Gaetano Salvemini, Tendenze vecchie e necessità nuove del movimento operaio italiani (saggi critici), (Dalla Battaglia di Palermo dell'aprile e maggio 1904)
IV. - I socialisti meridionali.
E’ questo uno degli elementi più curiosi della presente crisi socialista in Italia.
Se c'è un paese, in cui è un'astrazione lontana e fantastica la rivoluzione socialista - come un atto risolutivo, il quale istituisca, nella società borghese giunta al colmo del suo sviluppo, il predominio proletario - questo è proprio l'Italia meridionale.
Che cosa vogliamo socializzare noi nell'Italia meridionale? La miseria?
Proprio pochi giorni prima che i meridionali andassero a Bologna a votare per la rivoluzione, un piccolo borghese socialista a Ruvo di Puglia corse pericolo di essere sbranato dalla folla per aver mancato di rispetto a una Madonna; i regi carabinieri, per salvare il piccolo borghese socialista, ammazzarono un proletario autentico, ne ferirono una mezza dozzina e ne misero dentro un paio di dozzine; e nessun giornale socialista rivoluzionario fece nessuna protesta a questo riguardo. Quale rivoluzione, si può mai fare in un paese così disgraziato?
Vogliamo fare la repubblica? Con quali forze ? E come la manterremo in piedi, noi che in generale non siamo buoni neanche a conquistare un consiglio comunale; e se per caso ne conquistiamo qualcuno, non siamo buoni ad altro che a farci prendere a pedate dal popolo sovrano? La lotta antimonarchica avrebbe un grande significato e una importanza immediata, quando partisse dal Nord, il quale può fare la rivoluzione, come può fare le riforme; è una vociferazione sterile e ridicola, quando sia rappresentata dai meridionali, che non sono in grado di iniziare né una riforma e tanto meno una rivoluzione!, e nel movimento politico italiano - o riformista, o rivoluzionario - non possono far altro che seguire le iniziative del Settentrione.
Certo la propaganda oratoria può riuscire utilissima, se sia fatta a tempo e a luogo, quando cioè gli animi sieno stati già abilmente e cautamente preparati da un lavorio pertinace e multiforme di suggestioni concrete, in modo che la esposizione delle teorie astratte venga ad essere il coronamento visibile di un anteriore lavoro sotterraneo; venga a dare agli uditori la consapevolezza di un nuovo stato d'animo, a cui erano giunti senza saperlo.
Ma dal fatto che questo stato d'animo si manifesta in generale dopo avere ascoltato un discorso, è puerile ricavar la conseguenza che la coscienza socialista si manipoli coi discorsi; e ottenuta una conversione, se non si vuol perdere in breve il frutto della vittoria, bisogna subito avviluppare il nuovo stato d'animo in una solida rete d'interessi concreti, abbandonando l'illusione di poter conservare sott'olio le coscienze a furia di discorsi fino al gran giorno della lotta finale.
Da questa concezione del buono, anzi dell'unico metodo serio di propaganda socialista, deriva il riformismo. Il quale, se è necessario al Nord, è mille volte più necessario al Sud.
Nel Sud non abbiamo grandi industrie accentrate, le quali suggeriscano spontaneamente al proletariato l'idea della lotta di classe e della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio.
Non abbiamo che un proletariato rurale, la cui ideazione è riluttante alle astrazioni teoriche, e che in una conferenza di così detta “propaganda socialista pura” o non capisce nulla, o vede il diavolo, o capisce a rovescio.
“La coscienza di classe - scrisse Ettore Ciccotti alcuni anni fa in un bel lavoro sul socialismo meridionale, che dovrebbe esser letto da tutti (Rivista moderna di cultura, 31 marzo 1900) - la coscienza di classe nella massa proletaria, l'abitudine della partecipazione alla lotta politica, un certo consenso d'interessi, di vedute, si possono suscitare soltanto col cercare un primo punto di applicazione in cose d'interesse immediato, negli episodi della vita di ogni giorno, nei bisogni più semplici, ma più continuamente ricorrenti, di ciascuno dei membri di quella massa”.
