Gaetano Salvemini, Dal Patto di Londra alla Pace di Roma Documenti della politica che non fu fatta, Piero Gobetti Editore Torino 1925, Pagg. 236-238
XXVIII. 12 Ottobre 1918. Bisogna attaccar l’Austria

Foto 35
Foto 35
Il Giornale d'Italia - venite adoremus! - proclama anch'esso che “bisogna attaccar l’Austria”: e “augura vivamente che a questo concetto l'Intesa s'ispiri”. E non saremo certo noi, che daremo torto al Giornale d'Italia.
Ma c'è un ma. Con quale programma preciso dobbiamo invocare l'intervento di nuove forze dell'Intesa sul fronte italiano?
Queste forze le dobbiamo chiedere col programma del Resto dei Carlino, consanguineo del Giornale d'Italia, cioè affinché l'Austria, ansimante già sotto la pressione del solo nemico d'occidente, guardi ora con “terrore la necessità di risolversi: o sacrificarsi alla sua alleata, o staccarsene subito e negoziare la sua vita con noi”? Ai nostri alleati, nell'atto di invitarli a venire a fare un grande sforzo contro l'Austria, ripeteremo sempre quel che il Giornale d'Italia scriveva nel numero del 10 febbraio 1918: “Noi non dobbiamo proporci di ottenere ad ogni costo lo smembramento dell'Austria-Ungheria, mentre dobbiamo essenzialmente mirare alla realizzazione delle nostre aspirazioni in qualunque caso, cioè tanto se l'Austria-Ungheria si dissolverà, quanto se rimarrà nel novero delle grandi “Potenze?".
Mentone
Mentone
Oppure la concentrazione di forze sul fronte austriaco dobbiamo chiederla, perché la Germania non sarà battuta militarmente e ridotta all'impotenza politica, finché l'Austria non sia distrutta? perché gli impegni morali assunti con gli czechi, coi polacchi, con gli jugoslavi non ci permettono più di negoziare coll'Austria la sua vita, finché abbiamo forze sufficienti per demolirla a fondo?
Insomma, dobbiamo chiedere ai nostri alleati un grande sforzo antiaustriaco, perché questo è necessario alla guerra di tutti, oppure semplicemente perché è necessario alla guerra nostra?
Se la nostra proposta la facciamo col primo programma, noi abbiamo il diritto e il dovere di farla a fronte alta, per accelerare ed assicurare la vittoria comune, come rappresentanti di tutte le nazioni oppresse dell'Impeto absburghese, la cui vita l'Intesa non può negoziare con la vita dell'Austria, se le dichiarazioni dell'Intesa non sono “pezzi di carta”.
Forse, anche quando si prenda come base di discussione questo programma, può nascere dissidio, fra i tecnici, sul modo migliore di risolvere militarmente il problema dell'Austria: per es.: si può discutere se convenga dare l'assalto sul fronte balcanico, o sul fronte italiano. E' un problema tecnico, e non politico. Quel che importa è che resti ben fermo il programma politico, e che questo principio sia sostenuto dall'Italia, e che l’Italia dia tutte le forze che può a quel programma, in modo che la vittoria contro l'Austria sia politicamente e militarmente voluta specialmente da lei, sia militarmente ottenuta da lei.
Se, invece, l'intervento degli alleati lo chiediamo solamente perché essi vengano a dare un colpo di spalla al nostro “sacro egoismo”, allora faremo la figura degli accattoni, mezzo petulanti e mezzo piagnucolosi; dovremo chiedere come aiuto grazioso quello che deve essere una necessaria solidarietà politica e militare.
Otterremo, probabilmente, alla fine, l'aiuto, ma in condizioni morali svantaggiose; spenderemo le nostre forze così come le spenderemmo se ci affermassimo sul programma del delenda Austria, ma non otterremmo che una minima parte del prestigio che possiamo ricavarne; continueremmo insomma a risolvere il problema, a cui lavorano da quattro anni tutti gli immortali “uomini pratici”, dolci al cuore del Giornale d'Italia: ottenere col massimo sforzo il minimo resultato.