Una politica miserevole, non c´è immaginazione
di Curzio Maltese - Rep.7.7.98
Cogne - Guardando il Paradiso tutto s´allontana, Italia ed Europa. Qui a Cogne, i primi del 900, venivano antropologi come il francese Robert Hertz, per studiare culti preistorici sopravvissuti ai millenni. Vittorio Foa ha visto la valle cambiare col secolo, colorarsi del turismo di massa, ma senza perdere un tratto di magica distanza che forse aiuta a valutare con occhio d'antropologo i riti ancestrali del Palazzo, della separata comunità politica.
A 87 anni Foa ha appena pubblicato un capolavoro del Novecento, Lettere della giovinezza, inviate ai genitori dal carcere fascista. Dal ´35 al '43, 3.030 giorni di prigionia, una terribile, ironica, antiretorica, grandiosa testimonianza di libertà e intelligenza che cade per caso come un pezzo di montagna sulla piccola moda revisionista. Ma dice subito d'aver voglia di parlare più di presente e di futuro (“a quasi novant'anni, curioso vero?”). Accontentarlo è un piacere, ma dove comincia il futuro? Suona tutto così vecchio. Sembrava fatta con l'Europa, nuove frontiere, altre prospettive. E invece rieccola l'Italietta ingovernabile, in preda ad astratte convulsioni e concreti mercanteggiamenti, Coi suoi bei vertici, le cento anime animacce dell'Ulivo, Cossiga qui, Cossiga là, come Figaro: uno strazio. “Certo che la politica sta tornando a discutere di cose miserevoli. Quando leggo della polemica D'Alema-Bertinotti mi viene da piangere. Che sarà? Necessità di esibirsi, un far sapere che si esiste, senza che ci sia ragione di farlo”.
Il ritorno del nonsense, dopo la mitica corsa all'euro.
“C'è stato un passaggio di estrema vivacità, con la vittoria dell'Ulivo e l'aggancio all'Europa. In un decennio gli italiani si sono scoperti i più europeisti, pagando prezzi anche alti, forse più per noia dei tenaci problemi di casa che per autentica partecipazione a un ideale”. Per una volta, s'è trattato di una mitologia positiva.
Prodi e Ciampi sono stati bravissimi a sfruttarla. A un certo punto si sono inventati perfino un mini-nazionalismo in chiave anti-tedesca. La Germania, dicevano, non voleva farci entrare nell'euro. E lì è scattato l'antico sentimento ostile. Ciampi poi, ogni volta che doveva fare qualcosa qui, andava a Bruxelles e fingeva di farselo dire dall'Europa, quindi tornava con l'aria del condannato. Formidabile. Il resto, la Bicamerale, le Cose 2 e 3, tutte chiacchiere noiose”.
E il referendum Di Pietro?
“Quello no, se passasse l'abolizione della quota proporzionale significherebbe la fine del sogno neocentrista e delle pretese di Rifondazione. Staremo a vedere”. Torniamo al governo, al tandem ormai un po' sfiatato dei traghettatori.
Ciampi ancora mi sorprende. Ha appena detto che bisogna assolutamente costruire una opinione pubblica per opporsi allo strapotere delle banche. Lui che ha fatto il banchiere per tutta la vita. Prodi invece è tornato prudente. Toccherebbe a lui parlare del futuro, lanciare la seconda fase”.
E’ un mulinare di formule, con gli oggetti ben lontani dal tavolo dell’eterna polemica.
”Formule inutili, quando ci sarebbero tante questioni concrete sulle quali misurarsi per dare nuovo slancio all'azione politica. L'Europa, anzitutto”.
Ancora?
“Il bello viene adesso, perché si esce dal mito e si entra nel concreto. Fra poco la burocrazia europea emanerà leggi coattive e la modernizzazione da fuori porrà dei problemi a un paese che conserva tratti autarchici, arretrati. Penso a un mondo delle professioni ancora corporativo, ai medici, agli avvocati, ai notai, al commercio. E poi c'è questa gran cosa dell'operazione Bassanini, la riforma della burocrazia, che se andasse in porto segnerebbe una vera riforma, quasi una rivoluzione”.
Mi sbaglio o sembra ottimista?
“Sbaglia, sono pessimista. C'è in giro molto tatticismo e poca immaginazione”.
Intanto la partecipazione politica crolla, avanza nel vuoto un sentimento di esclusione, a volte rabbioso.
“Al nord la sinistra e il governo continuano a non sapere interpretare la comprensibile voglia di modernità e di partecipazione dei nuovi ceti produttivi, e il difetto di rappresentanza delle periferie urbane. In questo vuoto entra la Lega. Non ha torto il sociologo Diamanti a definire questo un governo di centro anche in senso geografico. Prodi è emiliano, Ciampi toscano. Il secessionismo è fallito, ma nelle aree più ricche del paese rimane una preoccupante tendenza a dissociarsi dalla vita pubblica”.
E Terminator-Bossi?
“Non mi fa paura. L'ho ammirato una sola volta, quando s'è presentato in canottiera all'incontro con Berlusconi in Costa Smeralda. E´stata la sua azione politica più geniale”.
