Non Mollare (1955), a cura di Mimmo Franzinelli, Bollati Boringhieri 2005
Introduzione
Mimmo Franzinelli
1. Intellettuali e politica a Firenze: dal Circolo di Cultura a Italia Libera
La sfiducia di Salvemini verso i leader socialisti conviveva con l’ossessione del pericolo dannunziano; egli temeva che da Fiume le schiere di Gabriele D’Annunzio potessero irrompere sulla scena politica nazionale e tentare un colpo di Stato. Ancora dopo la marcia su Roma, Salvemini valutava la situazione politica come fluida e aperta ai più diversi sbocchi, egualmente negativi: dall’inasprimento repressivo alla ricaduta nelle agitazioni scomposte del biennio rosso.
Ernesto Rossi si era appuntato sul petto i nastrini di reduce e di mutilato di guerra quando aveva visto i socialisti insolentire gli ex combattenti; egli aveva scritto per il Popolo d’Italia articoli di economia improntati a modelli liberisti, senza peraltro aderire al movimento fascista, da lui valutato - quando si presentava come movimento radicale, repubblicano e innovatore - un possibile fattore di svecchiamento della vita nazionale. Il ripetersi delle spedizioni punitive lo aveva disilluso sulle potenzialità rinnovatrici del fascismo.
I fratelli Rosselli aderivano a un socialismo umanitario e volontarista, alieno dalla violenza politica di matrice classista; Carlo frequentò i due capifila del riformismo Filippo Turati e Claudio Treves, cui si sentiva legato da stima personale.
Sino alla vigilia della marcia su Roma Salvemini e molti tra i suoi interlocutori erano su posizioni definibili più che come antifasciste, afasciste. Le loro energie erano indirizzate verso le problematiche intellettuali piuttosto che all’azione politica. Con l’insediamento di Mussolini al potere il nuovo governo imboccò una linea liberticida e gradualmente gli intellettuali fiorentini di orientamento liberal-riformista spostarono i loro interessi nella direzione della vita politica, dall’osservatorio del Circolo di Cultura che - costituitosi informalmente nell’inverno I920-21 con un indirizzo svincolato dai partiti - si avvalse della collaborazione di studiosi del calibro di Ettore Lo Gatto, Rodolfo Mondolfo, Mario Praz ... Nel direttivo dell’associazione figuravano, tra gli altri, Piero Calamandrei, Piero Jahier e Arrigo Serpieri. Quest’ultimo, nominato sottosegretario all’Economia nazionale nell’agosto 1923 ed eletto alla Camera il 6 aprile 1924 nelle liste del Blocco Nazionale, si defilò gradualmente dal gruppo fiorentino, caratterizzatosi nel frattempo per una netta opzione antifascista. Nel tardo pomeriggio del 31 dicembre 1924 la sede sociale fu invasa dalle camicie nere, che ne distrussero completamente gli arredi e la biblioteca.
I devastatori si giovarono della connivenza delle autorità e la polizia assistette inerme alle distruzioni. Calamandrei ricostruì le dinamiche dell’irruzione squadristica in una lettera aperta al prefetto di Firenze, firmata genericamente “Un gruppo di Soci del Circolo di Cultura”; lo scritto ironizzava sul pericolo rappresentato per le istituzioni del sodalizio di intellettuali borghesi - “Questo Circolo era una vera e propria associazione a delinquere, degna di severa repressione assai più di una clandestina fabbrica di bombe: imperocché questi congiurati si davano a manipolare quell’esplosivo assai più potente della nitroglicerina che denominasi cultura, e con esso, periodicamente, caricavano certi ordigni infernali che non si posson toccare senza grave minaccia per il normal funzionamento di una sana Costituzione” - e si premurava di indicare al funzionario governativo i recapiti di alcuni altri centri di irradiazione del sovversivismo, “ai quali sarà opportuno che, alla prossima occasione, le competenti autorità rivolgano le loro amorevoli cure”:
2) Biblioteca Marucelliana (in Via Cavour, dalla stessa parte dove abita anch’Ella, Ill.mo Sig. Prefetto).
