Traguardi. La liturgia della “prova finale” inventata dai gesuiti compie quattrocento anni. Il libro di un preside, Rosario Drago, ne ripercorre la storia.
Esami. La riforma non finisce mai
Tra severità e compromessi: dalla legge Casati del 1859 a Gentile e Berlinguer. Una pratica seguita in Italia, Spagna e Francia ma sconosciuta agli anglosassoni Heinrich Lossow: AriannaL'ispirazione era venuta dalla Cina. Il concorso per l'accesso al mandarinato, con la sua macchina fastosa, aveva colpito i missionari cristiani nel Celeste impero. E fu da quel modello che i Gesuiti presero spunto per disegnare l'Esame universale, degno coronamento al ciclo di studi nei loro collegi. L'esame, introdotto nel 1599 con la Institutio atque ratio studiorum, festeggia quest'anno il suo quattrocentesimo compleanno. Strano che il ministro Berlinguer, impegnato a costruire la Grande Muraglia della nuova Maturità, si sia dimenticato di celebrare la ricorrenza. A ricordarcela, in un libro che esce in questi giorni, è un preside colto e intelligente, Rosario Drago. “Forse anche per le torture inflitte agli studenti con le continue prove di ammissione, di promozione e di licenza, - scrive - i Gesuiti sono stati avvolti dalla leggenda nera di una pedagogia cospirativa, poliziesca, persecutoria e, insieme, potente e fascinosa”. Sarà un caso, ma la liturgia dell'esame finale è tipica di quei paesi che hanno risentito dell'influenza dei Gesuiti - Francia, Spagna, Italia, ma anche la Germania protestante - ed è invece sconosciuta nell'area anglosassone. Che si chiami Abitur, Maturità o Baccalauréat, è una prova suprema da affrontare in nome della Nazione e della Cultura, un solenne rito di passaggio all'età adulta. “E’ lo strumento con cui gli Stati, abolito ogni privilegio della nascita e della ricchezza, hanno imposto il merito come nuovo criterio per assegnare a ciascuno il giusto posto nella gerarchia sociale”. Balzac lo definisce la “madre di tutti i grandi uomini che hanno dato lustro alla Patria”. E Strindberg lo paragona alla “salvezza eterna o al titolo di signorina, che perderebbe la sua attrattiva se fosse a disposizione di tutte”. Nel nostro Paese, il primo tentativo di dare ordine agli esami finali della secondaria risale al conte Gabrio Casati, ministro del Regno di Sardegna, e alla legge del 1859 che porta il suo nome: 379 articoli, il primo codice della scuola italiana. La licenza liceale serviva come titolo di ammissione a tutte le facoltà universitarie e di partecipazione a concorso per gli uffici pubblici. Ma il modello sabaudo non regge all'impatto con la realtà frammentaria e culturalmente arretrata dell'Italia del tempo. Un'inchiesta ministeriale del 1864 già denuncia l'infimo livello di preparazione degli studenti e la “soverchia indulgenza” degli esaminatori, invitando a concentrare gli sforzi sulle due licenze, ginnasiale e liceale. Ma nonostante questi moniti, negli anni successivi è tutto un susseguirsi di dispense e di facilitazioni. A inventare il sei politico non sono stati i ribelli del 1968, bensì qualche pietoso ministro a cavallo tra i due secoli, il quale stabilì che con il sei all'ultimo scrutinio uno poteva essere dispensato dall'esame per la materia o le materie in cui aveva ottenuto la sufficienza. E come scrive Dino Provenzal nel 1921, “per la forza d'abitudine”, un sei non si nega a nessuno. “Imparar greco e matematica è uno sforzo mostruoso! - gridavano gli scolari. - Eccovi l'opzione tra l'una e l'altra - risponde il ministro con l'aria di chi dice, "perdonatemi: una bastonata debbo darvela perché è il mio mestiere; se tra capo e collo oppure sulla schiena, scegliete voi". - Ma anche il latino è troppo difficile! -. Ed eccovi il liceo moderno. - Ma tutte le materie, prese insieme, sono troppe! -. Ed eccovi la licenza condizionata!”