La Politica cieca al bisogno di nuovo
di Guido Carandini Rep. 021199
Ma perché non ce ne importa niente? Siamo forse diventati qualunquisti noi cittadini insofferenti (attenzione: anche di sinistra), oppure "qualunque" è diventata la politica italiana nel senso che non ha più capo né coda, né direzione, né qualità? Non è forse questo un nodo serio da analizzare invece dei finti dissapori che rivelano un plateale disinteresse per i problemi reali del paese? Perché una politica fatta così non porta proprio da nessuna parte, né a destra né a sinistra, ma solo indietro rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea attivamente impegnati, con le sinistre al governo, a innovare quasi tutto.
Ognuno di noi che si dichiari insofferente dell'attuale confusione politica ha fatto parte, un tempo, del vecchio mondo comunista o fascista, socialista o cattolico o liberale, poco importa. Ma restare aggrappati a quel tempo e trattarlo come attuale invece che come un passato remoto, significa illudersi o fingere di vivere ancora in una realtà scomparsa. Forse non più quella delle ideologie estreme, del Piano contrapposto al Mercato, ma neppure la realtà della socialdemocrazia opposta al liberismo sfrenato.
Tanto per cominciare la politica non è mai stata così ancella dell'economia come oggi, così "sovrastruttura" subalterna alle superpotenze finanziarie, industriali e commerciali (che Marx sia avanti a noi e non dietro?). Le hanno tagliato le ali dei voli ideologici lo sviluppo scientifico (dunque culturale) e le innovazioni tecnologiche. Non le "rivoluzioni" politiche ma l'elettronica, la chimica o la biologia, che stanno unificando il mondo con rapidità inaudita, hanno trasformato l'economia a tal punto da farle sottomettere la politica, mutandola da fine a mezzo.
Quando la politica si è opposta a questo cambiamento epocale è stata sonoramente sconfitta (come nei regimi comunisti). Quando oppone resistenza, delle due l'una: o si impantana nella corruzione e nella tirannide o si immiserisce nelle risse personali.
Infatti oggi sono i gruppi sociali che una volta erano tipicamente deboli e quindi meritevoli di assistenza, a essere relativamente i più forti. Sono quelli cioè degli occupati sindacalmente protetti, degli impiegati pubblici, dei titolari di pensione.
Proprio da questo rovesciamento di prospettiva rispetto ai gruppi da tutelare stanno traendo ispirazione le sinistre europee che, concentrandosi su questi nuovi soggetti collettivi, guadagnano voti mentre la nostra rimane abbarbicata alla difesa corporativa dei diritti acquisiti, e quindi perde consensi.
L'attuale governo è pericolosamente in bilico fra il vecchio e il nuovo: tra il conservatorismo sindacale (operaio e padronale) e la nuova domanda di regole che rendano più liberi ed efficienti i rapporti dei cittadini con le strutture dell'amministrazione pubblica e delle imprese. D'Alema in verità esprime personalmente quella tendenza europea al nuovo stile della sinistra, a fare della politica una buona amministrazione del presente piuttosto che una mediocre gestione del passato. Se ondeggia è perché è condizionato dalla corte dei miracoli che lo circonda.
Provi allora, mi consenta il suggerimento, a rivolgersi direttamente a quei nuovi interessi collettivi che l'economia globale ha portato alla ribalta. Quando avrà dato spazio nei programmi di governo alle richieste dei giovani, dei consumatori, dei piccoli imprenditori e degli emarginati, la novità e la forza delle loro voci sommergerà il brusio dei politici sopravvissuti al diluvio della modernità. E forse allora si faranno anche le riforme e la stabilità dei governi sarà imposta da esigenze reali di continuità nell'attuazione dei programmi approvati dagli elettori.
Se l'attuale maggioranza non si renderà direttamente interprete del bisogno di nuovo - e del fastidio del vecchio - che sorge dalla società italiana, allora sarà inevitabile che la destra vinca. Purtroppo sarà una destra vecchia anch'essa, intrisa di populismo, che in Italia significa rifiuto delle regole, trasgressione continuata degli obblighi di legge, insofferenza di ogni forma di autodisciplina. E quindi si perpetuerebbe il nostro allontanamento dalle forme avanzate della convivenza civile.