Carlo Rosselli, Scritti politici e autobiografici, Prefazione: Gaetano Salvemini
Prefazione

Foto 40
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La banda di fascisti francesi che assassinò Carlo Rosselli a Bagnoles de l’Orne, in Francia, il 9 giugno 1937, non aveva nessuna ragione di volere la morte di un italiano la cui anima era tutta tesa verso l’Italia e che non prendeva nessuna parte nelle lotte politiche francesi. L’organizzazione cui gli assassini appartenevano preparava un colpo di stato in Francia. Mussolini le forniva i fondi e le armi. Il mercato fu: io vi do il denaro e le armi, voi datemi l’uomo.
Non appena l’assassinio fu conosciuto, tutti senza esitazione ne fecero risalire la responsabilità a Mussolini. A quella certezza morale si aggiunsero presto le prove materiali.
Carlo Rosselli era uno dei pochi capi che fossero sorti dalla generazione del dopoguerra. Aveva guadagnato la sua autorità nel carcere e nelle molteplici attività illegali. Il suo nome significava per centinaia di giovani in Italia coraggio e intransigenza morale.
La sua agiatezza gli consentiva di dedicare tutta la sua energia alla lotta politica, e con il suo patrimonio egli contribuiva largamente alle spese per il movimento antifascista. Mussolini, facendolo assassinare sperava che il settimanale Giustizia e Libertà, fondato e diretto da Carlo, avrebbe cessato di uscire quando l’opera e i contributi di Carlo fossero venuti meno. Poteva sperare che tutto il movimento che si era sviluppato intorno a lui in Italia si sfasciasse e che la sua morte seminasse il terrore fra gli antifascisti fuori d’Italia. Colpisci il pastore e si disperderanno le pecore.
Mentone
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Ordinando l’assassinio di Carlo Rosselli, Mussolini intendeva schiacciare l’uomo che nel 1925, nell’ora del suo trionfo, lo aveva sfidato in Firenze insieme con Ernesto Rossi, pubblicando il “Non mollare”; - l’uomo che nel 1926, insieme con Ferruccio Parri, aveva condotto Filippo Turati a salvamento fuori d’Italia; - l’uomo che nel 1927, nel processo che ne seguì a Savona, si era trasformato da accusato in accusatore e aveva strappato una condanna che era un trionfo morale; - l’uomo che nel 1929, insieme con Emilio Lussu e Fausto Nitti, gli era sgusciato fra le dita da Lipari, in un’evasione che è passata alla storia insieme con quella di Felice Orsini e di Pietro Kropotkine; - l’uomo che, appena arrivato a Parigi, aveva ripreso contro di lui la lotta senza quartiere, forte solamente della volontà propria indomabile e delle solidarietà fraterna e devota di pochi amici: - l’uomo che nel 1930 aveva scoperto in Bassanesi un giovane capace di montare un areoplano e, con poche ore di esercizio, partire dalla Svizzera e rimanere per mezz’ora nel cielo di Milano seminando manifesti antifascisti e sfidando la tanto strombazzata efficienza dell’aviazione fascista;- l’uomo che spargeva fermenti di rivolta nella gioventù universitaria italiana e così demoliva l’illusione che la gioventù educata nel clima fascista gli fosse tutta fedele.
In Carlo Rosselli, Mussolini volle sopprimere l’uomo che fin dai giorni più remoti era stato fra i primi e più tenaci a denunciare la gravità del pericolo fascista e la sua natura mostruosa, e che aveva previsto che una crisi così profonda non poteva non sboccare nella guerra.
Nei suoi scritti settimanali in “Giustizia e Libertà„ e in tutta la sua attività battagliera, Carlo Rosselli affermava costantemente che la pace in Europa era una finzione e la guerra la realtà. Quella voce che preannunciava la guerra con lucida coscienza e ne fissava in precedenza la responsabilità con logica implacabile, Mussolini volle far tacere per sempre.
Facendo assassinare Carlo Rosselli, Mussolini volte infine, oltre che liberarsi del suo più attivo e temuto nemico, vendicare soprattutto le difficoltà da lui incontrate in Spagna sull’uomo che di quelle difficoltà era stato l’artefice primo.
