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Gaetano Salvemini e la questione meridionale
Considerare, oggi, la questione meridionale un tema ricorrente è un fatto che, di certo, non avrebbe riscosso, in colui che con maggiore intensità quella questione la sollevò, alcuna forma di compiacimento. Probabilmente ci si sarebbe dovuti accontentare di un sorriso, di un sorriso amaro però, di quei sorrisi che solo un pazzo malinconico avrebbe potuto elargire.
È chiaro che le labbra deluse a cui si sta facendo riferimento sono quelle di Gaetano Salvemini, e questo perché il meridionalismo è stato presente in ogni sua pagina, in ogni suo giudizio, in ogni suo pensiero; attorno ad esso ruotavano tutte le sue polemiche e le sue critiche.
Il pensiero che Gaetano Salvemini ha elaborato fra gli ultimi decenni dell’Ottocento e gli inizi del Novecento rappresenta, di certo, uno dei contributi più lucidi e lungimiranti che la classe politica ed intellettuale di quegli anni sia riuscita a produrre. In un’epoca in cui l’Italia viveva una profondissima crisi politica, sociale ed economica, Salvemini ha anticipato molti dei suoi contemporanei nell’analisi e nella proposta di risoluzione dei più gravi problemi che travagliavano l’Italia.
Le numerose battaglie che Salvemini ha combattuto nei primi anni del Novecento, rappresentano un importantissimo patrimonio per il mondo delle idee politiche. Salvemini è stato un grande studioso e un grande maestro di vita e di impegno etico-politico. Il ruolo da lui ricoperto è oramai da molti riconosciuto anche se oggi, come del resto allora, il suo pensiero non è ancora sufficientemente conosciuto.
E’ questo, quindi, il motivo per cui ogni sua azione ed ogni suo scritto furono volti alla risoluzione di un unico problema: quello della disparità fra il Nord e il Sud d’Italia. E’ importante tenere presente che, a parere di molti studiosi, le condizioni di squilibrio fra il Nord e il Sud erano dovute ad una serie di fattori non superabili che ponevano il Sud in una posizione di insanabile inferiorità rispetto al Nord. Infatti, come scrive Lelio Basso, “le spiegazioni positivistiche, scientifiche, della maggioranza degli scrittori di cose meridionali, attribuivano la causa dell’inferiorità sociale del Mezzogiorno a fatti naturali come il clima e la razza, contro cui sarebbe stato vano lottare”. E’ ovvio che considerazioni di questo tipo furono fatte in funzione di un disinteresse sprezzante per le condizioni del Meridione. 
“I paesi dell’Italia meridionale si possono dividere in due grandi classi: paesi di grandi e paesi di piccola proprietà”. Il Meridione, a parere di Salvemini, soffriva di tre malattie: lo Stato accentratore, l’oppressione economica del Nord ed una struttura sociale semifeudale. Le prime due, generate da politiche protezionistiche ed autoritarie, permettevano al Nord di opprimere il mezzogiorno. Cosa strana è che, quando si unì l’Italia, il Napoletano e la Sicilia non avevano debiti; l’unità, quindi, ebbe l’effetto di obbligare i meridionali a pagare gli interessi dei debiti contratti dai settentrionali. Infatti la ripartizione del carico fiscale era estremamente iniqua e “faceva sì che l’Italia settentrionale, la quale possedeva il 48% della ricchezza del paese, pagava meno del 40% del carico tributario, mentre l’Italia meridionale, con il 27% della ricchezza pagava il 32%”. 

Per meglio spiegare la terza “malattia”, la struttura sociale semifeudale, Salvemini ricorda che la società meridionale era distinta in tre classi sociali: la grande proprietà, la piccola borghesia e il proletariato agricolo.
Ora, il potere incontrastato dei latifondisti, impediva la formazione di una borghesia moderna come quella presente nel Nord, e che sola avrebbe permesso lo sviluppo e la democratizzazione del meridione. Salvemini, inoltre, faceva notare come il potere delle prime due classi fosse forte al punto da influenzare e manipolare la vita politica e sociale del meridione. Questa analisi, ovviamente, è salveminiana, cioè dura e spietata; ma utile poiché lascia intendere al lettore quanto egli realmente conoscesse la situazione meridionale.

