Aldo Cazzullo, Mussolini il capobanda, Mondadori 2022
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Il prefetto di ferro

Alla tua sx. Cesare Mori
Alla tua sx. Cesare Mori
Il 22 novembre 1921 viene istituito il comando generale dell’esercito fascista, modellato "sull’organizzazione militare romana". A leggere il documento non si sa se ridere o piangere. Sembra un esercito da operetta; in realtà, è una macchina di violenza efficiente e feroce. In campo aperto sarebbe spazzata via facilmente ("in un quarto d’ora" ironizza il generale Pietro Badoglio); ma nella guerriglia, negli assalti alle sedi nemiche, nelle bastonature dei dissidenti è un’arma spietata e sanguinosa nelle mani del capo.
Gli iscritti al partito sono divisi in "prìncipi", soldati attivi, e "triari", riservisti. Ogni squadra, composta da venti a cinquanta uomini, ha un capo e due vice, i decurioni. Quattro squadre formano una centuria, guidata da un centurione; quattro centurie fanno una coorte, comandata dal seniore; da tre a nove coorti compongono una legione, guidata dal console.
Ogni squadrista è tenuto a indossare una divisa: camicia nera, fascia nera o cintura di cuoio, pantaloni con fasce, gambali, fez nero (facoltativo). Il decurione ha diritto di portare un cordoncino d’oro lungo cinque centimetri, il caposquadra due cordoncini, il centurione tre, il seniore un cordone più grande; il console porta un fascio littorio in campo rosso con la stella
d’Italia, e finalmente ai quattro ispettori generali spetta l’aquila romana, in campo d’argento.
L’esercito privato del Duce ora colpisce lo Stato liberale. Vuole dimostrare di saper ottenere per i suoi aderenti e per i lavoratori cose che il governo non sa o non vuole dare. Così Italo Balbo organizza la marcia su Ferrara: 40 mila disoccupati sono indotti o costretti a prendere la città. Cibo e vino sono gratis; ma gli operai e i contadini vengono obbligati a sdraiarsi attorno al Castello, per presidiarlo, mentre i capi degli agrari con la rivoltella in pugno gridano: "Chi si muove è un uomo morto!". Camion di squadristi girano attorno alla piazza, trascinando latte vuote che provocano un rumore d’inferno.
Le guardie regie vengono derise, insultate, disarmate: per entrare e uscire da Ferrara occorre il lasciapassare dei fascisti. Scoppia una bomba in municipio e un’altra in tribunale. Il governo è lieto di cedere alle richieste di Balbo, e stanzia due milioni e mezzo per lavori pubblici. Il prefetto Gennaro Bladier chiede l’intervento dell’esercito; viene sostituito con un funzionario filofascista, Cesare Di Giovara.
Ma il grande nemico di Mussolini è il prefetto di Bologna: Cesare Mori.
Costanzo Ciano
Costanzo Ciano
È arrivato in città nel febbraio 1921, e in pochi mesi ha fatto arrestare 84 camicie nere. Soprattutto, ha tolto loro il controllo del mercato del lavoro nelle campagne. I giornali di estrema destra lo definiscono "viceré asiatico", "lurido questurino", "quel cane di Mori".
Il 26 maggio Mussolini ordina l’attacco a Bologna, mandando avanti Balbo e Arpinati con diecimila uomini. Le squadre occupano il centro, tagliano le linee del telefono e del telegrafo, assediano la prefettura. Cesare Mori si trova prigioniero: per tre giorni nessuno può uscire dal palazzo.
Arrivano reparti di cavalleria, ma i fascisti gettano petardi tra le zampe degli animali, che si imbizzarriscono e disarcionano i cavalieri. Gli industriali, la stampa, i liberali fanno il vuoto attorno a Mori; il governo lo chiama a Roma "per consultazioni" e lo sostituisce con il viceprefetto di Genova, Rossi, gradito a Mussolini, che ordina di togliere l’assedio.
Bologna è domata. Ma quando il Duce avrà bisogno di un "prefetto di ferro" per combattere la mafia in Sicilia - almeno in un primo tempo, fino al 1929 -, si ricorderà di quel nome: Cesare Mori.
Vittorio Emanuele III
Vittorio Emanuele III
Nell’estate del 1922 fallisce l’ultimo tentativo di resistenza. I socialisti indicono per il primo agosto uno "sciopero legalitario", per protestare contro le violenze. È un fallimento, ed è un regalo a Mussolini. Molti vanno al lavoro comunque, per timore di ritorsioni. I fascisti da una parte sostituiscono ferrovieri, tranvieri, postini che allo sciopero hanno aderito; dall’altra si scatenano contro gli operai. Centinaia di lavoratori vengono pestati, violati, torturati.
Scrive Mussolini: "Il contrattacco fascista si è sferrato; mentre tracciamo queste linee fumano ancora gli incendi delle superstiti Camere del lavoro, dei circoli comunisti".
A luglio sono espugnate Ravenna, Rimini, Novara, Viterbo, Cremona.
L’amministrazione socialista più importante d’Italia, quella di Milano, cade sotto la violenza: il 6 agosto i fascisti espugnano Palazzo Marino, la sede del Comune, e ne cacciano la giunta socialista eletta dai cittadini; dal balcone D’Annunzio arringa le camicie nere festanti. La redazione dell’Avanti! viene distrutta per la seconda volta.
La prova di forza della sinistra si è trasformata nella prova di forza dell’estrema destra. I tempi sono maturi per la presa del potere.
Tra fine luglio e inizio agosto cadono 221 amministrazioni comunali socialiste: Ancona, Bari, Terni, Varese, e poi Civitavecchia, Savona, infine Bolzano, Trento, Vicenza, Belluno … La colonna che il 2 agosto prende Ancona è descritta così dai testimoni: "Camicie e berrette nere. Uno era con una tunica celeste. Uno aveva un elmetto di ferro. Un altro aveva un moschetto da cavalleria. Molti portavano dipinti grossi teschi sul petto.
Tutti con clave e bastoni nodosi inverosimili. Recavano una bandiera tricolore e si sono annunciati con spari di revolver e con canti … ". E ancora: "Sono migliaia, armati con rivoltelle e bombe a mano che, munite di sicura, fanno rotolare per strada, forse per far vedere che non hanno paura di morire".
Soltanto Parma resiste. Diecimila fascisti guidati da Italo Balbo assediano l’Oltretorrente, il quartiere operaio, tenuto dagli Arditi del popolo di Guido Picelli, cui si è unita la popolazione. Per difendere la loro città cadono tra gli altri il consigliere comunale Ulisse Corazza, popolare, due meccanici, Carluccio Mora di 24 anni e Mario Tomba di 17, e un ragazzo di appena quattordici anni, Gino Gazzola. Interviene l’esercito, Balbo è costretto a ritirarsi. Valuta di aver perduto quindici uomini, ma non ne cita i nomi. [...]