Cultura e politica, a cura di Luca Chiti, Torino 1972
[...]
Riforma elettorale e questione meridionale
Esce su L’Unità numero 18 del 13 aprile 1912. L’autore è Gaetano Salvemini, che sta conducendo in questo periodo una decisa battaglia per il suffragio universale, legandola a quella più ampia per la soluzione dei problemi meridionali (cfr. anche lo scritto del Salvemini citato alla nota 28, p. 66, di Da Giolitti a Sonnino).
Brigantaggio e tumulti sporadici.
Contro la duplice oppressione, di cui sono stati vittime in questi cinquantanni di unità politica da parte dei “galantuomini” locali e dell’industrialismo settentrionale, i “cafoni” meridionali hanno reagito, sempre, come meglio o come peggio potevano.
Subito dopo il 1860 si dettero al brigantaggio: sintomo impressionante del malessere profondo che affaticava il Mezzodì, e nello stesso tempo indizio caratteristico del vantaggio che si potrebbe ricavare, quando ne fossero bene utilizzate le forze, da questa popolazione campagnuola del Sud, che senza organizzazione, senza capi, abbandonata a sé, tenne in iscacco, or è mezzo secolo, per alcuni anni tanta parte dell’esercito italiano.
Costruite le prime ferrovie, tracciate le prime strade, distrutti molti boschi, organizzata alla meglio la nuova macchina dello Stato e resa più sistematica e perciò più efficace la repressione del manutengolismo, venute così a mancare le condizioni favorevoli al brigantaggio - questo, come movimento di masse, è andato via via estinguendosi, e non si perpetua più che in pochi luoghi più arretrati nella forma di latitanza e di rivolta individuale.
Ma, soffocato il brigantaggio, la reazione della classe maltrattata ha preso un'altra forma: quella dei tumulti sporadici: l’assalto al municipio, il bruciamento del casotto daziario, la dimostrazione al grido di abbasso le tasse.
Nell’inverno 1893-1894 gli effetti della tariffa doganale protezionista del 1887 e delle nuove imposte create dal 1882 in poi, l’acuirsi rapido della crisi agrumaria e zolfifera, e i primi tentativi di propaganda socialista, combinandosi insieme, generalizzarono i tumulti a tutta la Sicilia. Fu una grande crisi, soffocata la quale, è ricominciata la serie ininterrotta dei tumulti e delle stragi alla spicciolata.
Quanti contadini sono stati finora così ammazzati? Farebbe opera utile assai quel giovane, che dedicasse qualche mese di lavoro a fare sui giornali quotidiani lo spoglio dei tumulti e delle stragi avvenute dal 1860 ad oggi nel Mezzogiorno. Si potrebbe mettere insieme un calendario assai triste, in cui ogni giorno sarebbe segnato da uomini, donne, bambini ammazzati. La somma dei morti e dei feriti eguaglierebbe quella di una grande battaglia. Fatta la divisione dei morti e dei feriti fra i 200 deputati meridionali, si troverebbe per ciascun deputato una media assai elevata.
L’emigrazione.
Finalmente, è venuta un'altra forma di reazione, e un principio di salvezza: la emigrazione.
Di fronte alla quale sarebbe funesto errore illudersi che ormai non occorra più preoccuparsi della questione meridionale, perché c'è l'emigrazione che ne va sciogliendo, a poco a poco, gradatamente, i nodi. Delle molteplici, profonde malattie, che affliggono la società meridionale – disboscamento, malaria, mancanza di capitali, ignoranza e immoralità della classe dominante, analfabetismo della classe lavoratrice, concorso attivo e sistematico dei funzionari dello Stato alla corruzione della classe dominante e alla oppressione della classe dominata - la emigrazione è un effetto non è il rimedio: è il mezzo che hanno trovato i contadini meridionali per sottrarsi al male, non è la fine del male.
Senza dubbio la emigrazione corregge alcuni di quei malanni, dal cui intreccio nasce la così detta questione meridionale: spinge, per esempio, i contadini verso la scuola; li sveltisce intellettualmente al contatto di civiltà superiori; produce nel Mezzogiorno un'accumulazione notevole di capitali.
