P. Nicola De Michele, un uomo comune

Convento di San Matteo-Con p. Pizzaballa
Convento di San Matteo-Con p. Pizzaballa
Nacque nel 1930 a Montelongo, un paesino del Molise difficile da reperire sulle carte geografiche, in una famiglia di piccoli contadini. Dopo le elementari entrò nel collegio serafico del convento della SS. Trinità a Sepino. Gli anni della sua formazione attraversarono il tempo della guerra e del dopoguerra. Giovane sacerdote fu destinato al convento di S. Antonio a Bari come vice parroco. Dopo alcuni anni, trascorse un breve periodo a Bitetto, convento del Beato Giacomo, e nel 1962 fu mandato a S. Matteo sul Gargano. L’aria di S. Matteo a quei tempi era reputata capace di guarire le più disparate malattie tra cui anche l’infiammazione delle vertebre cervicali di cui p. Nicola soffriva. I dolori cervicali gli rimasero per tutta la vita. La fraternità di S. Matteo era composta da p. Vincenzo Gallo superiore, p. Angelo Marracino, p. Antonino Mariella e p. Francesco Taronna.
Nel 1963 p. Angelo nuovo guardiano, p. Nicola vicario e maestro dei giovani frati studenti di filosofia, insieme a p. Antonino Mariella e p. Francesco Taronna facevano una bella squadra piena di vita e di idee.
Con la nuova fraternità, l’economia crebbe. Si misero a punto alcuni progetti uno dei quali dotò la chiesa di mosaici e vetrate disegnate da uno studio d’arte francescano. Ma, insieme, fu riesumato il progetto della biblioteca rimasta allo stato della fondazione avvenuta nel 1942 per iniziativa del superiore dell’epoca, p. Doroteo Forte, consigliato dall’amico prof. Pasquale Soccio. Ci fu l’inaugurazione con benedizione del provinciale p. Agostino Castrillo e discorso inaugurale di p. Diomede Scaramuzzi. La biblioteca, annunziata da solenne lapide in marmo con dedicazione a p. Antonio M. Fania da Rignano, fu ubicata nel reparto chiamato “seminario” posto nel lato nord all’ultimo piano del convento.
Ma i tempi non erano maturi, il reparto, lontano ed esposto alle intemperie, non favoriva la frequentazione degli studiosi, e poi si era in piena guerra. Il lodevole tentativo non andò oltre e la lapide non venne mai sistemata.
Nel 1963 l’idea fu ripresa. Si fecero lavori murari e si rinnovarono gli scaffali, completate alcune raccolte librarie; riordinate le sezioni, e si scattarono le rituali fotografie. Ma anche questo tentativo si chiuse al suo inizio per gli stessi motivi del primo del 1942.
Nel 1967 p. Angelo Marracino fu eletto ministro provinciale e la conduzione del convento fu affidata a p. Nicola.
Parlare del ruolo svolto da p. Nicola a S. Matteo è difficile. La varietà e quantità degli interessi da lui coltivati dal 1967 al 1997, periodo in cui a diverso titolo si è occupato della direzione del convento, potrebbe essere sintetizzata con poche parole: p. Nicola è stato il testimone e l’operaio più diretto della evoluzione religiosa, culturale e sociale del convento negli ultimi cinquant’anni vivendo, da protagonista non del tutto consapevole, il difficile passaggio alla modernità non solo di San Matteo. Il suo è stato il protagonismo della proposta umile e misurata che scaturiva dalla realtà e dall’interconnessione delle sue molteplici componenti conosciute dalla frequentazione di un vasto e agguerrito circolo di amici.
Nel 1963 il nostro promontorio era noto come lo Sperone d’Italia posto al punto giusto dello Stivale; ma più di tanto non si sapeva. A S. Matteo a maggio passavano i pellegrini diretti a S. Michele e a settembre era meta dei devoti di S. Matteo. I pellegrini erano un fenomeno antico, la cui importanza storica, culturale e religiosa, tuttavia, non era colta nella sua interezza. Il convento francescano viveva nell’ordinario della sua vita interna con saltuarie aperture verso un mondo dalle limitate necessità.
Ad occhi attenti, tuttavia, il convento di S. Matteo, nonostante la sua mole solitaria dall’aria intimidatoria, non era la Fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari.
