L'Astrolabio n. 10, Pagg. 30-32, 5 marzo 1967
L'antifascismo a Firenze
Colloquio con Nello Traquandi
Abbiamo parlato con Nello Traquandi, venuto a Roma per l'ultimo saluto a Ernesto Rossi. Traquandi, assieme a Rossi, Salvemini e Rosselli, è stato uno dei protagonisti della fase “fiorentina” dell'opposizione giellista: elemento di primo piano della rete organizzativa. A lui non chiediamo, naturalmente, rivelazioni, notizie inedite sull'attività del gruppo fiorentino: è difficile aggiungere qualcosa agli scritti di Salvemini, Rossi, Calamandrei e degli altri protagonisti. Ma c'è un aspetto che la parola di Traquandi - personalità arguta e priva di sbavature retoriche come nessun'altra - può contribuire a chiarire ulteriormente, soprattutto a chi ha prestato un'attenzione esclusiva agli aspetti più strettamente politici della lotta antifascista. Ed è la carica etica, lo spirito di sacrificio, la decisione estrema con cui gli antifascisti fiorentini hanno scelto e portato avanti la lotta irriducibile alla dittatura.
L'attenzione esclusiva ai problemi dell'azione, l'importanza secondaria, in questa fase, di un programma politico definito, son ben resi da Traquandi quando parla della composizione politica del gruppo dell'Italia Libera.
Un movimento d'azione.
E i liberali?
“Quelli poi, direi quasi nessuno. E se venivano, quando entravano, non eran più liberali. Sì, eran bell'e cotti per passare il ponte!”.
Sul piano politico, come si caratterizzava l'attività dell'Italia Libera?
“Un programma politico preciso non era presente in noi. La nostra era un'intesa: bisogna buttare giù il fascismo, e poi ognuno ritorna a casa sua e fa la politica che più corrisponda al suo modo di sentire. La nostra, era la politica dell'azione. Poi quando con Giustizia e libertà si è venuti fuori con dei punti molto precisi, uno schema, allora quella era un'altra cosa, ma l'Italia Libera era così: soltanto opera di disturbo, opera di proselitismo. Uno diceva: sono antifascista, ed era tutto lì. Intendiamoci: non è che non si dibattessero problemi lolitici, si parlava di tante cose. Ma era, come ho detto, una lotta di disturbo: la stampa, scritte sui muri, spedizioni, manifestazioni di opposizione, come quando il re venne a Firenze, i fiori al ritratto di Matteotti e così via. Solo con GL si pensò a cose più grosse. Fin'allora si era in quell'atteggiamento, che si pensava a un capovolgimento della situazione”.
Come vedevate il fenomeno fascismo?
“Come si vedeva il fascismo: ma si vedeva in questo senso semplice: che levava la libertà al popolo - ammesso che ne avesse mai avuta - di potersi esprimere, di poter fare la sua lotta sociale e politica. Ma poi, da cosa fosse scaturito, il fascismo: scaturì perché gli agrari, i grandi industriali si approfittarono di quell'ora di smarrimento che ebbe il popolo italiano, con quelle cntinue agitazioni, con quel continuo minacciar la rivoluzione, che poi in fondo nessuno aveva voglia di farla, e poi lo si vide all'atto pratico. Quelli che non approvavano queste esagerazioni, sono stati poi quelli che hanno continuato la lotta, mentre chi prima gridava alla rivoluzione poi se la squagliò. Ci sarebbe da fare tutto un discorso sugli errori commessi dai capi del movimento operaio, sulla paura che ispirarono anche al popolino, sulle differenze che introdussero o esasperarono tra categoria e categoria dei lavoratori, io la vedo così”.
L'organizzazione.
“Anche se c'era, non si notava. Eravamo tutti generali e tutti soldati; anche se talvolta, nel lavoro pratico, ci si ritrovava in pochi”.
Qual era il ruolo di Salvemini?
“Si andava a sciorinare tutte le nostre idee da lui, no? Era il consigliere, il vaglio, e certe volte facevamo anche delle discussioni molto animate. Perché insomma non è che si andasse a prendere la lezione: o anche, si andava a prendere la lezione, sì, ma con il nostro cervello però. Mai rinunciare al cervello. Salvemini era quello che prevalentemente scriveva il Non mollare, gli altri erano tutti collaboratori per i pezzettini.
Passando al Non mollare: è stato squisitamente un'iniziativa fiorentina. Nelle altre città si andava per stamparlo, eventualmente, come s'è fatto alcune volte, a Milano per esempio. E poi noi abbiamo avuto la fortuna di entrare in tutti i posti: le ferrovie, le poste, il telefono, fra gli esercenti che ci facevano molto comodo per lasciare pacchi, ritirarli ecc. Importanti soprattutto i nostri rapporti con le poste, che tenevamo attraverso Mario Longhi Vecchio Possente; le impostazioni si facevano da altre città: un pò da Milano, un po' da Torino, un po' da Venezia, un po' da Roma; qualche volta siamo riusciti anche a far impostare dalla Sardegna, perché avevamo gli ambulantisti postali - io sono ferroviere, no? - e attraverso il sindacato rosso si ebbe modo di mettersi a contatto con gli elementi più qualificati. Qualche volta gli ambulantisti ci dicevano, ma perche usate i francobolli nuovi? metteteli usati, che noi li aggiustiamo poi coi timbri; ma noi non l'abbiamo mai fatto. Ecco perché abbiamo avuto la possibilità di fare molto: proprio per questa fortuna qui, di avere con noi i ferrovieri, i macchinisti, i capitreno. Si aveva tutto in mano. E poi, dopo, si ebbe anche la dogana”.