Ma non rimboschisce i terreni rovinati; non elimina la malaria; non corregge i nostri soffocanti sistemi tributari e doganali; non rende migliori le classi dirigenti, ché anzi le immiserisce e ne intensifica il pervertimento. E d'altra parte è accompagnata da qualche fenomeno tutt’altro che benefico, come il rallentarsi dei vincoli familiari.
La stessa accumulazione di capitali, prodotta dall'emigrazione, minaccia di riescir vana pel Mezzogiorno, se lo Stato non smette di assorbire questi capitali e riversarli, per mezzo della Cassa depositi e prestiti, nel Nord, per opere pubbliche o non urgenti, o addirittura inutili, o pagate con prezzi elettorali, o che se sono richieste dalla maggiore civiltà dell’Italia settentrionale non è giusto sieno fatte coi capitali dell’Italia meridionale. E anche quando la errata politica dei lavori pubblici non svia dal Mezzogiorno i capitali che il Mezzogiorno accumula e che al risorgimento del Mezzogiorno sono necessari, il risparmio è troppo spesso sottratto all'emigrante dalla usura fondiaria esercitata dai vecchi proprietari improduttivi. Oppure il contadino, non trovando convenienza ad impiegarlo nell’agricoltura, dissanguata dalle imposte e soffocata dal protezionismo industriale, lo sperpera in futili tentativi commerciali o in ispese voluttuarie.
Oggi, più che mai, di fronte all’emigrazione, è necessario un serio, intenso, sistematico lavoro per risolvere il problema meridionale, cioè per creare nel Sud uno stato economico e morale, in cui la emigrazione diventi alla sua volta un elemento benefico per accelerare la soluzione del problema meridionale.
Il nodo del problema meridionale.
Ma è oggi possibile un movimento energico, costante, organico, il quale conduca al rinnovamento economico, sociale, morale di tanta parte d’Italia? Da quali uomini, da quali classi, questo movimento può essere promosso e sorretto?
In generale gli studiosi del problema meridionale questa domanda o non se la pongono, o rispondono senz’altro invocando l’azione del Governo, dello Stato.
Ma che cosa sono il Governo, lo Stato? Essi non sono entità superiori agli uomini e fornite di attitudini diverse da quelle di quei dati uomini, i quali in un dato momento esercitano la sovranità o attendono alla pubblica amministrazione. Lo Stato, il Governo, oggi, in Italia, sono formati: 1) dagli elettori, o meglio dalla maggioranza degli elettori; 2) dai deputati, o meglio dalla maggioranza dei deputati; 3) dai ministri; 4) dai funzionari dei ministeri; 5) dai funzionari governativi sparsi per le provincie; 6) dagli amministratori elettivi e dai funzionari degli enti locali. Questi gruppi di individui sono strettamente legati gli uni agli altri; né gli uni possono dare alla loro opera un indirizzo nuovo, senza che sia costretta a mutare correlativamente l’opera di tutti gli altri. Per lo più noi chiamiamo Stato, Governo, i ministri (gruppo 3), i funzionari dei ministeri (gruppo 4 ) e i funzionari governativi sparsi per le provincie (gruppo 5). E vorremmo che costoro tenessero a freno gli amministratori elettivi e i funzionari degli enti locali (gruppo 6 ). Ma siccome costoro, coi loro amici e parenti e clienti, formano nel Mezzogiorno il grosso del corpo elettorale (gruppo 1), noi abbiamo che ogni qualvolta gli individui dei gruppi 3, 4 e 5 tentano di disturbare quelli del gruppo 6, subito questi entrano in agitazione e comunicano la loro agitazione agl’individui del gruppo 1, e costoro mettono in moto i deputati (gruppo 2): e questi riconducono a più prudenti consigli i gruppi 3, 4 e 5.
