Speciale C. Rosselli, L'Astrolabio, n. 25, pp. 24-33, 18 giugno 1967
Dopo Matteotti

Carlo Rosselli - L'Astrolabio n. 24 del 1967
Carlo Rosselli - L'Astrolabio n. 24 del 1967
I ricordi di Ferruccio Parri, che fu al carcere e al confino con Carlo Rosselli in seguito all'organizzazione della fuga di Turati, illuminano gli anni fondamentali - dal 1924 al 1926 - nella formazione politica del futuro leader del movimento di “Giustizia e Libertà”.
di Ferruccio Parri
Gli anni che vanno dal 1924 al '26 sono decisivi nella biografia degli antifascisti democratici italiani e lo furono per Carlo Rosselli. Il delitto Matteotti aveva prodotto nell'opinione pubblica e nella coscienza nazionale un soprassalto più profondo di quello che aveva seguito il 38 ottobre 1922. E' allora che nei giovani si fissa un impegno di lotta che li guiderà per tutta la vita perché al di là delle vicende dell'Aventino, non attratti dalla secessione comunista, essi cercano la chiarezza e sicurezza di posizioni ideali che possano servire di fondamento alla costruzione di una nuova società.
Carlo Rosselli aveva dovuto lasciar Genova e l'incarico universitario che vi teneva nelle circostanze ricordate in questo fascicolo, da N. Tranfaglia ed in quello precedente dal prof. Pietranera. Aveva dovuto lasciar Firenze, già insanguinata nell'ottobre 1924 dalla selvaggia esplosione di furore fascista, per le violenze e persecuzioni che avevano segnato la vita agitata del non mollare.
Venne a Milano non per cercare un rifugio, ma per trovare una nuova base di lavoro. Fu allora che lo incontrai e si strinse tra noi a Milano, poi in carcere a Savona, poi al confino a Lipari, una dimestichezza e comunanza di vita che dà, per questo periodo della biografia politica ed intellettuale di Carlo Rosselli, qualche validità alla mia testimonianza.
Il discorso del 3 gennaio 1925 aveva segnato una svolta nella parabola del fascismo. Finito il tempo del liberalismo potenziato di De Stefani, il regime aveva imboccato la strada non reversibile del controllo totalitario di tutta la vita del Paese. Si riducono progressivamente in proporzione le possibilità di lotta aperta, e soppressa o fascistizzata nel 1925 la stampa di opposizione, cadono gli organi della battaglia antifascista; nel maggio il Caffè, in ottobre il Non mollare, il primo novembre Rivoluzione liberale. La stampa clandestina e le prime forme di attività segreta sono la risposta dei giovani: insufficienti tuttavia a contrastare lo scoraggiamenio e la dispersione delle energie.
Rosselli non si rassegna, ed a Milano dà vita all'ultimo tentativo di stampa antifascista; un settimanale che senza attaccare frontalmente il regime, ponendosi come obiettivo la critica politica sul piano apparentemente teorico, riesca a ristabilire i collegamenti soprattutto tra i socialisti e ad introdurre nuovi orientamenti di azione polìtica. E' il Quarto Stato di Nenni e Rosselli, che comincia le pubblicazioni alla fine del marzo 1926. Parallelamente si sviluppano l'attività clandestina ed i contatti con gli esuli all'estero.
Il revisionismo di Rosselli.
Tre "Cagoulards" Foto dall'Astrolabio n. 24 del 1967
Tre "Cagoulards" Foto dall'Astrolabio n. 24 del 1967
Vi è nell'anno come una pausa, occupata dalla frenetica tessitura legislativa del nuovo Stato totalitario e dalla crisi della lira. Rosselli ha bisogno di un ponderato bilancio della sua attività critica e politica: ha ormai superato la soglia della prima giovinezza inquieta, ha bisogno di veder chiaro davanti a sé, oltre la disperata battaglia di retroguardia combattuta ad epilogo e rivalsa della sconfitta aventiniana. Il 1926 più del 1925 porta un suo amaro insegnamento; il fascismo in questa Italia debilitata, depauperata delle sue energie combattive avrà vita lunga. Sarà lunga e dura la battaglia antifascista, e se questo è il destino dei giovani democratici deve esser battaglia idealmente, ideologicamente, organizzativamente ben preparata.
Rosselli portava a Milano dagli anni di Firenze e di Genova un ricco patrimonio di esperienze, studi e lavorìo critico. Lo studio teorico del sindacalismo, inteso allora come via più conducente per lo studio dei problemi delle masse lavoratrici, che aveva scelto a sua vocazione, confrontato nel soggiorno inglese del 1923-24 con la esperienza laburista e condotto a tentativi di sistemazione dottrinale, perdeva dopo il trionfo fascista del suo interesse attuale: non era più al centro del modello di una società nuova. Restava forte e permanente l'influenza di Salvemini, concretista anche nella demolizione delle involuzioni socialiste, sia rivoluzionarie sia quietiste. Ma primeggiava nel Rosselli del Quarto Stato il desiderio e la volontà di portare avanti e di portare a mète politicamente e teoricamente valide il revisionismo socialista che lo aveva interessato dai primi anni giovanili.
