La nuova Italia leggera di testa
di Eugenio Scalfari Rep. 061299

Adolf Hitler
Adolf Hitler
Ha molto colpito anche me il rapporto diffuso dal Censis pochi giorni fa sullo "stato del paese" cui Gad Lerner ha dedicato un bell'articolo l'altro ieri. Il documento è gremito, come già negli anni scorsi, da una gran quantità di statistiche che danno conto del comportamento degli italiani e riguardano consumi, risparmio, natalità, invecchiamento, nuove forme di lavoro, convivenze familiari, uso del tempo libero e insomma l'evoluzione (o l'involuzione) di questa nostra società. Se ne ricava un quadro tutt'altro che ottimistico e Giuseppe De Rita lo sottolinea e lo drammatizza nella sua introduzione al volume.
Lerner ha già citato alcune delle definizioni e dei giudizi di De Rita sugli italiani, colti nell'ultimo anno del nostro secolo; non sono giudizi incoraggianti: sconnessione psichica, passività, deresponsabilizzazione verso il futuro, egoismo individuale. Ma quello che a me sembra il più azzeccato descrive gli italiani in preda a un "pensiero di sorvolo" che sarebbe poi la sintesi generale delle mille pagine del documento.
Pensiero di sorvolo: come dire una sorta di trasognamento irresponsabile, di dormiveglia privo di motivazioni forti, di precariato intellettuale ed etico, di emotività senza convinzioni. M'è venuta in mente una delle belle cantate del "Don Giovanni" mozartiano dove il librettista Da Ponte fa dire a Masetto a proposito dei suoi amici: "giovanotti leggeri di testa"; così sarebbero gli italiani secondo De Rita: leggeri di testa, sorvolano i problemi senza alcuna volontà d'incidere su di essi pagando i prezzi necessari per compiere tale faticosa operazione. Badano all'utile proprio, alla propria immagine pigolando "io io io" in ogni occasione e per il resto sorvolando. Leggeri di testa, appunto.
Questi giudizi alquanto sconsolati non sono nuovi e non li ha inventati De Rita. Il pensiero corre a Salvemini, Gobetti, a Ugo La Malfa, a Enrico Berlinguer, a Ezio Vanoni. Ma il fatto che non siano più soltanto scaturiti dall'intuizione di alcuni moralisti e uomini politici, ma derivino dall'analisi di un centinaio di grafici e di tabelle è un fatto che deve farci riflettere, una dimensione nuova e di massa d'un fenomeno diventato ormai il tratto predominante d'una popolazione apatica, nevrotizzata, dedita a piaceri fuggevoli, fuggevoli entusiasmi, fuggevoli amori, fuggevoli commozioni. Abbondano i vecchi e i giovani, difettano le persone mature e purtroppo lo si vede.
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Adolf Hitler
Adolf Hitler
Un tempo i nostri moralisti insoddisfatti del proprio paese portavano ad esempio quelle che essi definivano le grandi democrazie dell'Occidente dove i principi della libertà, della giustizia e della legalità erano nati e avevano avuto il tempo di consolidarsi e affinarsi. Si citava l'Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti, i paesi scandinavi.
Alcuni, anzi molti, citavano - del tutto a sproposito - perfino la Russia di Stalin, magati da un'ideologia che sosteneva un sistema d'illegalità e di criminale oppressione. Passata la catastrofe della guerra e gli orrori del nazismo anche la Germania fu additata come modello di società solidale, consapevole dei diritti e dei doveri della cittadinanza e degli individui che la compongono.
Ma oggi una buona parte di questi esempi ha perso vigore rivelando crepe vistose e deformità abbastanza simili alle nostre. La globalizzazione dei vizi è stata assai più rapida di quella delle virtù; molte rappresentazioni che ci sembravano poggiate su solidi fondamenti si sono rivelate fondali e quinte di cartone. Il "pensiero di sorvolo" e i "giovanotti leggeri di testa" sono diventati un fenomeno planetario: ogni paese coltiva i suoi scandali, le sue inefficienze, le sue corruzioni e i suoi egoismi. Si direbbe che il pianeta Terra si sia tolto la maschera e appaia ora in tutta la sua nudità inerte e tremebonda malgrado la potenza della tecnologia che l'avvolge e la condiziona.
Questo panorama desolato è emerso nitidamente nei giorni scorsi a Seattle durante la riunione per la libertà del commercio internazionale e le violente manifestazioni di strada che l' hanno punteggiata e contrastata. La moltitudine dei dimostranti ricordava le rivolte luddistiche degli artigiani e dei contadini del primo Ottocento contro l'introduzione delle macchine nei processi produttivi; ma il consesso delle nazioni riunite a convegno non offriva un aspetto migliore: gli interessi americani si sono scontrati con quelli delle corporazioni europee, i paesi più poveri sono stati sballottati fra gli uni e gli altri anteponendo la loro competitività di fresca data allo sfruttamento minorile e femminile sul quale si fondano le loro capacità di esportazione e di sopravvivenza.