Pur avendo però una laurea o un diploma i piccoli borghesi del Sud non erano affatto persone colte; se lo fossero state si sarebbero forse condotti in modo differente. Non avrebbero certamente sfruttato una situazione così precaria proprio a discapito dei loro concittadini più umili. Non si sarebbero certo accontentati di sfruttare una società così “disgraziata”, da cui avrebbero potuto trarre molti vantaggi solo se avessero cooperato per elevarne gli enormi potenziali di sviluppo. “Andate – scrive Salvemini – un pomeriggio d’estate in uno di quei circoli di civili, in cui si raccoglie il fior fiore della poltroneria paesana; ascoltate per qualche ora conversare quella gente corpulenta, dagli occhi spenti, dalla voce fessa, mezzo sbracata, grossolana e volgare nelle parole e negli atti, badate alle scempiaggini, ai non sensi, alle irrealtà di cui sono infarciti i discorsi. E abbiate il coraggio di dire che i meridionali sono intelligenti!".
Salvemini ha speso, nei confronti della piccola borghesia, parole sempre più aspre, evidenziandone l’animo cupido ed il costume ozioso, centrando la sua accusa sul comportamento parassitario ed opportunista. “L’Italia meridionale di oggi non è più quella di quindici anni fa. I contadini meridionali non sono più i miserabili di una volta. Ogni giorno più miserabile, invece diventa la piccola borghesia parassita ed oziosa che scrive sui giornali e piange sulle miserie proprie, credendole in buona fede miserie di tutta l’Italia meridionale”. Parole dure, vibranti di disprezzo per l’egoismo che aveva distrutto le terre del meridione, a lui tanto care.
“Ignoranti peggio dei macigni. I più non hanno mai imparato o hanno disimparato a lo scrivere”. Poche parole, che però la dicono lunga sulle condizioni dei contadini. Il proletariato agricolo, non potendo vantare alcun diritto politico per povertà e mancanza di istruzione, riesciva sconfitto ed impossibilitato a fare qualunque cosa per risollevare la sua posizione.
“Dove gli operai industriali mancano ed i contadini sono impermeabili alla propaganda nostra, ivi l’idea socialista o non penetra o, se penetra si corrompe”. È facile dedurre dalle parole di Salvemini che le pratiche dei favoritismi, della corruzione e dello sfruttamento, risultavano all’ordine del giorno nella vita pubblica meridionale, così precisamente, così realisticamente ma, allo stesso tempo, così dolorosamente dipinta da Salvemini. Ed infatti, come egli scrive, “la vita pubblica si riduce ad una serie continua di strisciamenti vicendevoli, di mercimoni, di servilismi di tutti verso tutti. L’origine dei deputati meridionali sta tutta in questa condizione di cose, la quale è intollerabile per tutti”.
Salvemini sofferma, poi, la sua analisi su di un altro fattore che impediva il riscatto dei proletari meridionali: l’atteggiamento governativo. Nel meridione, a differenza di ciò che accadeva al Nord, ogni manifestazione e ogni forma di protesta contraria alle disposizioni governative veniva inevitabilmente repressa. “In questi anni abbiam visto la mafia, la camorra, la malavita, tutta la feccia sociale dei nostri paesi, palesemente protetta dal Governo centrale, […] abbiam visto massacrare senza pietà i nostri proletari ad ogni minimo accenno di disordine, mentre al Nord la forza pubblica aveva per gli operai mille riguardi e mille tolleranze, come ben si addice a persone che appartengono a una razza più gentile”. Al Nord, infatti, il governo tollerava le manifestazioni, concedendo inevitabilmente la possibilità di numerose azioni volte alla conquista dei diritti fondamentali. Ma, come denuncia Salvemini, quando qualcuno lamentava le infamie commesse, e le disparità con la “razza gentile”, “essi o non rispondevano o ci facevano capire che non credevano alle nostre parole, o facevano una scrollata di spalle e dicevano: da noi il governo non fa così; la colpa non è di Giolitti; è vostra”. Queste parole non possono che confermare la scarsa considerazione umana che si aveva nei confronti del mezzogiorno. È amaro pensare che, proprio alla parte più debole di un unico popolo fossero riservati tali trattamenti. È difficile accettare come “per molti settentrionali, anche fra coloro che più spesso fanno sfoggio di retorica unitaria, le popolazioni meridionali sono cagnaccia da macello e da bordello”. Ma questo non è un luogo comune; il disprezzo che le popolazioni settentrionali provavano nei confronti dei loro connazionali, emerge anche in altre pagine di Salvemini. Toccante, ad esempio, il racconto in cui egli, memore di un viaggio in treno, riporta il giudizio di un piemontese: “postacci – si lasciava andare il piemontese al passaggio per un villaggio del Sud – creda pure che qui non ci si vive. Qui aria cattiva, acqua pessima, dialetto incomprensibile che par turco, popolazione superstiziosa barbara”.
