San Matteo, un convento dalle molte vite
di Paolo Malagrinò

La copertina del I volume delle memorie di p. Mario Villani sul Conevento di s. Matteo.
La copertina del I volume delle memorie di p. Mario Villani sul Conevento di s. Matteo.
Era il 1896 quando il viaggiatore francese, Emile Bertaux (1869-1917), diretto anch’egli come i tanti viaggiatori stranieri alla grotta di Monte Sant’Angelo, visitando il convento di San Matteo annotava: Ancora oggi i pellegrini che arrivano dal Nord, attraverso la valle scavatasi nel mezzo della larga montagna, si fermano alle rovine del monastero di San Marco in Lamis.
A seguito della soppressione degli ordini religiosi del 1860, il santuario di San Matteo era stato forzatamente abbandonato dai frati francescani e consegnato alla pubblica amministrazione la quale non sapendo cosa farne e come utilizzarlo, dopo vari tentativi, lo lasciò andare in rovina. Ma se il luogo fisico era abbandonato e in rovina il luogo spirituale era ancora ben vivo e pulsante. I fedeli che per secoli avevano fatto riferimento al santuario di San Matteo continuavano a frequentarlo con fede anche in quelle condizioni. Lo dimostrano, al di là della descrizione del Bertaux, le tavolette votive offerte per grazia ricevuta datate 1870, 1894, 1897, 1898 a testimonianza della forte vitalità del santuario a cui i fedeli comunque accorrevano anche quando l’edificio era in condizioni disastrate e i frati formalmente assenti.
Le tavolette votive citate sono tuttora ben visibili e in mostra nel Museo Devozionale del Santuario di San Matteo e costituiscono le tavolette superstiti datate di quel periodo a cui si possono ancora aggiungere le tante altre coeve e successive al ritorno dei frati minori, ritorno avvenuto nel 1905 a ulteriore dimostrazione dell’attaccamento dei fedeli al proprio santuario.
Quello della soppressione postunitaria fu certamente un momento difficile per la vita e la sopravvivenza del santuario ma certamente non l’unico. In precedenza, già nel XVI secolo il monastero era ridotto quasi a rudere al punto che il Gonzaga (1546-1620) nel 1587 lo definisce derelictum e ancora monasterium …ruinam minari viene detto nella bolla di affidamento ai francescani del 1578 di papa Gregorio XIII (al secolo Ugo Boncompagni, 1502-1585).
La copertina dell'opera di p. Mario Villani
La copertina dell'opera di p. Mario Villani
Sorto probabilmente intorno al VII sec. come una chiesetta attorno a cui una tettoia, o un cortile coperto, alloggiava i pellegrini, come abbazia benedettina col titolo di San Giovanni de Lama divenne una importante abbazia che con la sua crescita e intensa attività ha contribuito alla formazione degli attuali abitati di San Marco in Lamis e San Giovanni Rotondo. L’abbazia di San Giovanni de Lama probabilmente fu la prima di una serie di numerose abbazie sorte successivamente come Santa Maria di Pulsano (che dopo varie vicende e un lungo periodo di abbandono oggi è nuovamente fiorente), Santa Maria nelle Tremiti, di Calena, di Devia, di Monte Sacro, di San Giovani in Piano. Lo sviluppo degli avvenimenti storici ha decretato la fine di queste abbazie; in qualche caso rimangono solo dei ruderi a testimoniare il passato splendore.
Il Santuario di San Matteo nel corso della sua lunga vita ha avuto momenti di splendido fulgore alternati a momenti difficili che ne hanno messo in forse la stessa sopravvivenza.
Ma superando le varie difficoltà il santuario di San Matteo è più volte risorto anche cambiando aspetto. Del lungo e tormentato passato poco o nulla è rimasto a livello di documentazione scritta. Del periodo benedettino rimangono alcuni elementi architettonici e brandelli di affreschi nella chiesa che, anche con le trasformazioni architettoniche successive, lascia comunque intravedere la sua origine di cappella ad uso prevalente interno da parte dei frati benedettini. Del periodo benedettino rimane comunque l’impostazione che, anche con gli aggiustamenti
successivi, ha assunto la forma che oggi vediamo. Una struttura possente che nella sua forma quadrangolare a volte fa pensare più a una roccaforte militare che ad un convento; solo all’interno del chiostro un delicato colonnato ingentilisce in chiave francescana il complesso architettonico.
Quando nel 1578 subentrarono i francescani, già presenti nel vicino santuario della Madonna di Stignano, il convento aveva già assunto la nuova titolazione essendo divenuta più frequente la dedicazione popolare a San Matteo al punto da far dire al Gonzaga ut alijs placet.
Anche nei cinque secoli di presenza francescana le sorti del convento sono variamente cambiate passando dallo stato di pauperissima a momenti di significativa ricchezza.
Nei vari periodi, ancora oggi difficili da seguire per mancanza di adeguata documentazione, ha ospitato per un lungo periodo la pannifica officina per diventare anche scuola interna di filosofia e teologia.
L'opera di o. Mario Villani
L'opera di o. Mario Villani
Cambiando i tempi e le esigenze, nel Novecento il convento si arricchisce di una poderosa e preziosa biblioteca, ancora oggi esistente e funzionante.
Un convento, divenuto nel frattempo per devozione e frequentazione popolare anche santuario abituale meta, tra l’altro, di numerosi pellegrinaggi, che ha saputo trasformarsi e adattarsi alle varie esigenze sorte nel corso dei secoli.
Particolare attenzione l’Autore dedica ai vari passaggi mettendo ben in evidenza come il Santuario ha saputo adattarsi ai cambiamenti del tempo e rispondere alle mutate esigenze dei fedeli senza pur tuttavia venir meno alla naturale assistenza spirituale.
Particolare attenzione p. Mario Villani dedica alle vicende della Biblioteca, della quale è stato direttore per circa cinquanta’anni. Come tale p. Mario non solo ha notevolmente incrementato la biblioteca con acquisti e donazioni spontanee ma anche portato la biblioteca fuori del convento con i tanti incontri culturali cui ha preso parte, con la partecipazione a congressi, con la realizzazione di mostre itineranti come quella, rimasta ben famosa, della Bibbia realizzata utilizzando le antiche edizioni presenti nella biblioteca.
Ha creato, inoltre, un clima di ospitalità che ha consentito a studiosi di varie competenze ed estrazione di confrontarsi facendo della biblioteca non solo un luogo dove custodire, conservare e studiare i libri ma anche un luogo di incontro dove poter confrontare conoscenze, idee e metodi di lavoro. In questo promozione umana e culturale p. Mario è stato accompagnato e sostenuto dai vari membri della comunità francescana tra i quali mi piace ricordare almeno p. Nicola de Michele, p. Gabriele Fania e il mai dimenticato il semplice fra Matteo.
Questo ulteriore bel libro di p. Mario Villani si snoda tra cronaca e storia con una inevitabile partecipazione personale avendo vissuto direttamente le trasformazioni del convento-santuario di San Matteo.
E il presente lavoro di p. Mario si muove tra le tante problematiche in quanto nella biblioteca sono confluite raccolte diverse dai libri come quella archeologica, degli arredi sacri, una considerevole raccolta artistica articolata tra quadri e sculture ma anche le considerazioni sui restauri, sui pellegrini e quant’altro. Il convento-santuario di San Matteo si presenta quindi di lettura articolata proprio per la complessità degli argomenti che presentano un caleidoscopio di suggestioni, emozioni e sollecitazioni spirituali e culturali.