Il consolidamento e l’inizio della modernità
Ritornati ufficialmente, i frati si trovarono in una situazione che in parte ricalcava quella che i loro confratelli avevano trovato nel 1815 alla fine della soppressione murattiana e al ritorno dello stato borbonico. Ma, pur vivendo in grandi difficoltà, percepivano che il nuovo ambiente politico e culturale era fortemente mutato rispetto al 1866; le molte occasioni di dialogo che si prospettavano facevano presagire sviluppi interessanti. Tale visione ottimista andava coltivata con tenacia, spirito collaborativo con le autorità, grande disponibilità e attenzione alle novità che l’incipiente modernità proponeva.
I tre secoli di presenza francescana nella valle, insieme alla lunga e importante storia dell’abbazia di San Giovanni in Lamis, furono sempre intesi dalla popolazione della cittadina garganica come suoi elementi identificativi. La vita della città s’intesseva con quella del convento con una molteplicità di interessi spirituali e di tradizioni consolidate. Il convento di S. Matteo dopo la soppressione voluta dalle leggi era avvertito come doloroso caso di coscienza per una città che, senza mai averlo voluto, si trovava proprietaria di una realtà a cui era debitrice della sua stessa esistenza.
Si è già accennato agli sforzi dell’amministrazione comunale per favorire la permanenza dei frati. Il contributo di San Marco in Lamis per la sussistenza del santuario fu sempre soprattutto di tipo politico.
Con lo scorrere degli anni, nonostante la tristitia temporum, la questione relativa alla proprietà dell’edificio conventuale aveva fatto molti progressi. Sepolti e dimenticati i furori ideologici ottocenteschi, e fatta la pace fra lo Stato Italiano e la Santa Sede, il comune di San Marco in Lamis decise che, per il bene di tutti, la vicenda “S. Matteo” andava definitivamente chiusa.
Il 18 giugno 1933 il podestà Luigi Ciavarella col consiglio comunale di San Marco in Lamis, prendendo atto del “sentimento popolare”, e nella consapevolezza che S. Matteo “è lustro e decoro del Comune di S. Marco” [Approfondimento], deliberò di “cedere irrevocabilmente e senza limiti di sorta” il convento ai frati.
Il 12 maggio 1939 la provincia monastica di S. Michele Arcangelo di Puglia e Molise con decreto reale fu autorizzata ad accettare il convento di S. Matteo.
Il 17 giugno del 1940 la cessione del convento ai frati da parte del Comune di S. Marco in Lamis fu perfezionata con atto pubblico del notaio Massimo Tardio.
Nello studio del notaio convennero il podestà dott. Matteo Schiena e il padre provinciale, p. Agostino Castrillo. Assistevano come testimoni il prof. Pasquale
Soccio e il prof. Paglia. Era presente il guardiano di S. Matteo, p. Doroteo Forte, e p. Aurelio Porzio. P. Agostino Castrillo ringraziò di cuore a nome di tutto l’Ordine Serafico.
L'economia del convento
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