. Il giro di vite arriva con la riforma varata da Giovanni Gentile nel 1923. L'esame di Stato viene reso omogeneo su tutto il territorio nazionale, con una precisa tipologia di prove scritte e orali, e commissioni interamente composte di esterni (in parte professori di scuola secondaria, in parte docenti universitari), per garantire l'assoluta imparzialità. Il progetto genera subito malumori e contestazioni, di cui si rendono interpreti i “comitati dei padri di famiglia”, che chiedono il ritiro della legge o almeno la sua sospensione per l'anno scolastico '24-'25. Ma il nuovo ministro, il liberale Casati, tiene duro. Ed è un'ecatombe: ben il 75% di respinti in prima sessione, con punte ancora più elevate tra i privatisti. La rivolta dei papà divampa in tutto il Paese, e il regime, che nel frattempo ha perfezionato la svolta autoritaria, non può restare insensibile. Al ministro Casati subentra il fascista Fedele, ostile alla riforma, e nel dicembre del '25 viene istituita una terza sessione d'esame per i candidati respinti in ottobre, con un ulteriore addolcimento dei programmi. Due anni dopo, Mussolini si spinge oltre, rivendicando “la necessità di alleggerire il fardello culturale che grava sulle spalle e sullo spirito degli studenti medi”. Il rigore degli studi non può e non deve intaccare il consenso al fascismo. E poi, continua il Duce, bisogna ridurre il peso della filosofia e della storia antica e dare più spazio alla storia moderna italiana, dal 1821 al 1922, “un secolo che gli italiani dovrebbero conoscere in profondo, perché è il secolo della Resurrezione della Patria”. Forse il discorso vi suonerà familiare. Non vi sbagliate, commenta Drago: “Tutti i politici preferiscono che a scuola si studi l'epoca contemporanea (dove ci sono anche loro), confondendo l'età biologica degli studenti con le età della storia”. A completare l'opera di smantellamento del modello gentiliano provvede, nel '42, Giuseppe Bottai, stabilendo che le commissioni debbano essere formate dagli stessi insegnanti del candidato. Solo dopo la Liberazione, per ridare dignità e serietà all'esame, si tornerà ai “giudici esterni” e al “colloquio finale” su tutto il programma. Il resto è storia recente, il movimento del '68, la maturità “sperimentale”, e ora la riforma di Berlinguer. Ma con quattrocento anni sulle spalle, riuscirà l'Esame a entrare felicemente nel Terzo millennio? O è ormai ridotto a un feticcio, a un talk show inconcludente che tanto varrebbe abolire? Dopotutto vi sono paesi che la Maturità non sanno cosa sia, e non ne sentono la mancanza. Quando le mamme italiane confrontano orgogliose la cultura “classica” dei loro figlioli (Dante, Petrarca, Boccaccio ...) con l'ignoranza dei giovani yankee, dovrebbero forse meditare sulle parole di Gaetano Salvemini: “La high school educa adeguatamente il senso civico nei futuri cittadini e cittadine della democrazia americana. L'alunno partecipa a riunioni in cui si esaminano le difficoltà della vita scolastica giornaliera, o si discute sulle prossime elezioni ... Questa educazione civica, mancante del tutto nelle nostre scuole, è il vero scopo della high school americana, ed è raggiunto in larga misura”. Anche se la realtà degli Stati Uniti di oggi non è più la stessa, ci si può domandare quanto sia più formativo per un adolescente dover superare una lunga serie di prove quotidiane lontano da casa, invece di un'unica prova finale dalla quale non uscirà Mandarino, ma soltanto matricola tra mille altre all'università della porta accanto. Con pranzo e cena, naturalmente, serviti da mammà. Il libro La nuova Maturità di Rosario Drago è pubblicato dalle Edizioni Erickson di Trento. di Riccardo Chiabergeù
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