Una canottiera che annunciava il ribaltone. Ma c'è qualcosa di meno comico nel razzismo ormai agitato dalla Lega.
“L'immigrazione è un'altra grande, nuova questione rimossa dalla politica. Ed è grave per due motivi. Uno è che noi italiani siamo impreparati ad affrontarla, disponendo di una cultura dell'emigrazione e non dell'immigrazione. L'altra è che abbiamo frontiere marittime e poco difendibili. Nuove ondate possono scuotere anche le frontiere sociali. Perché gli immigrati sono una minaccia soprattutto per i poveri. I ricchi li considerano da tempo una risorsa da sfruttare. Eppure non se ne discute. Siamo fermi all'iniziativa Martelli, che era anche buona, forse l'unica sua ...”
A proposito di socialisti e riabilitazioni, in Questo Novecento un passaggio di Foa sulle qualità di Craxi evocò qualche stupore, in piena Mani pulite. Vale la pena di tornarvi, in tempi di allegra riabilitazione.
“Confermo che Craxi, a mio parere, ebbe notevoli intuizioni, come la fine delle appartenenze, il bisogno di modernizzazione. Era un politico di ingegno. L'ha distrutto il danaro, questa cosa orrenda. Come re Mida”.
Rovinato da Berlusconi o da Ferrara?
“Ah, l'amico Giuliano non è fortunato” sorride, paterno. Detto questo, rimango fieramente del partito dei pubblici ministeri. Corruzione e mafia, nonostante i processi, mantengono intatto il potere sulla società. Abbassare la guardia sarebbe pericoloso”.
Violando il patto, tocca ora parlare di un passato che non passa, fra elogi di dittatori e anticomunismo sempreverde. Questa settimana in una cinquantina, su grandi quotidiani, settimanali e tivù, hanno circondato il mite Tabucchi, colpevole d'aver dissentito sull'eroismo di Franco e Salazar, e gli hanno dato del picchiatore, chiesto al Corriere di “cacciarlo” e perfino invocato la censura riparatoria di D'Alema. Non è penosamente grottesco? Foa si stringe nelle spalle.
“Nella generale perdita di buonsenso, mi confortano ancora certe frasi magari ovvie ma preziose. Per esempio quando Fini ha ricordato che il comunismo, dopotutto, è morto”.
E gli ex comunisti?
“Mi domando, ma perché tacciono? In fondo toccherebbe a loro ricordare che i comunisti italiani non sono stati soltanto i difensori dell'Urss e dello stalinismo. Erano anche persone serie, appassionate, oneste, capaci. In silenzio, si lasciano venire addosso questi carri armati di latta”.
E a loro, gli ex compagni, ne ha chiesto ragione?
“Se lo domandano anche loro. Forse non ricordano più d'esser stati comunisti”.
“Anche tu, cara ...” dice Vittorio rivolto all'incantevole Sesa, la sua straordinaria compagna, che incantevolmente si ribella: “Io me lo ricordo benissimo!”.
Rimane il mistero di questa destra, unica in Europa a voler rivalutare dittature più o meno fasciste, a presentarsi alle elezioni col programma di “non fare prigionieri”, a barricarsi intorno agli interessi personali di un capo “unto dal Signore”, e quindi esente dalle umane leggi.
“A parte tutto, io credo che le anomalie evidenti della destra italiana trovino ancora origine nel fascismo. Che non ha distrutto la sinistra, come voleva, ma in compenso è riuscito a distruggere per sempre una destra liberale. Non vedo altre ragioni per spiegare come in Italia e in Germania, dal dopoguerra, sia stata possibile soltanto l'alternativa fra un centro e una sinistra. Ed è un guaio, perché una bella destra mi piacerebbe tanto, farebbe maturare la democrazia”.
Sarà forse il vizio di un paese che, pur facendo gran fatica, non riesce del tutto a crescere. Nel continuo aggrapparsi a fantasie e fiabe infantili rivestite dei panni dell'ideologia, viaggiando da un utopia all’altra: impero fascista da Amarcord, le speculari mammelle del comunismo e della Dc, oggi l'anticomunismo pronta cassa del puer Berlusconi, senza mai raccontarsi la verità, come Pinocchio. Nella prefazione alle lettere, Foa dice della difficoltà di parlare ai giovani, e quindi al futuro.
“Non penso di poter comunicare nulla a un ventenne. Quelle erano le risposte alle mie domande di allora, non a queste. Però capisco che vi siano, nei sentimenti, analogie fra gli anni Trenta e questi. La stessa difficoltà di sentirsi vivi e attivi davanti a una storia che sembra già scritta, al generale consenso al vuoto, a un nulla però indiscutibile, privo di ironia e autoironia. La mia risposta politica di allora è stato l'azionismo, che è morto tanto tempo fa e non ha mai contato granché. Ma era un metodo adulto di far politica, di prendere nelle mani il proprio destino, oltre i miti di Usa e Urss, Chiesa e comunismo. Forse questo manca oggi. L'idea che si possa prendere nelle mani un presunto destino e provare a cambiario, la spinta a cercare il futuro nel presente, la libertà di domani nel conformismo di oggi”.