I guerra mondiale
I guerra mondiale
Gli esperti e i predicatori del liberismo moltiplicano messaggi di saggezza e di speranza ricordandoci che nel lungo termine la libertà economica diffonderà il benessere su tutti i ceti e in tutti i punti cardinali del globo. Sono messaggi teoricamente ben fondati soprattutto per il fatto che se la diffusione del benessere attraverso la libertà dei commerci è un'ipotesi a lungo termine possibile e forse probabile, il protezionismo è sempre stato apportatore di impoverimento.
Ma la libertà e la piena competizione comportano anche sacrifici molto elevati per i ceti e per i paesi più deboli. Vale per essi l'ironica massima di Keynes a chi gli magnificava le virtù terapeutiche del laisser-faire: a lungo termine saremo tutti morti e quei benefici non li vedremo.
In un mondo di crudeli disuguaglianze che si accrescono anziché diminuire quella massima è quantomai attuale; la
I guerra mondiale
I guerra mondiale
competizione infatti - in attesa di diffondere il benessere su tutti - per l'intanto premia i più forti e penalizza i più deboli. Quanto dovrà durare l'attesa? Da quanto tempo dura? È vero che negli Stati Uniti la fascia delle nuove povertà è terribilmente aumentata?
Non parliamo della Thailandia o dell'Indonesia; parliamo dei ghetti di Chicago, di Washington, di Los Angeles. Le società opulente coltivano nel loro seno disuguaglianza e povertà. Quanto tempo ci vorrà per il riscatto? A lungo termine saremo morti tutti.
Questa consapevolezza è disperante anche perché l'altra verità è che non esistono scorciatoie nei percorsi della storia. È da qui, da questa caduta di speranze o, se volete, di illusioni, che nasce il "pensiero di sorvolo", l'egoismo, la morale fuggitiva e anche - ricordiamocelo - la piccola ma insopportabile criminalità quotidiana. È da qui che nasce la spinta dei poveri a emigrare verso le città del mondo e per reazione da qui nasce la "tolleranza zero", i sindaci-sceriffi, la xenofobia che porta a destra fette consistenti di sinistra fuggitiva. Di qui nasce anzi rinasce il razzismo.
I guerra mondiale
I guerra mondiale
La sofferta scommessa dei saggi predicatori del mercato globale sta nella sopportazione che a lungo termine arrivino i frutti sperati; che i figli e i nipoti vivranno meglio dei padri e dei nonni. Forse sarà vero; noi tutti ci auguriamo che sia vero. Ma spesso i padri e i nonni non sono d'accordo. Gli si obietta: volete dunque tutto e subito? E quelli non hanno tema di rispondere: vogliamo subito almeno qualche cosa; non l'elemosina, ma qualche cosa che sia nostra, guadagnata da noi per la nostra dignità.
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I nstri soldati leggevano nella I guerra mondiale ...
I nstri soldati leggevano nella I guerra mondiale ...
A Seattle, in modi molto confusi, con terapie molto improbabili innaffiate da ampie dosi di settarismo e faciloneria, si sono scontrati questi due universi mentali e lo scontro ha prodotto il sostanziale fallimento di quel tanto autorevole consesso, già minato dagli interessi forti variamente contendenti.
C'è una sola via di sbocco per questa babele economica, politica, morale, ed è racchiusa nello slogan "governare la globalità, governare il mercato".
Ai tempi della guerra fredda la contrapposizione era netta: o il mercato o la centralità economica dello Stato. Questo secondo corno del dilemma è miseramente crollato, ma il primo non regge alla contestazione dei poveri e delle corporazioni. Torna dunque in ballo la parola governo e il verbo governare che sembravano esser stati cancellati dall'empito del liberismo galoppante.
Ma si può governare un mercato globale attraverso governi locali, spesso in conflitto d'interessi tra loro? Un mercato globale postula - se dev'esser governato con saggezza e fermezza - un governo globale. Ebbene, questo governo globale non esiste, nuove grandi potenze si stanno anzi affacciando sulla scena a cominciare dalla Cina e dall'India e renderanno ancor più complessa la situazione del mondo.
Il mondo soffre di una profonda crisi istituzionale: senza governo globale il mercato globale non può essere governato, ma se non sarà governato sarà contestato, combattuto, intralciato e comunque sarà il campo di battaglia tra poteri forti e non diffonderà benessere ma tutt'al più elemosine. Alternative? Al momento nessuna. Nel lungo termine la crisi delle istituzioni mondiali sarà probabilmente risolta ma anche in questo caso è terribilmente vero che nel lungo termine saremo tutti morti.