che Giuseppe documenta con rigore.
Nei primi decenni del ‘900, le case non erano più concepite con forte interconnessione, quasi a completarsi e difendersi reciprocamente. Non erano ancora degli alveari-dormitori, ma già evidenziavano forti spinte individualistiche. Ciò nonostante era ancora forte a San Marco, e Giuseppe lo documenta con puntiglioso amore, il senso della cittadinanza, dello stare insieme, in una visione antica, quasi medievale e comunale. I cittadini di San Marco, nella documentazione di Giuseppe, sentono ancora il bisogno di stare insieme, di discutere, di giocare.
Tra i pochi del Gargano e della Capitanata, i sammarchesi avevano già una villa comunale. Era il ritrovo pomeridiano sotto gli alti platani nelle calde giornate estive; la domenica mattina, nei tempi anteguerra, la banda cittadina dall’alta cassa armonica costruita in pianta stabile nel bel mezzo della villa diffondeva le arie e ouverture delle opere liriche più popolari. La cassa armonica era il simbolo vivente della lunga tradizione musicale sammarchese. Oggi la cassa armonica è inspiegabilmente scomparsa.
I nuovi quartieri crescevano armonici e ben strutturati con vie larghe e molti spazi comuni. Una invenzione davvero geniale furono i viali, il vero salotto della città: il Viale della Rimembranza disegnato per ricordare i caduti cittadini nella Prima Guerra Mondiale, ogni albero un nome, ogni nome un grato ricordo; il viale, il preferito dalle signore in pellicia, terminava nei pressi della chiesa dell’Addolorata con la sua rossa colonnina-distributore di benzina. Poi, disposti in bella geometria, il viale dei preti e quelli degli intellettuali, degli impiegati, dei benpensanti, degli studenti e degli sfaccendati.
Introdotta e fiancheggiata dal bel Viale della Rimembranza, fu disegnata come luogo di intrattenimento sereno di famiglie e fanciulli, ma anche come raccordo tra i due aspetti importanti della vita cittadina: quello del movimento e dell’incontro produttivo del Largo Piano, con il momento spirituale della chiesa dell’Addolorata. Era una unica grande passeggiata: ad est il turbinio moderno delle macchine, delle persone e delle voci, ad occidente l’armonica facciata della chiesa chiudeva il breve triangolo finale, diventato sagrato raccolto e silenzioso, che naturalmente incanalava i sammarchesi verso la porta della chiesa. Poi, sappiamo come sono andate le cose.
Giuseppe Bonfitto, come tutti gli artisti, è un intuitivo che con la semplicità dello sguardo, vede i fili sottili che muovono cose e persone, il fluire delle vicende umane. Per questo motivo gli riesce facile scrivere con le immagini una storia che avrebbe ancora molto da raccontare e suggerire; una storia che, oggi soprattutto, potrebbe ben essere letta con serietà da cittadini, operatori e amministratori. Ma per arrivare a questo bisognerebbe amare la storia! Arte difficile!!
Ne viene un caleidoscopio di sentimenti immediatamente espressi senza la mediazione di parole. Ha sempre inteso la sua attività di documentatore e interprete della città come un servizio. In questo senso Giuseppe ha obbedito sempre alla sua ispirazione, alla fantasia, inventando una notevole serie di attività artistiche e divulgative.
Ne ricordo solo qualcuna. Nel 1964 espone una mostra con una sessantina di opere. È il suo manifesto programmatico a cui rimarrà fedele fino ad oggi: l’interesse per le cose di casa nostra, le bellezze della natura, la meravigliosa ricchezza della povertà dignitosa e priva di odio. La mostra fu oltremodo gradita dalla popolazione ed ebbe grande successo anche tra i forestieri. Fu recensita da alcuni quotidiani e premiata dall’ENAL.
Nel 1971 il suo documentario Fede e Folclore fu proiettato nel locale cinema.
Furono tre sere affollatissime di sammarchesi e di forestieri venuti per l’occasione.
