Liberi tutti. E poi si ricomincia
Giulio Anselmi - Espresso (04.11.1999)

I guerra mondiale
I guerra mondiale
L'immagine dell'uomo potente rispettoso delle regole e delle leggi applicate dai giudici è durata quarantott'ore. Già lunedì sera, nello studio amico di Bruno Vespa, Giulio Andreotti era tornato al suo vecchio ruolo di gran politico della prima Repubblica: felpato e feroce, deciso alla rivincita e alla vendetta. Si ribaltavano i ruoli: il presidente della Camera Luciano Violante e l'ex procuratore della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli si ritrovavano sotto accusa, insieme a una manciata di magistrati; il governo D'Alema riprendeva a traballare sotto la pressione congiunta degli alleati Cossiga e Prodi; riemergevano dai sepolcri i fantasmi di Forlani, Cirino Pomicino e soci; Craxi, l'
esiliato, otteneva il via libera a cure in Italia.
Non c'è da meravigliarsi del terremoto. Il processo di Palermo è stato innanzitutto un "processo politico", perché tale lo rendevano la storia dell'imputato e il significato di cui l'imputazione era stata caricata: logico quindi che la sentenza sia stata letta in chiave politica. E in maniera molto estensiva: Andreotti è stato assolto; Andreotti ha incarnato il maggior partito del dopoguerra; quindi dev'essere prosciolta l'intera classe politica della prima Repubblica. Si è arrivati a dire: se a Perugia la non colpevolezza del "grande Giulio" ha trascinato con sé quella di Vitalone, l'assoluzione palermitana dimostra che dc e post-dc sono immacolati e che hanno diritto a riottenere l'onore e il potere. Tornino quindi tutti alle belle poltrone romane. Che importa se sono stati condannati? Impuniti i dc, perché trattar peggio i socialisti, loro alleati e sodali? E perché Craxi, malato, dovrebbe rimanere in Tunisia?
Un'epoca si chiude, finalmente!, hanno esultato i vecchi portaborse ora promossi a ruoli di proscenio. “Fine”, ha proclamato il berlusconiano Giornale, sottintendendo che è venuto il momento per chiudere anche i processi della seconda Repubblica, compresi naturalmente quelli a carico di Berlusconi, Previti e Dell'Utri. L'unico che, almeno all'inizio, ha mantenuto l'autocontrollo è stato proprio Andreotti: consapevole di essere stato assolto perché non erano state ritenute sufficienti le prove della sua collusione con la mafia; consapevole che il verdetto del tribunale non cancella le responsabilità politiche.
Noi registriamo come un buon segno di normalità il fatto che i giudici non sono stati condizionati dall'autorevolezza di Caselli, l'architetto dell'accusa, indicato come uno dei massimi esponenti del "partito delle procure". E osserviamo, con curiosità divertita, post-democristiani e berlusconiani spingersi fin dove i giustizialisti più accaniti non sono mai arrivati: vogliono trasformare una sentenza (che vale solo per il caso esaminato) in norma di valore generale, fondamento di un'amnistia. Vogliono crocifiggere magistrati che, magari sbagliando, hanno fatto il loro mestiere. Con buona pace delle campagne "garantiste", che avevano sedotto una parte dell'opinione pubblica.
I guerra mondiale
I guerra mondiale
È utile fissare alcuni punti per capire ciò che è accaduto in questi anni. Nella stagione che complessivamente viene definita di "Mani pulite" i magistrati di alcune, isolate, ma importanti procure hanno svolto un ruolo di supplenza politica sul terreno della lotta alla corruzione. Era già capitato altre volte, per esempio negli anni Settanta all'epoca degli scandali del petrolio, e anche allora c'era stata una violenta reazione dei partiti, socialisti in prima fila. Ma all'inizio degli anni Novanta l'intero paese, non solo la sinistra, rifiutava un sistema corrotto e imbelle che veniva vissuto come un freno alla modernizzazione e allo sviluppo: la Lega, i referendum di Segni, le inchieste dei pm si inquadrano in questo clima. Il Pci, oggi Ds, colse il massimo dividendo politico dalla crisi, approfittando anche della vicinanza di molti magistrati alle sue posizioni.
Questo giornale scelse allora la linea del cambiamento, pur consapevole dell'improprietà di usare la via giudiziaria per riformare la politica e degli eccessi di alcuni procuratori. Non ce ne pentiamo, anzi: l'emergenza del debito pubblico, del clientelismo e dell'invasione di ogni ambito della vita civile esigevano un altolà al modello andreottian-craxiano. Ora vediamo con piacere che gli improvvisati fans di Andreotti scavalcano tutti nel cantare le lodi della magistratura giudicante. E constatiamo la nascita di un nuovo partito dei giudici. Da vecchi militanti del presunto partito giustizialista (di questo ci accusano, anche se noi riteniamo di essere semplicemente stati dalla parte delle regole), ci permettiamo di ricordare alcune condizioni d'adesione. Fissate non da noi, ma dalla Costituzione e dai codici: la prima e fondamentale è che tutti i cittadini sono sottoposti alla legge nella sua applicazione in tribunale. Andreotti, da imputato, si è adeguato, guardandosi dall'intralciare il corso della giustizia e dall'incolpare tutti i magistrati (non solo i pm) di misteriosi complotti, come hanno fatto e continuano a fare Berlusconi e la sua corte.
Ma è chiaro che la posta in gioco è un'altra e che ciò che accade in questi giorni è del tutto strumentale. I reduci del passato possono pure godere di un momento di gloria: ciò che per loro conta è che crescano le difficoltà del governo D'Alema e che l'ombra di Violante e delle toghe rosse si aggiunga alle altre ombre rosse del Kgb. Per portare acqua al mulino del Cavaliere, quando deciderà di farlo girare. Al centro-sinistra litigioso e incerto e ai "garantisti" di complemento resterà la soddisfazione che i colpi di spugna non possono cancellare la Storia.