CdS 26.05.99
La testimonianza
“Noi, condannati dalla cultura del Sud - L'unica speranza è il successo personale”
L'esempio di Salerno, città linda ma ferita dalla violenza.
Maschi abituati a vivere come re.
Noi, meridionali, li conosciamo bene. Sono stati la metà delle nostre classi a scuola, sono le voci della strada, e quelle che risuonano dalle portinerie fino agli ultimi piani delle scale. Parole gutturali, urla, risate. Spavalde ma con una nota stridula dentro. Voci maschili, non educate, dall'accento pesante: “Cirù, currimmo” si chiamavano sotto la galleria ... I Ciro, gli Antonio, i Pasquale, i giovani del Sud che hanno scelto di uccidere e di suicidarsi - il che è lo stesso - sotto una galleria, sono i nostri vicini di casa.
Si parla di riti da proibire, si fa sociologia sul calcio e sul disagio giovanile. Ma questo è un tipo umano che, noi meridionali, appunto, conosciamo assai bene, in tutte le trasformazioni della sua secolare vita. Erano con Masaniello e sono rispuntati a Reggio Calabria, per poi ingolfare le file della sinistra extraparlamentare 20 anni fa e quelle camorriste alcuni anni dopo. Indifferentemente. Guidati da una sola stella polare: trovare il luogo dove il chiasso collettivo e il numero provvedano un riscatto qualunque. Sono i figli - ideali ben inteso - delle donne che popolavano i vicoli in cui ficcava il naso - storcendolo - Curzio Malaparte; sono parti di quella eterna fila di persone senza futuro proiettata sul vivere il momento, con tanta più intensità quanto più esso è breve; quei Lazzari che si rifecero contro gli Intellettuali festeggiando l'impiccagione in piazza di Eleonora Pimentel Fonseca al grido di “zoccola” e poi ritornarono a scivolare nel vuoto della Storia, in maniera non diversa da quanto possono aver sentito due secoli più tardi quei giovani tifosi delusi:
“Di lì a poco, finita la festa, si sparpaglieranno in mille direzioni. Sulla sabbia della Marinella, verso Santa Lucia, a Toledo, per rosicchiare spassatiempi, inghiottire frutti di mare, sbocconcellare pollanchelle. O a guardare il passeggio, a cercarsi un posto per la notte. Domani avranno già scordato quanto succede adesso: ora però si stanno divertendo, innocenti e crudeli come l'infanzia”. (Enzo Striano, Il resto di niente, Rizzoli).
La chiave è qui. Nulla, nessuna ragione socioeconomica potrà spiegare questa, che è una maledizione, una condizione di vita, ma soprattutto una cultura. La cultura della plebe del Sud, fatta d'ignoranza, sbruffoneria e risentimento: è la cultura dei servi, i cui rapporti con i padroni sono totali e inadeguati, dipendenti e rancorosi. E’ una cultura di maschi, abituati in un mondo maschilista a vivere come re in casa propria, con camicie sempre stirate e i soldi della benzina comunque e umiliati invece a pezze in faccia non appena si affacciano nel mondo grande.
E’ crudele dire queste cose, ma meno di quel che si pensa. La politica si è illusa per un lungo periodo - a cominciare proprio dalla piissima illusione della Pimentel Fonseca - di educarli, di farli crescere, di eliminarne la rozzezza e la violenza, migliorandone la vita. Ma la storia del Sud ha provato che non ci si riesce. Il Sud di questi ultimi anni è cresciuto, si è sviluppato, ha trovato strade individuali e collettive diverse da quelle della povertà estrema; ma il fiume di denaro che vi abbiamo buttato (e che è stato tanto) e le energie che vi sono state dedicate, in particolare da tutti gli uomini e le donne che non credono nella fuga, non hanno eliminato questi comportamenti, queste sacche di cultura asociale.
La città di Salerno è in questo senso l'esempio perfetto di questo nuovo Sud: cittadina che ha conosciuto uno straordinario sviluppo, linda come una città del Nord, vivace, guidata da un sindaco popolare ed energico e da una classe di professionisti e imprenditori che fa invidia a Napoli. Eppure continuamente è tartassata da violenza: assalti, risse, fino all'estremo del treno della morte. Sono lo stesso Sud, ma il fatto è che non si contaminano, non comunicano, ma soprattutto non si redimono insieme.
Insisto, non c'è recupero collettivo possibile. Il Sud è questo: una vicenda dove, contrariamente a tutti i luoghi comuni sul riscatto sociale, gli unici veri miglioramenti sono avventure individuali.
Giovani nati negli stessi vicoli, sugli stessi pianerottoli di palazzine popolari diventano uno avvocato, l'altro drogato. Indifferentemente, come il tocco dell'Angelo, si dice dalle nostre parti. L'importante dunque è non fare prediche, ma solo imparare a vivere con le differenze: trovandovi una ragione di umiltà in più.
di Lucia Annunziata