Convento di San Matteo-Foto del 2009
Convento di San Matteo-Foto del 2009
La testimonianza della cinquecentesca Series Provinciarum è certamente veritiera per quanto riguarda i primi decenni del sec. XV, ma ha il grave difetto di essere stata riferita fuori tempo, quando le condizioni in cui vivevano i frati della provincia di S. Angelo erano altre. Già alla metà del ‘400 i frati confessavano e predicavano. Anzi in materia di biblioteche la nostra provincia religiosa vanta un primato. Nel capitolo provinciale del 1448 tenuto nel convento di S. Nazario a Morrone del Sannio, provincia di Campobasso, furono redatti i primi Statuti Provinciali di cui gli art. 19 e 20 erano dedicati alla scrittura e all’uso dei libri. L’art. 29 regolava la conservazione dei libri “de alcuno valore”, parole che probabilmente si riferivano a manoscritti particolarmente preziosi i quali dovevano essere “tenuti in lochi securi e inclusi" "co la clavatura bona". I libri conservati erano messali e breviari manoscritti, libri per i confessori e compilazioni per i predicatori. Le brevi notizie che gli Statuti Provinciali trasmettono ci narrano di frati attivi che sentono il bisogno di avere a disposizione strumenti culturali
per svolgere i ministeri della confessione e della predicazione in modo adeguato.
Nel 1448, anno della compilazione degli statuti, era fresco il ricordo di S. Bernardino da Siena e di S. Giovanni da Capestrano, ambedue frequentatori abituali dei nostri conventi per corsi di predicazione e visite alle fraternità osservanti.
Ma la loro presenza rimandava anche alle figure di fr. Alberto da Sarteano e di S. Giacomo della Marca, oltre che dei frati studiosi della famiglia osservante allevati nel clima rinascimentale che si occupavano con forte senso religioso di matematica come Luca Pacioli, ma anche di banche e di questioni sociali.
Fu la lunga storia dell’ordine serafico a suggerirci alcune linee portanti. Insieme alle figure sopracitate vennero rievocati, Alessandro di Hales e S. Bonaventura, Ruggero Bacone, il beato Giovanni Duns Scoto, Guglielmo Occam e altri illustri frati francescani benemeriti della cultura.
Nel seguito di questa storia s’iniziò una fruttuosa riflessione sul ruolo formativo che i frati dovevano assumere in rapporto alla società, argomento di cui p. Michelangelo Manicone alla fine del sec. XVIII fu esperto ed appassionato missionario.
Convento di San Matteo-Foto del 2010
Convento di San Matteo-Foto del 2010
Si notò, inoltre, che il pensiero di Manicone era stato, in certo modo, praticato dai nostri predicatori. Si ricordavano le belle figure di p. Gabriele Moscarella, di p. Doroteo Forte e di altri che, sulla scia dei grandi predicatori come il padre Semeria, Gioacchino Ventura ecc. non esitavano a toccare argomenti di grande attualità religiosa e civile.
Col tempo si capì anche che la cultura “laica”, e perfino quella che si autoproclamava atea, sentiva il bisogno di una completezza soprattutto nel campo della storia religiosa, della bibbia, liturgia ecc. Si capì anche che anche la cultura “laica”, a sua volta, poteva dare ottimi contributi alla riflessione religiosa.
D’altra parte, già a quei tempi l’interesse per la figura di S. Francesco e la storia francescana era fortemente avvertito come essenziale. Alcuni aspetti di questo interesse vennero allo scoperto nella nostra provincia nel convegno di studio del 1980 dedicato alla presenza francescana in Capitanata.
In questo processo appariva evidente lo strettissimo collegamento della figura di S. Francesco e della vita dell’ordine minoritico con la storia civile, religiosa e artistica dell’Italia. S. Francesco e i francescani erano percepiti come il naturale collegamento tra la cultura laica e laicistica e quella religiosa.
I proff. Pasquale Soccio e Tommaso Nardella e il notevole gruppo costituitosi nel 1967 erano testimoni e protagonisti di questo fruttuoso ed entusiasmante incontro. La mostra del libro garganico, infatti, fu l’avvenimento-chiave in cui si erano individuate le linee fondamentali su cui sviluppare il futuro culturale di S. Matteo. I proff. Soccio e Nardella avevano aperto la fraternità di S. Matteo all’ampia gamma degli interessi culturali riguardanti il territorio garganico con l’aiuto delle università e degli istituti di ricerca.
L’intervento del prof. Giovanni Battista Bronzini sulla necessità di studiare le tradizioni popolari, proposto nel lontano 1967 all’interno degli avvenimenti celebrativi del IV Centenario, si rivelò estremamente importante avendo suscitato tra gli studiosi laici un forte interesse anche per gli aspetti religiosi della vita del popolo. Questo fatto non solo incise sulla definizione della gamma di percorsi che saranno in seguito battuti dalla biblioteca di S. Matteo, ma portò un contributo essenziale per la riconsiderazione, da parte dei fedeli e dello stesso clero, della
validità di molti aspetti della pietà popolare, ingiustamente confinata nell’area del pressappochismo biblico, liturgico e teologico, o tacciati apertamente di sincretismo
religioso e di superstizione.
Era necessaria una istituzione aperta, dalle forti connotazioni umanistiche, finalizzata al contatto costruttivo della cultura religiosa col mondo della scienza, della filosofia, della letteratura e di tutte le scienze umane istituendo ampi e fruttuosi rapporti con gli ambienti culturali di ogni tipo e tendenza.
La fraternità religiosa di S. Matteo, d’altra parte, fin dal suo ritorno nel 1905, pur essendo fortemente impegnata nei ruoli di culto e devozionali che le derivavano dal santuario e in quelli formativi dei giovani frati studenti, aveva impostato rapporti col mondo esterno con conferenze, giornate di studio, concerti, associazioni giovanili, insegnamento, organi di stampa e collaborazione con istituti.
La scelta del capitolo provinciale del 1970, quindi, pur nella consapevolezza delle difficoltà, fu un atto di coraggio e di grande fiducia nel futuro. La storia seguente, almeno fino al 2018, mostra tutta la validità delle speranze del capitolo provinciale del 1970.
Naturalmente la realizzazione di tali speranze non fu scontata, né facile.