La locale Polisportiva, infatti, endemicamente a secco e sempre sull’orlo dello scioglimento, fu inaspettatamente salvata dalla generosità di Giuseppe che aveva già deciso di devolvere a suo favore tutto l’incasso delle serate. La cosa ebbe un seguito. Dopo qualche tempo il sindaco dell’epoca, Napoleone Cera, conferì al nostro Giuseppe la medaglia d’oro per meriti sportivi per aver salvato da sicura morte la Polisportiva. Ancora oggi il nostro Giuseppe s’interroga; ma che ho fatto io di tanto importante per meritarmi la medaglia d’oro? In fondo ho fatto solo ciò che dovevo fare.
È vero: oggi queste sembrano storie d’altri tempi. È altrettanto vero, come ha scritto Antonio Daniele, che questo atteggiamento è frutto di un modo di pensare la vita basata sulla gratuità, che l’articolista definisce francescana, una concezione certamente rara, ma non estranea a moltissimi giovani sammarchesi. Propone le cose, ma non se stesso; racconta fedelmente la sua città con alto senso civico, e poi sparisce nel suo laboratorio.
Anche nel 1979 ci fu una mostra di successo su San Marco al circolo ACLI. Nel 1981 allestì la mostra San Marco ieri che venne esposta nella Padula.
Il luogo simbolo di S. Marco divenne un gran teatro di commenti, risate, nostalgie, ammiccamenti, rievocazioni e pettegolezzi. La scena si ripeté nella biblioteca di San Matteo qualche tempo dopo, ad uso dei forestieri.
Nel frattempo era stato pubblicato il volume fotografico Dal fondo dei paesi. In seguito Giuseppe donò alla biblioteca di S. Matteo l’intero complesso di immagini.
Nel 1992, a causa della guerra civile tra le repubbliche jugoslave, i novizi e i frati studenti di alcune province francescane slave furono costretti a lasciare le loro terre. Molti vivevano in conventi della nostra provincia monastica. Era necessario, quindi, che anche la nostra fraternità contribuisse a provvedere al necessario sostentamento di questi giovani frati colpiti dalla cattiveria umana.
Alcuni di essi avevano perduto padri, madri e fratelli assassinati da cecchini. Dal bilancio interno recuperammo delle risorse. Gli amici furono presenti. Giuseppe volle partecipare con una iniziativa benefica culturalmente elevata. Allestì a sue spese la mostra Compra un fiore, aiuta la pace. Un centinaio di fiori scelti fra i più belli dei nostri boschi, fotografati magistralmente in natura e debitamente incorniciati, ornarono per qualche giorno i locali del convento. In breve tempo furono venduti tutti.
L’ultimo lavoro che ha fatto per la biblioteca è stata la lunga serie di fotografie dei nostri ex voto: quasi mille scatti che hanno avuto come oggetto le tavolette votive e gli innumerevoli ex voto oggettuali relativi ai sec. XIX e XX e gli oltre mille scatti sulla collezione di paramenti sacri antichi.
Il 24 aprile 2012 Giuseppe Bonfitto ha ricevuto il Leone di San Marco. Non è quello della Mostra Cinematografica di Venezia, ma sempre di fotografie si tratta. Non è d’oro, ma ugualmente prezioso per il ringraziamento e l’affetto che esprime.
Michele La Riccia
Pagghiari, casupole fatte con pietre a secco che si tengono insieme per pura forza di gravità. Anche la cupola con cui si chiude il loro cielo è fatta di pietre senza malta. Sul primo e secondo filo di pietre grosse, si stende un ultimo strato di pietrame minuto ricoperto spesso da terra rinverdito di soffice manto erboso.
Le grosse mura coprono pochi metri quadrati che servono per ricoverarsi in caso di maltempo, o a conservare gli attrezzi. Michele La Riccia ha percorso molti sentieri e pendii rocciosi alla ricerca di questi umili manufatti rappresentanti la millenaria storia di generazioni che hanno cercato di sopravvivere spremendo poche gocce di humus vitale dalle aspre plaghe del Gargano meridionale. Sono l’unico monumento che la fatica degli uomini e l’aridità della terra abbiano mai dedicato a se stessi. Michele ha donato le foto alla biblioteca di S. Matteo.
Fotografie
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