A una conquista ben diversa può servire magnificamente la cosi detta propaganda socialista pura: alla conquista degli studenti bocciati, dei commercianti che non possono pagar le cambiali, dei piccoli borghesi affamati cercatori d'impiego. Parlare a costoro di socialismo è come invitarli a nozze: non lo discutono, non si occupano di capirlo, lo inghiottono alla cieca: intuiscono che è una teoria rivoluzionaria, essi son rivoluzionari per fame, dunque sono socialisti. E' impossibile dire le forme mostruose che prende il socialismo in queste teste spostate, mal nutrite, storpiate dal latino e dal greco. Dovunque questa gente penetra, porta la disorganizzazione e la rovina. Finché si trovano all'Università o al Liceo, tumultuano, malscalzoneggiano, oggi in nome del socialismo, come ieri in nome della repubblica: ritornati in paese, fanno gli agitatori, urlano, sbraitano, finché non han trovato chi turi loro la bocca con un boccone qualsiasi; si gettano nelle pastette locali, discreditando sé stessi e il nostro partito. Ed è questo il pericolo serio, che corre il nostro partito nei paesi meridionali, dove pur tante condizioni vi sarebbero favorevoli al suo sviluppo.
Se c'è, insomma, un paese, in cui il socialismo o è riformismo o è bagolonismo in via di diventar camorrismo, questo paese è proprio l'Italia meridionale. Eppure i socialisti meridionali sono rivoluzionari!
Come si spiega questo fatto?
Si spiega osservando che i riformisti settentrionali hanno concentrato tutte le loro forze intorno al riformismo sociale, come se tutta l'Italia si riducesse alla piazza del Duomo di Milano, mentre il riformismo dei socialisti meridionali non potrebbe essere che riformismo politico. Per noi meridionali, la legislazione sociale è parola quasi vuota di senso, perché ignoriamo quei rapporti economici, che la legislazione sociale ha l'intento di disciplinare.
Inoltre il ministerialismo dei riformisti del Nord è stato per noi un continuo, sanguinoso oltraggio. Nessun uomo politico ha mai sistematicamente, come Giolitti, adoperata fra le sue arti di governo la corruzione e l'asservimento politico e morale del Mezzodì.
Per troppi settentrionali, anche fra coloro che più spesso fanno sfoggio di retorica unitaria, le popolazioni meridionali sono carnaccia da macello e da bordello. Giolitti pensa così e agisce in conseguenza; ma agisce con quella tenacia, con quella brutalità, con quella mancanza di scrupoli, con quella ferrea rigidità, che costituiscono nella nostra vita politica sfiaccolata e oscillante la sua forza.
In questi tre anni noi abbiam visto nei nostri paesi gli agenti del governo fare e disfare a capriccio le amministrazioni locali; abbiam visto la maffia, la camorra, la mala vita, tutta la feccia sociale dei nostri paesi, palesemente protetta dal governo centrale, e sguinzagliata contro gli avversari dei deputati ministeriali; abbiamo visto massacrare senza pietà i nostri proletari ad ogni minimo accenno di disordine, mentre al Nord la forza pubblica aveva per gli operai mille riguardi e mille tolleranze, come ben si addice a persone che appartengono a una razza più gentile.
E intanto i deputati socialisti votavano per il Ministero. E alle denuncie, che noi facevamo ad essi delle infamie, che si commettevano fra noi, essi o non rispondevano, o ci facevano capire che non credevano alle nostre parole, o facevano una scrollata di spalle e dicevano: “Da noi il governo non fa così; la colpa non è di Giolitti; è vostra”.
Si aggiunga che i socialisti meridionali, per la mancanza di partiti affini, sono in generale costretti alla intransigenza, e perciò mal disposti verso l’affinismo dei riformisti del Nord. Si aggiunga che il Partito socialista meridionale è, anche più che quello del Nord, inquinato da elementi piccoli borghesi, capaci solo a urlare e a fare nei congressi nazionali la funzione degli iloti.
Si aggiunga tutta la ripugnante campagna di diffamazione contro Turati e Bissolati e gli altri principali riformisti, con cui da due anni i giannizzeri di Enrico Ferri avvelenano gli animi. E si comprenderà come il riformismo, incarnato da quegli uomini e mal applicato da quegli uomini, abbia suscitato nel Mezzodì una riprovazione accanita e universale. E poiché opporsi al riformismo di Turati significa in Italia esser rivoluzionari, i socialisti meridionali si credono rivoluzionari. [...]