3) R. Istituto di Scienze Sociali Cesare Alfieri. Via Laura, 48 (sociali ... parola sospetta, Ill.mo Sig. Prefetto; Alfieri ... parola anche più pericolosa).
4) R. Università di Firenze, in Piazza S. Marco. La sede è facilmente riconoscibile, perché in un angolo vi è un busto di quel Battisti Cesare, che anche lui cominciò con la cultura, e come andò a finite lo sa perfino Lei, Ill.mo Sig. Prefetto!
L’ironia si coniugava con la determinazione a proseguire, con mezzi adeguati alla situazione, l’impegno culturale conculcato dai picchiatori con l’avallo prefettizio, formalizzato il 5 gennaio dalla delibera di scioglimento del Circolo di Cultura “da tempo divenuto centro di accanita propaganda antinazionale e ostile all’attuale Governo, in quanto che la maggioranza dei soci, notoriamente militanti in partiti di opposizione, con il pretesto di discutere argomenti culturali, tengono ivi frequenti riunioni di indole politica”; secondo il prefetto, tale attività provocava le “giuste rimostranze del partito dominante” e, conseguentemente, poteva “dar luogo a gravi perturbamenti dell’ordine pubblico”.
Tra le istituzioni culturali fiorentine entrate nel mirino degli squadristi vi furono il British Institute e l’Università popolare, la cui biblioteca fu distrutta dalle camicie nere sulla falsariga di quanto era avvenuto ai danni del Circolo di Cultura.
Nel giugno 1924 aveva intanto preso vita la sezione fiorentina dell’associazione Italia Libera, movimento fondato nella seconda metà del 1923 a Roma dai repubblicani Randolfo Pacciardi e Raffaele Rossetti, cui si unirono Emilio Lussu e vari altri reduci che nel 1915 avevano animato l’interventismo democratico.
L’obiettivo programmatico consisteva nel ristabilimento della democrazia; il fascismo era valutato la “più brutale negazione dei principi ideali per cui il Popolo volle e fece la guerra”, ovvero un terribile “regresso politico, economico, morale, educativo, nella storia e nella civiltà italiana”.
L’associazione registrò una significativa crescita di adesioni dopo il sequestro dell’onorevole Giacomo Matteotti. A Firenze Italia Libera aggregò nell’estate 1924 numerosi esponenti del combattentismo democratico, usciti dall’Associazione nazionale combattenti in quanto contrari al filofascismo dei vertici. Tra di loro spiccava la figura del medico Dino Vannucci, interventista democratico, volontario tra gli alpini, mutilato e decorato di guerra, libero docente di anatomia e istologia patologica. Vannucci, Ernesto Rossi e Carlo Rosselli impressero un grande dinamismo al sodalizio, nella convinzione si dovesse incalzare il governo dalla periferia per accelerarne la crisi. Questo attivismo - la politica dell’azione: distribuzione di volantini, organizzazione di manifestazioni, scritte murali ecc. - infastidì i dirigenti legalitari dell’Aventino (ad esempio l’onorevole Giovanni Amendola), convinti, dopo avere abbandonato il Parlamento il 13 giugno, che la migliore tattica consistesse nella moderazione e nella ricerca di un sostegno da parte della monarchia. A inizio 1925 Italia Libera fu sciolta d’autorità, nel quadro dei provvedimenti legati al discorso parlamentare con cui il 3 gennaio Mussolini rivendicò al fascismo le responsabilità del delitto Matteotti e annunziò il pugno di ferro contro gli oppositori, mediante l’utilizzo dell’apparato statale con finalità di fazione. A quel punto non restava, per Rossi, Rosselli, Salvemini e i loro amici fiorentini, che la strada dell’azione clandestina. [...]
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