Certamente, non ci troviamo di fronte a un sistema di forze rigido e compatto, per cui tutti questi elementi dello Stato agiscano con assoluta unità d'intenti, come le ruote d’una macchina. Le minoranze degli elettori e dei deputati impongono molto spesso qualche parte delle loro aspirazioni alle maggioranze. Gli elettori piccolo-borghesi del Mezzogiorno e gli elettori borghesi, piccolo-borghesi e proletari del settentrione, e i deputati degli uni e degli altri, non vanno in tutto e per tutto d’accordo, e gli uni sentono di tanto in tanto vergogna della solidarietà nel male che sono costretti a concedere agli altri. Così avviene talvolta che  lo Stato, il Governo, cioè una parte degli elementi che formano lo Stato e il Governo, prendano qualche iniziativa utile all’Italia meridionale. Ma quando si tratta di attuare la “buona legge”, ecco che entrano in azione quelle altre parti dello Stato che risiedono al Sud, e a cui l’attuazione della legge deve essere necessariamente affidata: e allora la legge buona diventa cattiva, o nella migliore ipotesi resta priva di ogni efficacia.
Lo Stato intanto sarà capace non solo di legiferare intermittentemente, ma anche di volere ed attuare sistematicamente i provvedimenti necessari alle classi produttrici e non parassite del Mezzogiorno, in quanto sarà formato di elementi diversi da quelle da cui oggi è formato, in quanto sarà la organizzazione politica di classi diverse da quelle che lo dominano nel momento attuale.
La riforma elettorale.
Ed ecco la necessità di una riforma elettorale, che tolga il monopolio dei poteri politici e amministrativi alla piccola borghesia, spiantata, imbestialita, cacciatrice d’impieghi e di favori personali, ostile a qualunque iniziativa possa condurla ad una vita meno ignobile e più umana.
È questa, oggi, per l’Italia meridionale, la importanza del suffragio universale. Il suffragio universale è uno strumento normale e legale di reazione contro i “galantuomini” offerto ai contadini meridionali.
Non è - badiamo bene - la panacea di tutti i mali.
Non è - dobbiamo ripeterlo, finché avremo fiato -il rimedio immediato universale. È la possibilità del rimedio. È il punto d’appoggio, sul quale si può tentare un’opera continua, regolare, legale di rinnovamento. È la condizione prima, indispensabile, affinché possa formarsi un “nuovo Stato”, vigilmente e attivamente sensibile ai mali delle classi lavoratrici e produttrici del Mezzogiorno d’Italia.
Nelle nuove condizioni elettorali, tutti quegli uomini di buona volontà, che pur oggi non mancano nel Mezzogiorno ma sono paralizzati e disgustati dalla malvagità incurabile della piccola borghesia dominante, troveranno la possibilità di una azione politica, la quale finora era assolutamente impraticabile.
Quegl’italiani del Nord, che vorranno venire nel Mezzogiorno a soccorrere gli elementi sani locali nella loro opera di rinnovamento economico, di organizzazione politica,  di risanamento morale - oh, quante spedizioni dei Mille occorrono ancora prima che l’unità morale, cioè reale dell’Italia sia fatta! -, quegl’italiani del Nord non si troveranno più come in un deserto politico, fra una minoranza piccolo-borghese, avversa o traditrice, ma padrona assoluta dei pubblici poteri, e una maggioranza campagnuola, legalmente disarmata, e buona solo a far tumulti e a provocar fucilate: essi potranno appoggiarsi ai campagnuoli nel resistere alle violenze o alle insidie dei “galantuomini”.
Quel Governo, che vorrà mettere la museruola (50) ai deputati e ai sindaci meridionali, potrà, appoggiandosi ai campagnuoli, emancipars da quegli elementi elettorali malsani, che oggi sono fattori indispensabili di ogni vittoria elettorale governativa, e che dando la vittoria al Governo lo costringono ad essere loro schiavo.
Naturalmente, occorrerà che alle nuove possibilità di bene corrispondano nuove volontà di bene. Se nel Sud e nel Nord esistono elementi capaci di agire sulle novelle moltitudini elettrici con sincera cura degl’interessi generali - e noi siamo fermissimamente convinti che questi elementi esistono – la possibilità di agire li trascinerà all’azione. Che se l’Italia non è capace di produrre altro che politicanti senza coscienza e senza onestà, il male non sarà certo aggravato dal suffragio universale! Peggio di quanto siamo andati finora col suffragio ristretto, non potremo mai andare!
G . Salvemini