Il meridione, quindi, viveva in condizioni difficili che andavano affrontate in modo energico. Si capisce come Salvemini, molfettese fino alle midolla delle ossa, si adoperò cercando di risollevarne le condizioni, e di trovare delle soluzioni concrete che ne riscattassero lo stato d’arretratezza.
A conferma di ciò è bene ricordare come lo stesso Salvemini fu, in relazione ad una sua scelta, accusato di antimeridionalismo.
Nel 1896 il partito decise la fondazione del quotidiano l’Avanti!, e Salvemini fu fra i pochissimi che si oppose alla scelta di Roma, proponendo invece Milano, come sede del giornale. Ovviamente una posizione di questo tipo provocò scandalo ed accuse fra i compagni di partito. Questi credevano che, la sede del giornale a Roma, avrebbe certamente sollevato il livello culturale ed economico di una parte del meridione. Ad aggravare ancora di più le cose ci fu il fatto che persino i socialisti settentrionali erano favorevoli a questa opzione; ovviamente non certo per improvvisa magnanimità nei confronti del meridione, ma per l’eco maggiore che un giornale romano avrebbe prodotto nel mondo parlamentare. La risposta alla differente proposta fu avversa tanto che “la Lotta di classe, di Milano, allora organo ufficiale ebdomadario del Partito rifiutò di pubblicare degli scritti di Salvemini in difesa della sua tesi e lo stesso fece il Grido del popolo di Torino: solo la Giustizia prampoliniana ospitò due note di Salvemini”. Ed in queste due note Salvemini, spiegava che il suo atteggiamento – checché se ne dicesse, – non si distaccava dalla politica socialista in cui egli aveva sempre creduto. “Ciò posto – scrive infatti Salvemini – un giornale socialista oggi dove è meglio che sorga? Scartiamo subito Napoli: in città il giornale si vende poco; meno nelle province meridionali in tanta parte apatiche, corrotte, indifferenti, ignoranti, in cui il socialismo non esiste; dove tutta una città comprerà al massimo ogni giorno trenta copie di tutti i giornali messi insieme”. Le accuse di incoscienza che gli furono mosse, avevano, almeno apparentemente, una loro giustizia dato che si rischiava di oscurare l’informazione nel meridione. Come scrive Salvemini, però, “l’Italia da Firenze in giù è per il socialismo un muro solidissimo e per ora incrollabile; […] raccogliamo le nostre forze sul punto in cui il nostro lavoro è più utile. […] Il gi
La posizione che Salvemini assunse nei confronti della questione meridionale, influenzò in modo non indifferente anche il suo rapporto con il partito socialista. C’è da dire, prima di ogni altra cosa, che la posizione da lui assunta all’interno del partito è stata assolutamente originale.
Come dicevamo all’inizio, la questione meridionale influenzò, direttamente o indirettamente, ogni pagina ed ogni pensiero di Gaetano Salvemini. Viene da sé che queste posizioni finirono per influenzare anche i rapporti e le posizioni di politica che lo stesso tenne per molti anni.
Salvemini, è noto, era un socialista riformista, ma il suo riformismo fu sempre innovativo perché ebbe come stella polare l’abito della concretezza. Concretezza equivaleva per lui a onestà. Odiava, quindi, l’ideologismo “tutto fini e niente mezzi” e diffidava delle grandi filosofie della storia che pretendono di rispondere, con un unico schema, a tutti i grandi problemi della vita, compresi … i problemi insolubili.
Così, anche se quello della “Critica sociale” fu il gruppo politicamente a lui più vicino, ciò non influì sulle numerose critiche, che anzi si svilupparono in totale coerenza con le sue idee e con il suo carattere.
