L’osso del Mezzogiorno
di Alessandro Leogrande pubblicato giovedì, 25 novembre 2010 · 2 Commenti
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Ognuno serba i propri ricordi personali di quell’evento. Io, ad esempio, ricordo perfettamente che in quel momento, intorno alle sette e mezza della sera, stavo vedendo un film western insieme a mio nonno. È uno dei miei primi ricordi di infanzia: il trauma ha sedimentato nella mia memoria una precisa consapevolezza della scansione dei fatti. Io e mia sorella eravamo in casa, a Taranto, con i nonni paterni. I miei genitori non c’erano. Ricordo ancora il palazzo che ondeggiava, le porte che si chiudevano da sole, le urla di alcune donne. E poi l’interminabile discesa per le scale condominiali, undici piani attraversati uno alla volta nella calca, in una lentezza estenuante. Quella notte la passammo in macchina, con la paura che i palazzi venissero giù.
Da allora molte cose sono cambiate. E se - come si dice in genere - i terremoti sono eventi naturali, i post-terremoti sono sicuramente eventi politici, profondamente umani, spesso inquinati dal dilagare della criminalità. In molti oggi ritengono che la nuova camorra non sarebbe prosperata così tanto (o sarebbe prosperata in maniera diversa) senza il terremoto dell’Irpinia. Senza il terremoto non si sarebbe saldato quell’amalgama purulento tra una parte della politica e una parte della criminalità per la gestione dei fondi della ricostruzione. In parte tutto questo era deducibile già allora, come dimostra un vecchio libro di Giovanni Russo e Corrado Stajano, Terremoto, edito da Garzanti. Tra l’altro, alcuni importanti saggi di Stajano sul terremoto sono stati raccolti di recente, insieme ad altri suoi scritti, in L’Italia ferita (Edizioni Cinemazero).
L’11 dicembre del 1980 a Pagani (paesone dell’agro nocerino-sarnese in preda all’anarchia) venne ucciso il sindaco democristiano Marcello Torre per il semplice fatto di essersi opposto con fermezza alla gestione “criminale” della ricostruzione. Solo molti anni dopo, Raffaele Cutolo è stato condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio.
L’omicidio Torre (per la prima volta, nel Mezzogiorno continentale, un sindaco venne ammazzato dalla mafia) costituì un balzo in avanti nell’aggressione camorristica alla convivenza civile. Ma questa era solo la punta dell’iceberg del nuovo sistema che si andava delineando, riducendo al silenzio o estromettendo chi non ci stava. La voragine degli investimenti a perdere, dei miliardi bruciati senza senso negli anni terminali della Prima repubblica meridionale, ha nel terremoto il suo epicentro.
Ma che cosa fanno oggi le donne e gli uomini rimasti a vivere nell’Appennino meridionale, gli abitanti di quello che Manlio Rossi-Doria definì un tempo “l’osso” del Mezzogiorno, la sua parte più povera? Il più attento narratore della vita dei paesi devastati dal sisma (oltre che dalla lenta e inesorabile emorragia dell’emigrazione) è Franco Arminio, autore di Viaggio nel cratere (Sironi) e di Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza). I paesi che Arminio racconta, da una parte e dall’altra dell’Appennino, nel cuore o intorno alla sua Irpinia, sono ormai paesi abbandonati. Paesi malati di “desolazione”, sostiene, paesi che ormai si sono arresi. E Conza vecchia, epicentro del terremoto che fu, è la pietra di paragone di questo arrendersi sospeso nel tempo. Visto da qui, dal paese senza vita con le case chiuse o ancora squarciate, con una chiesa senza tetto e senza altare, il Sud fa uno strano effetto.
2 Commenti a “L’osso del Mezzogiorno”
- Larry Massino scrive:
25 novembre 2010 alle 14:10
Parafraso una bella immagine di questo bell’articolo per commentare questo bell’articolo: Italia Paese malato di desolazione, popolato da uomini che ormai si sono arresi.
- Eva scrive:
30 novembre 2010 alle 16:38
Di Franco Arminio ho letto solo Vento forte tra Lacedonia e Candela dove, a sorpresa, compaiono anche alcuni borghi piemontesi, così simili, nei loro silenzi e nella loro desolazione, ai paesi devastati dal terremoto dell’Irpinia. La desolazione di questi borghi, al pari di altri paesi del Sud Italia, è il frutto di una mala educazione che ancora oggi, come negli anni del boom economico, vede la città come l’unico luogo possibile alla realizzazione umana. Giro spesso per i borghi medievali del Piemonte e ogni volta ascolto stupita i racconti dei pochi sessantenni che, in estate, o alla domenica, tornano ai borghi natii dalla città, a fare la conta dei vecchi che ce l’hanno fatta a superare un altro inverno. I giovani, se ci sono, muoiono anche più dei vecchi: incidenti stradali mentre si cerca un qualche stordimento nella città, spesso troppo lontana, o rintanata dietro una curva di troppo.
Ma divago. Non so, non sono certa che la malavita avrebbe avuto esiti diversi o vita più difficile, senza il terremoto dell’80: in fin dei conti, la storia più recente ci insegna che i terremoti possono tornare (e con loro, la ricostruzione).