Foto 41
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Interventi individuali a difesa della repubblica in Spagna si erano manifestati subito, prima che Carlo Rosselli prendesse l’iniziativa di un intervento collettivo. Ma quegli interventi individuali, pure essendo documento di generosità ammirevole, si disperdevano nel movimento generale della guerra civile spagnola e minacciavano di rimanere senza significato. Fu grande merito di Carlo Rosselli avere avuto immediatamente la visione chiara e netta della suprema importanza e dell’enorme significato, per la causa della libertà italiana, di un intervento collettivo antifascista con bandiera italiana nella guerra di Spagna. Fu suo merito l’aver compreso che quella eroica lotta di popolo per la sua libertà non era né doveva rimanere fatto nazionale della sola Spagna. Essa doveva dilagare al di là delle frontiere spagnole. Doveva esser portata in Italia, e dovunque esistesse un regime fascista. Doveva essere il principio della guerra civile europea - guerra civile che non doveva essere giustificata, bensì voluta ed esaltata come legittima e sacrosanta.
Vincendo tutte le esitazioni, rompendo ogni indugio, con quella straordinaria vitalità che era la nota caratteristica della sua personalità, Carlo chiamò a raccolta gli antifascisti esuli e proscritti dall’Italia: battendosi valorosamente sul fronte di Huesca coi suoi compagni, come gruppo italiano, sollevò nella massa dell’emigrazione italiana un movimento di commozione e di entusiasmo che atti di eroismo individuale non avrebbero creato. Col suo gesto egli rese possibile, in un secondo tempo, la formazione di quella legione garibaldina che in sei battaglie condusse alla vittoria di Guadalajara. Poca favilla gran fiamma seconda.
Mentone
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Carlo Rosselli aveva gettato il grido di battaglia: “Oggi in Spagna, domani in Italia”.
Soltanto otto giorni dopo che Carlo era stato ucciso dai sicari di Mussolini, questi ammise il rovescio di Guadalajara sul Popolo d’Italia. Ora che si era preso la rivincita poteva confessare la sconfitta.
Insieme con Carlo, Mussolini fece assassinare suo fratello Nello. Quando fu preparato il delitto, Carlo era a Bagnoles de l’Orne, convalescente di una flebite dovuta agli strapazzi della guerra di Spagna. Nello era andato a trovarlo in una delle sue visite furtive che gli faceva non appena poteva uscire fuori d’Italia per i suoi studi.
Nello era anch’egli un antifascista convinto e irreducibile. Consigliato più volte dagli amici a stabilirsi fuori d’Italia, non aveva mai voluto: diceva che era necessario che qualcuno rimanesse in Italia a dare l’esempio di non cedere. Era suo dovere di farlo.
Nello aveva saputo trovare forza e conforto negli studi. Il suo soggetto preferito era la storia del Risorgimento italiano. Egli pensava che la storia, investigata e raccontata con spirito di verità, compisse in Italia azione politica sia pure a lunga scadenza, come ogni opera di educazione morale e intellettuale. La storia italiana, specialmente quella del Risorgimento, era sistematicamente falsificata dai fascisti. C’era dunque in Italia ancora del lavoro per gli spiriti liberi: salvare dall’ondata delle falsificazioni fasciste il passato, per preparare l’avvenire. Nei suoi studi, Nello cercava di risolvere la contraddizione che tormentava la sua vita, fra il desiderio di servire il suo paese e la impossibilità di servirlo in quelle condizioni. Si teneva in contatto con molti giovani ed esercitava su di essi un grande ascendente. L’indignazione che l’atto infame compiuto su di lui produsse in Italia diede appunto la misura dell’influenza ch’egli vi esercitava.
Gli uomini come Carlo, fuori d’Italia, squassarono la fiaccola della rivolta contro ogni vento ostile, in battaglie che sembravano, ma non erano, disperate. Gli uomini come Nello, in Italia, tennero viva la fiaccola nascondendola sotto il moggio.
I due fratelli, associati nella vita e nella morte, simbolizzano le due Italie antifasciste: quella che si preparava nel silenzio e quella che apertamente lottava. Nei suoi elementi più puri l’Italia mai si arrese ai fatti compiuti.
Gaetano Salvemini