I rituali, di cui daremo qualche cenno descrittivo, esprimono, attraverso la complessa organizzazione fatta di rubriche, monizioni, dialoghi, meditazioni e preghiere la fondamentale unità in cui ogni elemento spirituale, storico, catechetico, organizzativo, agiografico trova il suo posto nell’ambito di un progetto organico e unitario.
Naturalmente l’organicità del rituale esprime in pari tempo l’unità del gruppo intorno a questo progetto che deve essere integralmente accettato dalla tradizione, puntualmente vissuto e fedelmente trasmesso. Il rituale delinea un cammino, che è insieme geografico e spirituale, già percorso e sperimentato dai padri, da consegnare intatto alle generazioni future.
Non sembri fuori luogo, allora, se si fa riferimento esplicito alle confraternite quando si vuole approfondire la struttura religiosa ed organizzativa delle comitive, anche se limitatamente alla sola circostanza del pellegrinaggio.
Sarebbe utile far riferimento alla funzione svolta nel passato dalle confraternite per l’assistenza dei pellegrini e nella conduzione degli ospedali come è attestato per Troia già dal sec. XV e San Marco in Lamis dal XVII secolo.
In questa sede, mi preme far osservare come le confraternite spesso abbiano dato origine ai pellegrinaggi come esigenza di vita interna e che il pellegrinaggio stesso, guardato nelle sue finalità spirituali e nel suo svolgersi, rimandi ad organizzazioni fortemente strutturate e motivate come le confraternite.
Il pellegrinaggio alla grotta dell’arcangelo, infatti, con il suo fortissimo richiamo alla conversione, rappresenta un momento privilegiato di crescita della comunità.
Il pellegrino per otto giorni e più passa attraverso la fatica e i disagi del cammino, la revisione di vita, la preghiera continua e senza alcuna distrazione, la meditazione, l’esercizio forte e diuturno della solidarietà e della condivisione, le pesanti privazioni, la sottomissione indiscussa a un capo, ecc. Tutto ciò, se vissuto con fede, ha il potere di relativizzare molti idoli e spuntare gli artigli a molte paure.
Inoltre i pellegrini, esaurito il pellegrinaggio, ne approfondiscono i contenuti spirituali nella quotidianità della vita di famiglia e di quella ecclesiale, del lavoro e dell’impegno sociale, a stretto contatto con i loro compagni di viaggio, sviluppando all’interno di un gruppo stabile un continuo confronto, fatto di costante revisione di vita, di correzione fraterna e di partecipazione a una intensa vita comune.
Il pellegrinaggio che da San Marco in Lamis s’incammina verso Monte Sant’Angelo alla metà di maggio, anche se aperto a tutti, è, ancora oggi, una emanazione della confraternita di San Michele Arcangelo il cui centro è il santuario micaelico garganico. Esso è l’erede dei tre pellegrinaggi annuali cittadini, documentati dalla prima metà del sec. XVII fino alla fine del sec. XIX, che venivano organizzati ogni anno dalle confraternite del Carmine avente sede nella parrocchia di S. Antonio Abate, del SS. Sacramento presso la collegiata di Maria SS. Annunziata, e da quella di Santa Maria Bambina presso la ricettizia di San Bernardino. I pellegrinaggi, benché aperti a tutti i fedeli, erano intesi essenzialmente come momenti formativi delle stesse confraternite. Qualcuna di queste, poi, gestiva dei locali in cui accogliere i pellegrini di passaggio, li curava se malati, a volte li forniva anche di mezzi se particolarmente poveri.