Per meglio comprendere la critica salveminiana è però necessario intendere le differenze tra conquiste graduali e conquiste parziali. E’ cosa differente, ammonisce infatti Salvemini, procedere secondo conquiste graduali e secondo conquiste parziali. Il gruppo di Turati, pur se nelle sue aspettative maturava l’idea di conquiste graduali, finiva per procedere per conquiste parziali. “Far succedere – scrive Salvemini – il suffragio universale, cioè il diritto di voto per tutti i lavoratori, alla conquista del diritto di organizzazione per tutti i lavoratori; […] questo è il processo delle conquiste graduali, e nel tempo stesso generali. Far succedere, invece, una legge sul lavoro delle industrie, a una legge sugli infortuni industriali; […] questo è lo sviamento verso le conquiste non solamente graduali, ma anche parziali, che si succedono sempre a profitto della medesima minoranza”.
Ovviamente la differenza fra “conquiste graduali” e “conquiste parziali” sta nel fatto che, di queste ultime, può beneficiare soltanto una parte del proletariato. Procedere secondo riforme graduali vuol dire, invece, “coordinare tra loro i vari problemi in ordine d’urgenza, secondo un organico sistema d’idee, non frammentariamente”. Concorde con Salvemini è il parere di Bedeschi, che individua il limite fondamentale della politica riformista di allora proprio nell’eccessivo interessamento per gli operai settentrionali e il conseguente disinteresse per le vicende del mezzogiorno. “La politica del leader riformista – scrive Bedeschi – esprimeva, infatti, le aspirazioni e gli interessi del proletariato industriale e agricolo dell’Italia settentrionale; non esprimeva la disposizione, il ribellismo, il pessimismo radicale dei socialisti del Mezzogiorno, escluso pressoché interamente, per la sua arretratezza economica dai benefici del nuovo corso liberale”.
A parere di Salvemini i riformisti, abbandonato il riformismo politico, dedicavano la loro azione esclusivamente al riformismo sociale. Posto che, come scrive Salvemini, “la conquista della libertà politica è la base di qualunque altra riforma”, era giusto che il Nord, dopo averla conquistata con dure lotte contro uno stato oppressore, si dedicasse alle riforme sociali. Come riconosce anche Salvmeini, fu certamente giusto concentrare, all’inizio del novecento, tutti gli sforzi riformisti in un Nord pronto ad accoglierli, “io, socialista meridionale, sono sempre stato in dissidio con tutti i meridionali, e ho sempre affermato che essi avevano torto a combattere l’indirizzo allora prevalente nel partito”.
“Io – scrive Salvemini – affermo che, se nei dieci anni passati, subito dopo la conquista della libertà di organizzazione, era giusto e necessario che le forze politiche del partito si concentrassero tutte nel promuovere l’organizzazione economica di quelle zone della classe lavoratrice che erano meglio disposte ad accogliere questa opera di fecondazione, perché quando si comincia bisogna prendere il meglio della classe per costituire con esso l’avanguardia – ora che questa avanguardia si è costituita, e può difendere da sé, per mezzo delle sue organizzazioni, i propri interessi immediati e diretti sul terreno della lotta di classe, il partito non deve più adagiarsi a servizio di costoro che hanno già la forza nelle mani per fare da sé; ma deve passare a una zona ulteriore, più arretrata, della classe lavoratrice, per trascinare elementi nuovi nell’agone politico e portare fratelli nuovi in aumento di quelli che hanno fatto la prime conquiste”.