Giustizia e Libertà trovò quindi una rete organizzativa già pronta e sperimentata.
“Quando cominciò a entrare il materiale di GL in Italia - dice Traquandi - veniva tutto a Firenze, perché il capo dogana era un nostro compagno. E l'organizzazione era perfetta, tanto è vero che una volta andò dal capo Fosco Ferrari un capitano dei carabinieri per vedere se al mio e ad altri nomi erano arrivati dei bauli dalla Francia, e non risultava niente perché erano tutti nomi stranieri. Nomi stranieri, e la doppia chiave, una a Firenze, una a Parigi. Qui mi mandavano solo la bolletta, all'istituto britannico, sotto un nome qualsiasi, cioè come mi firmavo io nell'ultima lettera. Sicché lavoravo sul velluto, perché all'Istituto britannico la corrispondenza era messa lì in mostra, io andavo, vedevo cos'era arrivato, e lo pigliavo, Dopo, non avevo nemmeno bisogno di fare questo perché il vice direttore dell'Istituto era Guido Ferrando, un nostro amico. E allora lui mi diceva:
sai, Nello, c'è roba giù. Andavo poi dal Fosco Ferrari: oh Fosco, è arrivato il morto. E gli davo la chiave. Lui apriva, levava quello che c'era dentro e ci metteva il peso esatto in libri francesi, inglesi eccetera. Poi gli uomini che erano con lui, portavano gli stampati: al luogo convenuto. Con le altre città, i contatti si tenevano attraverso gruppi di amici. Così a Torino, a Milano, a Venezia, a Padova, Fancello assicurava i contatti con la Sardegna. Ma non è che ci si sia mai trovati in un convegno nazionale, quello no; ci si incontrava: ho conosciuto Parri proprio in uno dei primi miei viaggi a Milano con Ernesto Rossi; ho conosciuto così Ceva, ho conosciuto Calace. Quell'organizzazione si teneva in piedi per questo: perché si ebbe la fortuna di trovare gente che aveva volontà di lavorare”.
L'evoluzione verso G. L.
“A Firenze si ebbe il 3 ottobre, dove furono uccisi tre compagni: Giovanni Becciolini, che era proprio dell'organizzazione; Gustavo Consolo e Gaetano Pil'ati, che irvece si limitavano a distribuire il Non Mollare, ma nel loro campo politico; Pilati era socialista massimalista, e anche Consolo, e di conseguenza distribuivano nel loro ambiente le copie del giornale e ci davan poi quei soldi che potevano metter insieme. Poi venne il tragico 3 ottobre, uscì un nuovo numero del Non Mollare riportando in modo succinto i fatti, e si convenne che non si poteva chiedere di più. Ci fu un periodo di stasi. Insomma, si continuò a lavorare, ma senza distribuire. Non è che si rompessero i gruppi, no; semplicemente non si distribuì più nulla. Poi ci fu la fuga di Rosselli da Lipari e con il suo arrivo in Francia venne fuori GL. E GL trovò il terreno arato da questi gruppi, del Non Mollare e dell'Italia Libera”.
Con GL cominciò il processo di elaborazione politica. Si leggevano gli scritti elaborati a Parigi, poi si mandava a dire il nostro parere. Ma anche se si fossero parlate due lingue diverse, insomma, s'era sempre assieme; il problema centrale era la lotta al fascismo. Era il gruppo di Milano che partecipava più attivamente all'elaborazione politica. Del resto: era andato via Salvemini, Rossi era a Bergamo, Carlo in Francia, Nello faceva lo storico: a Firenze si fu decapitati, si diventa una squadra di serie C, capite cosa voglio dire: la squadra di girone A, il centro politico era a Milano, perche lì c'eran tutti. Ma per le cose pratiche, perché si aveva la facilità della dogana, il centro movimento e traffico era sempre Firenze ...
Con Ernesto però non persi mai i contatti. Era diventato un lavoro: o io andavo da lui, a Bergamo, o lui veniva da me. Ci si metteva al corrente delle novità, lui stabiliva cosa c'era da fare. Dopo, ci arrestarono, e Ernesto lo incontrai di nuovo a Roma, qualche anno dopo. Lo incontrai quando fu portato a Regina Coeli per la tentata fuga dal treno, a Piacenza.
Così ho rivisto Ernesto Rossi, alla fine del 1933”.
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