La sua storia recente, infatti, e in parte anche quella antica, mostrava, insieme a limitate aperture culturali, anche interessanti tentativi di risposta alle condizioni di antica povertà delle popolazioni garganiche. P. Gerardo Di Lorenzo era noto per i suoi molti passi spesi nei luoghi del potere per far conoscere le condizioni del Gargano, proporre, stimolare, indurre all’azione. La fraternità di S. Matteo per diversi anni era stata luogo dove era facile incontrare politici e braccianti, professori di università ecc. Esistevano già aperture, altrove non usuali, che andavano frequentate e approfondite la prima delle quali era la presenza attiva dei laici nella vita pubblica del convento. Nello scorrere del tempo si vide quanto importante fosse questa presenza non solo per l’attività culturale, per la biblioteca, per i restauri, la gestione del territorio e per i rapporti con la pubblica amministrazione ma anche per gli aspetti più propriamente religiosi come le complesse problematiche connesse col passaggio dei pellegrini, degli aggiornamenti della
liturgia, il recupero della dimensione popolare nelle pratiche di pietà.
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Convento di San Matteo-Foto del 2009
Convento di San Matteo-Foto del 2009
a lunga gestione di p. Nicola, quindi, iniziò in un mondo, quello di S. Matteo, il cui sviluppo era in qualche modo scritto nella molteplicità degli interessi ereditati dalle precedenti generazioni di frati. Era necessario acquisire coscienza di questa eredità. Si trattava, in fondo, di superare la tentazione, cara a tutti i dirigenti di nuovo conio, di rinnovare il mondo senza tener conto delle sue caratteristiche e della sua storia.
Uno dei criteri fondamentali della presenza di p. Nicola a S. Matteo fu il senso della continuità. Era consapevole che tutta la storia del convento si è articolata a partire dal suo ruolo religioso nel sapiente gioco di conoscenza e di rimandi che nel tempo ha dato origine a un tessuto organico di realizzazioni e di prospettive in cui il nuovo è figlio dell’antico e le nuove generazioni, pur con diversi linguaggi, devono fare sempre riferimento all’eredità ricevuta. Ogni sua scelta è stata condotta all’insegna della continuità storica del convento di S. Matteo visto sia come punto di riferimento religioso, sia nella specificità del suo rapporto col territorio garganico, sia nella sua dimensione culturale. P. Nicola non era un teorico, ma un istintivo che sapeva ascoltare e annusare il futuro, ben cosciente della necessità che l’eredità dei padri si coniugasse con il presente le cui richieste erano molto più impegnative di quanto lo fossero nei tempi passati.
Il ruolo dei laici fu fondamentale nella chiarificazione del ruolo di S. Matteo verso un mondo in evoluzione. Una delle figure più rappresentative del processo di inserimento di S. Matteo nella modernità fu il prof. Pasquale Soccio.
La prova iniziale di questa impostazione ideale avvenne nel primo triennio del mandato di p. Nicola come superiore di S. Matteo, quando s’iniziò a parlare in termini esecutivi di un progetto già per sommi capi delineato qualche anno prima, durante la reggenza di p. Marracino: la celebrazione del XIV centenario della fondazione del monastero di S. Giovanni in Lamis, divenuto convento di S. Matteo.
Le attività religiose furono concordate con i superiori della Provincia religiosa e col Gruppo dei predicatori capitanato da p. Giacomo Melillo i quali coinvolsero frati di diverse regioni italiane per una grande missione popolare a San Marco in Lamis.
Per le attività culturali furono impegnati i proff. Pasquale Soccio, Tommaso Nardella, e l’avv. Berardino Tizzani, presidente dell’amministrazione provinciale della Capitanata i quali, a loro volta, coinvolsero studiosi di università, la biblioteca provinciale di Foggia ed altri centri di studio. Il momento culminante delle attività culturali fu la Mostra del Libro Garganico concepita con due precise motivazioni: riassumere quanto finora era stato scritto sul Gargano e stimolare gli studiosi ad aprire nuove piste di ricerca.
Il programma stilato era una novità per il territorio garganico che per la prima volta era presentato nell’ampiezza della sua storia di territorio marginale e quasi negletto, anche se nel suo passato era stato oggetto delle ricerche del p. Manicone.
