www.ilsole24ore.com/art/l-eterna-questione-meridionale-scommessa-vincere-sud-ADAELYNB
L’eterna questione meridionale, una scommessa per vincere al sud
Il Sole 24 Ore
di Federico Maurizio D'Andrea 4 marzo 2021
A memoria non ricordo un discorso di un Presidente del Consiglio dei Ministri che, all’atto del suo insediamento, non abbia menzionato la cd. Questione meridionale - con, in alcuni casi, l’annuncio dell’istituzione di un dicastero ad hoc - per risolvere la quale sono state dedicate lunghe pagine programmatiche e promesse di realizzazione di opere più o meno monumentali.
Un paradosso
Quando si parla di questione meridionale e delle cause che ne impediscono il superamento, la prima criticità che va richiamata è senza dubbio quello riguardante il concetto di legalità, inteso nel senso di sicurezza, di presenza effettiva delle Istituzioni, di fiducia che le persone ripongono negli organi di governo nonché nelle sue articolazioni territoriali. Da meridionale, sono convinto che l’ordinarietà, anche nel Sud d’Italia, è espressa da una comunità di individui rispettosi delle regole e difensori dello stato di diritto; così come, avendone diretta contezza, da una classe imprenditoriale eccellente, con una alta visione strategica di straordinarie potenzialità.
Eppure, ogni qualvolta nasce un’impresa, ogni qual volta un’impresa in qualche modo si afferma anche nel Sud, il primo problema che deve superare è quello della pacifica “convivenza” nel territorio di riferimento. Questo rappresenta un enorme limite perché pone un forte deterrente alla libera attività di impresa che, inevitabilmente, non può che generare una economia stagnante: non è un caso che non sia usuale trovare imprenditori non meridionali che investano nel Mezzogiorno.
La forza attrattiva
In ogni zona del nostro Paese, ma soprattutto al Sud, fare impresa non significa insediare stabilimenti per ottenere agevolazioni fiscali o sgravi contributivi (retaggio di un antico modo di “far politica”); sono noti a tutti i ricordi di insediamenti industriali che hanno apportato illusorie sacche occupazionali, ma che oggi sono esempio, anche visivo, di una fallimentare stagione di momentanee e prezzolate scelte politico-economiche.
In ogni zona del nostro Paese, fare impresa significa investire in progetti di lunga durata e non di momentaneo vantaggio; significa vivere in, e contribuire a creare, un contesto in cui poter esprimere al meglio le proprie capacità, concentrandosi sulla produzione, sui servizi, sullo sviluppo delle risorse umane e sullo sviluppo dell’ambiente circostante.
In ogni zona del nostro Paese, ma soprattutto al Sud, fare impresa significa disporre di un sistema creditizio con funzioni di para-partenariato (con prestiti partecipativi e finanziamenti a tasso agevolato) e di una regolamentazione fiscale non di favore, ma equa e non vessatoria.
In ogni zona del nostro Paese, fare impresa significa disporre di una regolamentazione chiara, facilmente comprensibile e, come tale, facilmente applicabile.
In ogni zona del nostro Paese, fare impresa significa favorire il partenariato pubblico-privato, in una logica virtuosa, in cui il pubblico, in particolare, metta da parte la diffusa tendenza a non favorire le iniziative private, rifugiandosi in tediosi atteggiamenti che finiscono per costituire un vero ostacolo alla iniziativa privata che pure, come ricorda la nostra Costituzione (art. 41), è libera purché non si svolga “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
In ogni zona del nostro Paese, ma soprattutto al Sud, fare impresa significa, prima ancora che investire, creare un ambiente favorevole alla libera iniziativa privata: e questo è un compito che, istituzionalmente, spetta agli organi della rappresentanza politica.
In ogni zona del nostro Paese, fare impresa significa poter contare su uno Stato che operi in modo selettivo, perseguendo il malaffare e tutelando le imprese di valore e performanti, smettendola di concentrarsi su imprese decotte, a prescindere dalla loro dimensione, e smettendola anche di operare inattuali interventi a pioggia.
Missione fallita
A questo interrogativo deve essere data una risposta.
Le istituzioni continuano a fallire perché non sono in grado di creare le basi - ancorché minime - per il progresso (e non solo uno sviluppo) strutturale - e pertanto duraturo - della parte più in difficoltà del Paese; non hanno investito in infrastrutture (si pensi alla assenza di alta velocità in gran parte della costa adriatica e nell’intera costa jonica), non agevolano la creazione di una rete commerciale strategica,destinata a connettere il Sud con il mondo, pur in presenza di contesti economici complessi e in continua evoluzione (basterebbe ricordare l’assenza da Lamezia Terme a Bari, per circa 400 km, di un aeroporto), non propongono iniziative socio-economiche trasformative, nonostante conviviamo con una globalizzazione spesso troppo aggressiva, con una rapida innovazione tecnologica e con una sempre più crescente interdipendenza economica e culturale tra i Paesi.
La cultura è un deciso fattore di sviluppo, crea opportunità, innovazione tecnologica, specializzazione delle risorse umane; al contrario, è l'ignoranza che mina, alle radici, il progresso di un popolo, proiettando sullo stesso le tenebre del non sapere.
Il Sud resterà sempre la “questione” se lo Stato non dimostrerà di saper affrontare, in modo risolutivo, i problemi di fondo, senza ricorrere tuttavia a provvedimenti eccezionali o continuamente emergenziali, ma programmando con serietà, e monitorandone l’attuazione con rigore, le scelte fondamentali che potranno servire, nel tempo, da volano per una rinascita meridionale. Per la quale ci vogliono uomini e donne con competenze e desiderio di operare anche per il bene comune.
[Commeto]
Ca Carlo F.
Venerdì 5 marzo 2021 alle 13:03
mi scusi ma nel pezzo sembra quasi che voglia far passare il messaggio che non ci siano stati programmazione sovvenzioni aiuti sgravi per il mezzogiorno in oltre mezzo secolo. Come d'altronde pure la storia insegna, il sud Italia ha bruciato quantità inestimabili di risorse pubbliche (quindi di tutti noi), per non aver saputo scegliere i propri dirigenti (grandi o piccoli che siano), per aver tollerato se non abbracciato la malavita, anziché combatterla sulla sua terra, oltre che per questa continua pretesa del sostegno dall'alto.