Piero Ignazi, Vent'anni dopo La parabola del Berlusconismo, Pagg. 142-144 Il Mulino, Bologna 2014
La modernizzazione e il nuovo miracolo economico.

I guerra mondiale
I guerra mondiale
E proprio sul terreno privilegiato dell'economico che crollano miseramente le promesse. I dati statistici di ogni fonte, dall'Istat alla Banca d'Italia, dall'Ocse al Censis, segnalano il regresso dell'Italia in termini assoluti e comparativamente agli altri paesi europei. Le infrastrutture, la ricerca, il sistema scolastico, il tessuto industriale, il governo del territorio e il patrimonio artistico, il welfare, non sono altro che alcuni casi di un cahier de doléances infinito. L'amara realtà è che l'Italia ha fatto passi indietro, quasi in ogni settore. E quando invece ha migliorato le sue posizioni, soprattutto in tema di conti pubblici, questo si deve inequivocabilmente ai governi di centro-sinistra. L'incapacità di promuovere sviluppo nelle fasi alte della congiuntura internazionale e di affrontare con rigore e coerenza la grande crisi non solo ha scontentato e allontanato dal Cavaliere e dal suo partito buona parte dell'elettorato medio-borghese: ha sconvolto la struttura sociale stessa su cui poggiava il suo consenso. La moria di imprese, l'impoverimento del ceto medio e la disoccupazione dilagante hanno modificato in profondità il tessuto socioeconomico del paese. Quella base di consenso su cui Berlusconi ha fatto affidamento per tanti anni si è ristretta e, in parte, gli ha voltato le spalle, delusa. La prospettiva della modernizzazione e di un nuovo miracolo economico è svanita.
I guerra mondiale
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La parabola del berlusconismo termina quindi sotto il segno di tre fallimenti:
- fallita la costituzione di un grande partito liberal-conservatore ridotto a una formazione patrimoniale-populista con tratti carismatici, del tutto soggetta alle decisioni insindacabili del capo e aliena ai principi liberali;
- fallita la modernizzazione del paese, riportato indietro di anni se non di decenni, ben al di là dell'impatto esterno della crisi internazionale;
- fallita la rivoluzione liberale. E questo per molti motivi: per l'adagiarsi su interessi settoriali, corporativi e persino personali visto il “benefit politico” aggiuntivo di 2,1 miliardi di euro alle sue televisioni per tutti gli anni in cui è stato al governo; per la radicalizzazione esasperata del conflitto politico, funzionale a eliminare potenziali concorrenti dell'area moderata, a incominciare da Mario Segni; per la confusione-irrilevanza del rapporto tra azione individuale e responsabilità collettiva; per l'abbattimento di ogni confine tra sfera pubblica e sfera privata; per la diffusione di valori e prassi antitetici a quelli liberali.
Questi fallimenti sono inequivoci ma sarebbe liquidatorio fermarsi qui. Se il ventennio porta il segno del Cavaliere significa che qualcosa, e ben più di qualcosa, è rimasto. In estrema sintesi, una cultura politica che in parte si è connessa con quel basso continuo della nostra storia nazionale di diffidenza/ostilità per l'imperio della legge e la legittimità delle istituzioni; in parte ha espresso un individualismo debordante, vitalista ma senza argini; e infine ha infranto le barriere del reale e del razionale favorendo fughe in avanti e aspettative miracolistiche che solo un capo può soddisfare.
Quanto di tutto questo rimarrà vivo nella società dipende dalle scelte di quella classe, la borghesia, che avrebbe dovuto far argine al populismo forzaleghista, mentre invece è rimasta rincantucciata dietro le prebende del Cavaliere e ha preferito turarsi il naso pur di fare affari e di arginare i rossi. Se non acquisisce coscienza di sé, cioè del ruolo di guida che ovunque essa assume grazie a un ethos intriso di valori liberali e democratici e non populisti, allora il berlusconismo continuerà a circolare sottotraccia.