I rituali di pellegrinaggio come genere letterario
Essi, infatti, non sono semplici manuali di preghiere e di gesti riferiti ai singoli santuari.
Essi tracciano un itinerario spirituale in cui ogni gesto, preghiera, tappa, sosta, anche se chiaramente distinto e caratterizzato, è fortemente correlato al tutto, intendendo il pellegrinaggio come un unico percorso sacro. È rivelata in questa maniera la specificità dei santuari garganici, i quali, pur nella particolarità storica e spirituale di ognuno, esprimono un cammino unitario. A ben ragione il rituale di Ripabottoni chiama l’intero cammino, da Stignano all’Incoronata, il “Rito Santuario”. Così, ogni santuario rappresenta una tappa spirituale, ogni tratto di strada un cammino di conquista.
Il modello di fondo di questi rituali deriva dalle azioni liturgiche complesse che esprimono un itinerario come la liturgia del triduo pasquale, la complessa articolazione dei sacramenti della iniziazione cristiana o, più ancora, la lunga successione di azioni della penitenza antica. A queste azioni complesse, in definitiva, si ispira l’ordinamento delle confraternite nell’accompagnamento dei confratelli, sia come collegio, sia individualmente, nel loro cammino di conversione e di avvicinamento a Dio. D’altra parte è noto che molte confraternite hanno avuto origine e spiritualità, e qualche volta anche organizzazione, dall’Ordo Poenitentium e dai vari Ordines monastici la cui vita è fortemente legata e condizionata dallo svolgersi dell’anno liturgico.
L’aspetto puramente formale tradisce la derivazione liturgica dei rituali di pellegrinaggio.
Del libro liturgico conservano l’ufficialità solenne e paludata, l’accurata distribuzione delle parti, i dialoghi, i gesti rituali, la rigida scansione delle azioni religiose lungo l’arco della giornata e della settimana. Niente è casuale o improvvisato.
Il progetto scorre serrato e conseguente, realizzando nell’arco di otto giorni un disegno a lungo pensato in una sorta di azione liturgica in cui i diversi momenti mai perdono il contatto con gli altri momenti in una successione materiale slegata e priva di organicità.
Del libro liturgico essi mostrano l’immobilità dello schema chiuso, scaturente da poche idee portanti articolate intorno ad alcuni momenti fondamentali, consolidate da tradizione secolare.
Il pensiero della morte che tutto ridimensiona, per esempio, viene avvertito con tale urgenza che spesso il pellegrino dimentica la solennità del momento e del luogo, come pure la sconfinata grandezza di Dio, e si sfoga in forme plebee, dalle parole forti e inequivocabili. È difficile non pensare a certi personaggi nel Vecchio Testamento i quali, sotto l’urgere drammatico dell’esistenza parlano a tu per tu con Dio con lingua ardita e piena di fioriture in una apparente scorrettezza di espressione, indice tuttavia di confidenza e domesticità di rapporti.
L’itinerario che i rituali tracciano, pur nella molteplicità e varietà dei richiami spirituali, culturali e storici dei singoli santuari, costituisce un percorso unitario in cui i singoli elementi sono concatenati in progressione sulla base delle esigenze del cammino spirituale dei pellegrini e del richiamo storico e spirituale che ogni santuario ha nei confronti degli altri. Tutto ciò è vissuto comunitariamente con forte senso di Chiesa che si costruisce in progressione, instaurando all’interno della comitiva una forte comunione. Insieme i pellegrini seguono la croce, meditano,
pregano; spesso sentono il bisogno di rinsaldare la loro unità rinnovando il perdono reciproco dinanzi al Crocifisso.
La proverbiale riservatezza di questi pellegrini, unita alla non del tutto ingiustificata diffidenza verso le domande di estranei e i mezzi di comunicazione, ha reso sempre difficile la conoscenza dei loro rituali. Attualmente, insieme a molti riti singoli, conosciamo anche alcuni rituali interi. Faccio riferimento al rituale dei pellegrini di San Salvo, che conosciamo in una edizione a stampa del 1972; a quello di Bitetto che ci è giunto in una edizione a stampa del 1908; al Rituale di Ripabottoni manoscritto; e, infine, a quello di San Marco in Lamis che conosciamo manoscritto in forma ancora fortemente frammentaria.
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