Nonostante la brevità del percorso il rituale propone del pellegrino il quadro classico della persona che, lasciata casa e famiglia, si appresta a compiere una lunga e difficile impresa per vie e luoghi sconosciuti e pieni di pericoli. Dice l’introduzione
Peregrini ad loca sancta profecturi, antequam discedant, iuxta veteris ecclesiae institutum debent accipere patentes seu commendatitias litteras a suo parocho. Quibus obtentis et rebus suis dispositis, facta peccatorum suorum confessione et audita missa in qua dicitur oratio pro peregrinantibus, SS. Eucharistiam devote suscipiant.
Sacerdos super eos genuflexos facit sequentes preces.
È plausibile, quindi, che questo frammento sia quanto rimane di un rituale molto più antico in uso quando le condizioni del pellegrinaggio erano più difficili di quanto lo fossero alla fine del sec. XIX.
Più ragionevoli le richieste finali. I pellegrini prima di partire devono confessarsi e ricevere l’Eucaristia, pane dei pellegrini, e la benedizione del sacerdote.
Altra specificità del rituale sammarchese è la benedizione della cappa, indumento classico del pellegrino, del bordone e della corona angelica che lo aiuterà a pregare durante il viaggio.
Il cammino dei pellegrini sammarchesi è molto duro, caratterizzato da forte radicalità religiosa, senza alcuna delle bellissime e umanissime digressioni proposte, per esempio, dal rituale di Ripabottoni il quale sentenzia, appena arrivati a Torremaggiore, qui ci facciamo un bicchierotto di vino. Durante tutto il cammino e la giornata di permanenza a Monte Sant’Angelo è consentito solo pregare e far penitenza.
Un pellegrino è stato deferito al consiglio della confraternita perché non si è limitato a nutrirsi di pane ed acqua, come prescritto, ma ha mangiato anche ‘muscisca’, la saporita carne di pecora seccata in uso presso i pastori. Le mancanze sono tutte annotate e comunicate in apposite relazioni. Spesso si lamenta quanto già S. Agostino rilevava: rapporti disinvolti fra uomini e donne anche in chiesa.
Qualche pellegrino è arrivato a trascorrere la notte con la fidanzata. Il segretario della compagnia del Carmine, nella sua relazione scritta negli ultimi decenni del sec. XIX per il priore della confraternita, rivela senza mezzi termini il nome di una sarta rea di aver lasciato correre liberamente la fantasia delle sue ragazze intente, più che a pregare, a trovarsi il “zito”, fidanzato.