La Politica cieca al bisogno di nuovo
di Guido Carandini Rep. 021199

I guerra mondiale
I guerra mondiale
Una diffusa e ragionevole reazione alle cronache politiche di questi giorni potrebbe essere quella di dire bruscamente "scusate: non ce ne importa un fico secco". Di che cosa? Ma ovviamente delle vere o finte liste di spioni del Kgb, delle riabilitazioni di Andreotti, del rientro in Italia di Craxi, o dei dubbi se sarà il Parlamento a dover "fare la storia" della corruzione politica e delle contiguità malavitose. E poi ancora meno ci interessano le diatribe di Boselli, Cossiga, Cacciari, Paissan, Mastella, La Malfa, Occhetto, Parisi, Cossutta, Del Turco, e compagnia cantando. Non parliamo poi del discutere se sia opportuno "disincagliare la maggioranza" con l'Ulivo due, se il "quadrifoglio" (ultima nata fra le sigle campestri) possa "far saltare il tavolo" del rinnovamento della coalizione, e così via cianciando, con l'inesauribile succedersi di parole vuote ma fitte e dannose come la grandine.
Ma perché non ce ne importa niente? Siamo forse diventati qualunquisti noi cittadini insofferenti (attenzione: anche di sinistra), oppure "qualunque" è diventata la politica italiana nel senso che non ha più capo né coda, né direzione, né qualità? Non è forse questo un nodo serio da analizzare invece dei finti dissapori che rivelano un plateale disinteresse per i problemi reali del paese? Perché una politica fatta così non porta proprio da nessuna parte, né a destra né a sinistra, ma solo indietro rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea attivamente impegnati, con le sinistre al governo, a innovare quasi tutto.
Ognuno di noi che si dichiari insofferente dell'attuale confusione politica ha fatto parte, un tempo, del vecchio mondo comunista o fascista, socialista o cattolico o liberale, poco importa. Ma restare aggrappati a quel tempo e trattarlo come attuale invece che come un passato remoto, significa illudersi o fingere di vivere ancora in una realtà scomparsa. Forse non più quella delle ideologie estreme, del Piano contrapposto al Mercato, ma neppure la realtà della socialdemocrazia opposta al liberismo sfrenato.
I guerra mondiale
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Prendiamo atto che tutto questo è passato, buono o cattivo, realistico o utopico che fosse. Il presente è completamente altra cosa e, tranne che da noi, se ne sono accorti quasi tutti nei paesi occidentali di tradizione politica democratica. Mettetela come vi pare, aggiungete sottigliezze dottrinali a questa cruda analisi, ma le cose stanno così. Piuttosto, a quale "altra cosa" dobbiamo far fronte?
Tanto per cominciare la politica non è mai stata così ancella dell'economia come oggi, così "sovrastruttura" subalterna alle superpotenze finanziarie, industriali e commerciali (che Marx sia avanti a noi e non dietro?). Le hanno tagliato le ali dei voli ideologici lo sviluppo scientifico (dunque culturale) e le innovazioni tecnologiche. Non le "rivoluzioni" politiche ma l'elettronica, la chimica o la biologia, che stanno unificando il mondo con rapidità inaudita, hanno trasformato l'economia a tal punto da farle sottomettere la politica, mutandola da fine a mezzo.
Quando la politica si è opposta a questo cambiamento epocale è stata sonoramente sconfitta (come nei regimi comunisti). Quando oppone resistenza, delle due l'una: o si impantana nella corruzione e nella tirannide o si immiserisce nelle risse personali.
I guerra mondiale
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Alla politica, declassata dal ruolo di Grande Progetto, rimane però il compito essenziale di dar voce e sostegno ai nuovi bisogni e alle esigenze insoddisfatte dei cittadini. Non potendo più sostituirsi alla dinamica globale della società, ai suoi multiformi interessi materiali e culturali che si organizzano spontaneamente e imprevedibilmente, alla politica spetta tuttavia di intervenire modificando le regole del gioco a vantaggio degli interessi che intende tutelare e promuovere. La sinistra ha tradizionalmente appoggiato gli interessi dei più deboli e deve continuare a farlo ma, attenzione, in un senso rovesciato che il presente impone rispetto al passato.
Infatti oggi sono i gruppi sociali che una volta erano tipicamente deboli e quindi meritevoli di assistenza, a essere relativamente i più forti. Sono quelli cioè degli occupati sindacalmente protetti, degli impiegati pubblici, dei titolari di pensione.
I guerra mondiale
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Mentre invece sono diventati più deboli i giovani nelle scuole inadeguate e nelle università arretrate, gli occupati nel lavoro nero e i disoccupati, i piccoli produttori taglieggiati dalle burocrazie, i consumatori in balìa di strapoteri commerciali, i malati negli ospedali inefficienti, i cittadini in attesa di una giustizia che non arriva mai, gli emarginati per razza, miseria o droga.
Proprio da questo rovesciamento di prospettiva rispetto ai gruppi da tutelare stanno traendo ispirazione le sinistre europee che, concentrandosi su questi nuovi soggetti collettivi, guadagnano voti mentre la nostra rimane abbarbicata alla difesa corporativa dei diritti acquisiti, e quindi perde consensi.
L'attuale governo è pericolosamente in bilico fra il vecchio e il nuovo: tra il conservatorismo sindacale (operaio e padronale) e la nuova domanda di regole che rendano più liberi ed efficienti i rapporti dei cittadini con le strutture dell'amministrazione pubblica e delle imprese. D'Alema in verità esprime personalmente quella tendenza europea al nuovo stile della sinistra, a fare della politica una buona amministrazione del presente piuttosto che una mediocre gestione del passato. Se ondeggia è perché è condizionato dalla corte dei miracoli che lo circonda.
Provi allora, mi consenta il suggerimento, a rivolgersi direttamente a quei nuovi interessi collettivi che l'economia globale ha portato alla ribalta. Quando avrà dato spazio nei programmi di governo alle richieste dei giovani, dei consumatori, dei piccoli imprenditori e degli emarginati, la novità e la forza delle loro voci sommergerà il brusio dei politici sopravvissuti al diluvio della modernità. E forse allora si faranno anche le riforme e la stabilità dei governi sarà imposta da esigenze reali di continuità nell'attuazione dei programmi approvati dagli elettori.
Se l'attuale maggioranza non si renderà direttamente interprete del bisogno di nuovo - e del fastidio del vecchio - che sorge dalla società italiana, allora sarà inevitabile che la destra vinca. Purtroppo sarà una destra vecchia anch'essa, intrisa di populismo, che in Italia significa rifiuto delle regole, trasgressione continuata degli obblighi di legge, insofferenza di ogni forma di autodisciplina. E quindi si perpetuerebbe il nostro allontanamento dalle forme avanzate della convivenza civile.