Ma era una novità assoluta anche per il convento di S. Matteo e per tutta la provincia monastica. Le sporadiche iniziative culturali dei decenni precedenti erano state intese e condotte come una estensione delle attività catechetiche e divulgative di temi religiosi o attinenti figure e momenti di storia francescana.
D’altra parte le importanti iniziative di alcuni frati, come p. Gerardo Di Lorenzo a cui si è accennato, e le prediche sociali di p. Gabriele Moscarella e p. Doroteo Forte non avevano prodotto nella provincia francescana interessi culturali diversi da quelli strettamente connessi alla vita interna e utili alla limitata esposizione esterna ai conventi: la predicazione, l’azione pastorale, la formazione dei giovani.
Il programma culturale del centenario, invece, emergeva dalla presa d’atto che il convento di S. Matteo era uno dei centri religiosi in cui le comunità garganiche si riconoscevano. Al convento si chiedeva una presenza pubblicamente attiva in grado di contribuire alla ripresa religiosa, civile e culturale delle genti garganiche.
Nel programma, per la terza volta irruppe, in tutta la sua urgenza, il tema della biblioteca da sviluppare in termini adeguati alle necessità degli studiosi con locali sicuri e facilmente raggiungibili, ampi spazi, apertura continua.
Convento di San Matteo-Foto del 2009
Convento di San Matteo-Foto del 2009
La biblioteca fu progettata come uno dei momenti aggregativi delle forze intellettuali del Gargano, e non solo. Doveva, inoltre, assicurare continuità agli interessi suscitati dalla Mostra del Libro Garganico e dalle altre suggestioni emerse dalle celebrazioni centenarie.
Mi sono trattenuto sul XIV centenario perché è l’episodio centrale del nuovo corso della vita di S. Matteo, quello che ha messo allo scoperto le potenzialità del convento delineando nel contempo le linee programmatiche di futuri sviluppi.
Già dalla fine degli anni ’60 l’intenso colloquio con gli amici laici, partendo dall’aspetto propriamente culturale, si allargò al campo eminentemente religioso.
Erano gli anni a ridosso del Concilio Vaticano II che aveva emanato un fondamentale documento sulla Sacra Liturgia in cui non si prevedevano sostanziali cambiamenti nell’organizzazione interna delle chiese, ma si raccomandava che, dove fosse possibile, si utilizzassero sobrie strutture mobili per consentire la celebrazione della Messa in cui emergesse, di fronte all’assemblea, la funzione presidenziale del celebrante. Ma, com’è noto, questo documento usufruì di fantasiose interpretazioni che divennero molto popolari nelle sacrestie. L’opinione corrente fu che gli interni delle chiese andassero ripensati.
Queste idee tentarono di catturare anche S. Matteo. Così, nel 1971 ci fu un tentativo da parte del governo della provincia religiosa, di imporre la distruzione degli altari laterali di S. Matteo. La disposizione non ebbe alcun seguito. Produsse, invece, l’effetto contrario perché servì alla fraternità di S. Matteo ad affrettare la riflessione sulla necessità di salvaguardare il patrimonio storico del convento.
Maturò l’idea di restaurare proprio gli altarini laterali. Gli interventi eseguiti nei secoli suscitavano molti interrogativi. Le prove di restauro degli altarini furono condotti nel 1972 da Nicola Petruccelli. Nel frattempo erano stati approvati dagli uffici competenti i finanziamenti per importanti lavori di sistemazione del piano superiore del convento e del tetto. Inoltre nel 1975 un forte terremoto aveva provocato una pericolosa lesione alla volta della chiesa. Era indispensabile condurre lavori di consolidamento che iniziarono ugualmente nel 1975 insieme ai restauri degli altari laterali.
I lavori misero in luce una importante quantità di segni che riportavano l’età della chiesa molti secoli indietro rispetto alla data approssimativa, il sec. XVII, a cui si pensava allora risalisse la sua attuale conformazione. I ritrovamenti misero in crisi la fraternità. Le pressioni di tipo ideologico erano molto forti; era necessario, inoltre, riflettere in modo concreto sul fatto che, scegliendo i restauri, sarebbe stato indispensabile riprogettare i lavori della chiesa con relativo allungamento dei tempi e crescita delle spese. [...]