Gaetano Salvemini, Le origini del Fascismo in Italia (Lezioni di Harvard), a cura di Roberto Vivarelli, RCS 2022
Cap. XI - L’Italia nel giugno 1919

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… Il ministro della Guerra, quello stesso generale Caviglia che nell’aprile doveva condurre la “esauriente inchiesta” per l’incendio dell’Avanti! a Milano, non negò nessuno di questi fatti, ma si limitò a dire che anche lui “seguiva con molta attenzione tutti questi problemi”. Le pensioni agli invalidi e alle famiglie dei caduti, e le visite mediche a coloro che accusavano infermità, venivano concesse solo dopo ritardi esasperanti. Questo in parte era dovuto allo stato di disordine in cui si trovavano le carte personali, ma per lo più la ragione era che gli addetti ai comandi tiravano le cose il più a lungo possibile per evitare di essere smobilitati. Un funzionario addetto alle pensioni che in un giorno sbrigò più di dodici pratiche venne considerato dai suoi colleghi un crumiro, e la loro ostilità fu tale che gli resero la vita impossibile. Eppure, lavorando sul serio, un solo funzionario avrebbe potuto sbrigare almeno quindici pratiche al giorno. I reduci e le famiglie dei caduti si sentivano defraudati dei loro diritti, da un “governo” che dava prova di cattiva volontà e da una “borghesia” malvagia.
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Per molti generali e colonnelli, il modo più sicuro per rendersi indispensabili era una nuova guerra. Nel 1919 il comando supremo dell’esercito e della marina aveva allo studio piani per non meno di altre quattro guerre: una guerra in Georgia contro i bolscevichi russi; una guerra in Asia Minore contro i turchi; una guerra in Albania contro gli albanesi, la Grecia e la Yugoslavia; e una guerra in Dalmazia e in Slovenia contro la Yugoslavia.
Nel giugno del 1919 cominciarono a circolare voci di un complotto per un colpo di stato militare; si sarebbe dovuto sciogliere la Camera dei deputati, e arrestare “i responsabili dei disastri del paese”, dichiarare illegali le organizzazioni operaie e iniziare una guerra contro la Yugoslavia. Il Duca d’Aosta (cugino del Re), il generale Giardino, D’Annunzio, Federzoni e Mussolini avrebbero fatto parte del complotto; gli “arditi” e gli ufficiali avrebbero costituito le forze di combattimento. Giardino, Federzoni, D’Annunzio e Mussolini smentirono quella “stupida chiacchiera,” quella “favola idiota”; ma, intervistato dal Corriere della SeraGiardino ammise che in conversazioni private al Senato coi suoi colleghi, egli aveva sostenuto la necessita di “sentire libera e genuina la voce del popolo”, per “prevenire qualunque moto inconsulto”, e dare “a questo popolo affidamenti precisi che avrà facolà e modo di esprimere il suo volere mediante la nomina legale della sua rappresentanza politica”. “E chiaro? E non ho altro da dire”. Non era chiaro affatto, dato che non aveva spiegato se tutte queste misure dovevano venir prese da un gabinetto di normale nomina regia secondo le regole costituzionali, o da un gabinetto creato da quel colpo di stato militare, di cui era stato fatto il nome di Giardino come di uno dei capi. Il suo silenzio su questo punto invece di allontanare il sospetto lo confermò. D’Annunzio annunciava di non intessere complotti, ma “nel nome del popolo vero” era pronto ad osare qualsiasi impresa e “con la sola forza del popolo vero, l’Italia avrà la sua quindicesima vittoria”; nella guerra italo-austriaca aveva contato quattordici vittorie. Dove e contro chi doveva esser vinta la quindicesima vittoria? A Roma e contro il Parlamento, o fuori d’Italia e contro la Yugoslavia? Chiunque si sollevi contro un governo legittimo parla sempre nel nome del “popolo vero”. Mussolini fece la seguente dichiarazione: “Accadrà quello che deve accadere”.
Il conservatore Corriere della Sera non poteva accusare in modo esplicito un principe della casa reale e un ufficiale di un alto grado dell’esercito; quindi sostenne che le voci di una congiura militare erano infondate; ma si dimostrava lieto “che un temporale di ridicolo sommerga ed affoghi queste panzane”; “dipingere il diavolo sul muro serve talvolta a qualche cosa”; poi si prendeva la pena di spiegare perché il paese avrebbe reagito con “lo sdegno e la rivolta” contro q ualsiasi tentativo di un colpo di stato militare.