Lo aveva anzi appassionato, dopo che la débacle del 1922 poneva un problema storico da capire del torto e della ragione dei comunisti, di insufficiente capacità di resistenza e di richiamo dei socialisti. Le prime reazioni antipositiviste, antideterministe contro la scolastica marxista, che egli aveva assorbito dal suo ambiente di formazione culturale, non bastavano più. Marx restava una roccia che non si poteva saltare: mi pare mi avesse accennato a Milano di una propria revisione critica della teoria del plus-valore. Lo disturbava, allora, la mitologia e la scolastica classista. Bernstein ed i socialisti viennesi, studiati anche a Lipari, gli avevano indicato strade nuove. Ma restavano i problemi di libertà, politici ed organizzativi, di uno Stato a direzione socialista (o popolare) che non trovavano risposte sufficienti o persuasive. Si tenga presente la forte incidenza che sullo spirito nostro, ed in generale degli interventisti democratici, aveva avuto il liberalismo vigoroso dei Ruffini e dei Wilson. Lo interessò allora - mi pare a Milano - un libro fortemente critico del socialismo tradizionale del belga De Man, che ebbe larga eco in quegli anni. Ma demistificare la scolastica tradizionale, umanizzare, liberalizzare il socialismo restavano frasi, che bisognava superare. Dal punto di vista della revisione critica la esperienza di Quarto Stato non lo aveva pienamente soddisfatto.
Gli restava come il rammarico e la nostalgia di un'azione attiva non soddisfatta. Vi era un Sorel che aveva lasciato traccia nel suo spirito giovanile, il maestro di un attivismo volontario e consapevole, che divenne da quegli anni e restò sino alla morte per Rosselli una legge di vita. Credeva nell'azione creatrice, avventura solo se non diretta dall'idea.
La fuga di Turati.
Ferruccio Parri e Carlo Rosselli in ceppi (alla tua destra)
Ferruccio Parri e Carlo Rosselli in ceppi (alla tua destra)
Venne alla fine del 1926 un nuovo tuono e un brusco richiamo: attentato Zamboni, leggi eccezionali. Fummo facilmente e rapidamente d'accordo che era partita chiusa per ogni attività pubblica. Fummo anche d'accordo che bisognava non mollare. Fummo d'accordo con Rosselli, il più deciso in questo ordine di idee, che si doveva tentare di trasferire all'estero la battaglia antifascista, e che la più efficace e politicamente più redditizia risposta alle leggi eccezionali sarebbe stata sottrarre gli esponenti politici più rappresentativi alla sorte di vittime o di ostaggi e di portarli all'estero.
Giacomo Matteotti
Giacomo Matteotti
Erano con noi Riccardo Bauer, sempre in prima linea nell'attività antifascista di quegli anni. Giovanni Mira, e con altri giovani Fernando Santi, ancor ragazzo. Potemmo organizzare l'espatrio di Claudio Treves, Pietro Nenni, Bergamo, dell'allora giovane Saragat, e prestare aiuto per quello di altri sindacalisti e perseguitati meno noti. Non furono imprese né agevoli, né dilettevoli. Bauer pagò col carcere e confino il fallito tentativo di espatrio di Giovanni Ansaldo e Carlo Silvestri. In collegamento con noi, amici repubblicani organizzarono il difficile espatrio di Eugenio Chiesa, Avevamo riservato per ultima, perché non bloccasse le altre, e perche più difficile, l'evasione di Filippo Turati, quella che Rosselli riteneva assolutamente non rinunciabile. Come Rosselli riuscì a sradicare dal suo angolo di Piazza del Duomo e dalla sua profonda tristezza, “el Filipìn”, è stato scritto e detto anche sulla scena. Accertai che l'espatrio per i valichi più facili della zona di Chiasso era ormai impossibile. Grazie a Fortini, ferito dai fascisti e fuggiasco da Savona, ed ai soldi di Rosselli si potè organizzare l'espatrio dai “Pesci vivi” di Savona. Ma che dura odissea quella di sottrarre Turati attraverso tutto il Piemonte alle ricerche della polizia durante i venti giorni che durò la difficile tessitura dell'impresa savonese. E' storia non tutta raccontata. Io scrivo di Rosselli, e devo dire che la prova di indomabile energia e di rapidità di decisione offerta in quella occasione così come la gentilezza filiale che egli sapeva usare col vecchio mi dettero la misura della tempra e della ricchezza del suo spirito.
Non devo appesantire il racconto con particolari che non interessano i lettori. Ricordo solo come Carlo sul molo di Calvi guarda la nave che deve portare in Francia Turati, Pertini e Oxilia, il nocchiero, e porta via una possibilità di libertà e di azione. Avevo deciso di rientrare in Italia, ed egli restava con me per non lasciarmi solo nelle peste dell'incerto ritorno. Arrestati alla radice del pontile Walton di Marina di Massa, ci interroga per primo Renato Ricci: nel petulante cravattino del giovane gerarca c'è tutta la storia delle origini e dell'avvenire dell'avventura fascista. Ci sequestrano fra le altre cose una bella bussola, che mi era cara assai, ed ora, se volete, potete ammirare al museo criminale di Roma come corpo di reato già appartenente ai “delinquenti [...]
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