La velleità di crear fatti compiuti e di ricominciare in un modo o nell’altro la guerra, è stata troppe volte espressa nei comizi e nei giornali (…). Da un lato è naturale che, essendo mobilitato senza la guerra un grande esercito glorioso, vi sia qualcuno che, in accademiche conversazioni, pensi di dare una funzione (interna o esterna) a quest’organo pletorico. Dall’altro lato è naturale che le popolazioni soffrano di una situazione anormale e precaria (...). Né possono non soffrire dell’immenso gravame di cui le carica il mantenimento di uno stato di guerra senza guerra (…). E non v’è che un solo programma di cura che non sia ciarlatanesco: la pace, la smobilitazione, l’apertura delle frontiere, la ripresa degli scambi, la restaurazione della fiducia e del lavoro è proprio il programma diametralmente opposto a quello che viene attribuito al fantastico complotto militarista, dittatoriale e perpetratore della guerra”.

Le attività politiche degli “arditi” devono esser messe in relazione alle manovre politiche della mano nera militare. L’amministrazione militare, ritardando di quanto era possibile la smobilitazione, col pretesto che il problema della frontiera italo-yugoslava era ancora da risolvere, mandava in licenza migliaia di “arditi,” i quali partecipavano in divisa alle dimostrazioni politiche, col pugnale sul fianco, levando il loro grido di guerra, “A noi!”, senza che le autorità militari facessero niente per scoraggiare queste azioni illegali. Gli “arditi” non si limitavano alle dimostrazioni politiche; ogni giorno l’Avanti! pubblicava intere colonne di reati commessi in tutta Italia dagli “arditi.” Il giornale nazionalista levava energiche proteste, sostenendo che l’Avanti! si serviva di singoli atti di violenza come pretesto per diffamare gli “arditi”.

L’Avanti! tenta di diffamare negli “arditi ” attraverso questo o quel caso individuale di delinquenza, lo spirito della vittoria che negli “arditi” assume una forma più evidente e più plastica (…). Ma (…) gli “arditi” convenientemente epurati d’ogni tristo avanzo di bassofondo cittadino (...) e convenientemente organizzati, rimarranno a perpetuate nell’Italia di domani proprio quello spirito di educazione nazionale e militare che ci è valso, in guerra, il sovrumano impeto vittorioso dell’assalto e, in pace, l’attiva e fattiva resistenza alle mene criminose dei nemici della patria (…). L’Italia non permetterà che i suoi figli migliori siano iniquamente offesi”.

Il modo migliore per porre fine alla campagna dell’Avanti! Era quello di sciogliere i battaglioni di “arditi,” ora che la guerra era finita, vietare l’uso della divisa militare a tutti coloro che non erano più sotto le armi, e lasciare che se la sbrigasse la polizia con tutti i delinquenti comuni. Invece, il 17 giugno, i giornali pubblicarono la notizia che un generale era stato nominato ispettore degli “arditi,” col compito di riorganizzarli e disciplinarli. L’Idea Nazionale era stata ben informata: nel maggio aveva affermato che gli “arditi” non sarebbero stati sciolti.
Le autorità militari italiane avevano davanti agli occhi quei Frei Korps, che in Germania, a partire dal dicemhre 1918, conducevano la guerra civile sotto la guida di ufficiali dell’ex-esercito imperiale. In Italia, gli “arditi” dovevano essere il corrispondente dei Frei Korps tedeschi...