Come scrive Turati: “se vi è una speranza di vedere la politica generale mutare di indirizzo in Italia e modernizzarsi, ciò sarà soprattutto per effetto della pressione misurata, ma assidua, che il proletariato industriale farà sul capitalismo industriale della penisola, che è già una poderosa forza politica, sforzandolo, con le proprie crescenti esigenze, a intensificare la produzione, a sgravare i consumi, a recidere nelle spese superflue dei comuni e dello stato. Quegli intenti di riforma finanziaria, politica e morale che il proletariato industriale non saprebbe – perché non lo toccano direttamente – direttamente imporre o conseguire, esso l’imporrà e conseguirà costringendo a volerli, nel proprio immediato interesse, la borghesia. E avrà fatto un viaggio e due servizi: conquistando per sé avrà conquistato per tutti”. Se questo è il pensiero di Turati, diciamo subito che non è possibile concordare con la sua impostazione perché la conquista di un vantaggio da parte di una classe sociale non è detto che necessariamente si estenda alle altre. Infatti, come scrive Salvemini: “le riforme, se interessano direttamente la borghesia industriale, non per questo toccano indirettamente, come scrive Turati, il proletariato”. Inoltre, come aggiunge Salvemini, si dovrebbe conoscere meglio la borghesia di cui parla Turati. E infatti “il partito socialista, che dovrebbe muovere il proletariato dietro un gruppo di idee, è formato in buona parte da piccoli borghesi, per i quali le riforme sociali sono astrazioni che non li toccano […]”. Inoltre proseguiva Salvemini, “mi permetta Turati di capovolgere le sue parole, col riformismo politico il proletariato più evoluto avrà fatto un viaggio e due servizi: conquistando per tutti avrà conquistato per sé”.
Un altro aspetto proposto dai riformisti turatiani riguardava la prospettiva secondo cui i miglioramenti ottenuti dalle singole avanguardie operaie organizzate, producevano benefici che si estendevano a tutto il proletariato; quindi “compiono funzioni di utilità collettiva anche quando pensano a se stesse”. Ma, anche in questo caso, l’azione riformista non includeva il proletariato meridionale.
Una volta ottenuto un nuovo diritto, infatti, i proletari del Nord non ebbero nessun interesse ad aiutare quelli del Sud. Come spiega Salvemini: “il guaio era che tutta l’esperienza del precedente decennio stava lì a dimostrare che le organizzazioni privilegiate, dopo aver conquistato un nuovo diritto per sé sole, non esplicavano mai nessuna azione nel conquistare per gli altri ciò che esse avevano già ottenuto, ma passavano immediatamente a domandare un diritto nuovo: il quale cominciava quasi sempre col presentarsi come un diritto per tutti; ma al momento della realizzazione, si rattrappiva sempre in un privilegio per alcuni, sempre gli stessi”.
“Quando fu conquistata – scrive Salvemini – per gli operai delle industrie la legge dei provibiri tutti applaudimmo e dicemmo: è bene che l’avanguardia faccia questa conquista. Però l’avanguardia non pensò che la legge dei provibiri occorreva estenderla ai lavoratori della terra. O meglio ci pensò ma non fece nulla. E preferì chiedere nuove leggi sociali, ma solo per sé. Venne così la legge sugli infortuni industriali. Almeno ora occorreva lottare affinché la conquista dell’avanguardia fosse estesa a tutti gli altri. Neanche per idea: gli altri restarono sempre a bocca asciutta, e l’avanguardia chiede qualcosa di nuovo per sé”.
“Il Partito socialista – scrive Salvemini – che deve essere il partito dell’intera classe lavoratrice, deve correggere le tendenze localiste, egoistiche, corporativistiche, dei gruppi d’avanguardia. Deve avere anche il coraggio qualche volta di dire ai più fortunati: alto là! Niente di nuovo per voi fino a che gli altri che sono in coda, non abbiano ottenuti anch’essi qualche cosa”. Ma il partito questo coraggio non lo aveva e una minoranza avvantaggiata era l’unica beneficiaria delle riforme e non, come sarebbe dovuto essere, la base d’appoggio da cui partire per promuovere il miglioramento delle condizioni del proletariato. “Le falangi proletarie della grande industria e dell’agricoltura industriale – scrive Salvemini – debbono essere i fattori della trasformazione sociale, non i beneficiari esclusivi di quei vantaggi che l’ordinamento sociale presente può sempre concedere ad una minoranza proletaria purché si disinteressi del destino generale”. In realtà, infatti, veniva a mancare del tutto la prospettata collaborazione delle organizzazioni proletarie con alcune frazioni della borghesia, a vantaggio dell’intero proletariato. Con questo modo di fare politica, quindi, lamentava Salvemini, si producevano soltanto dei compromessi oligarchici fra alcune organizzazioni ed i gruppi di governo. Quello che Salvemini definì il “pervertimento oligarchico dei riformisti”. “Voi dovete rendervi conto – chiarisce Salvemini – del fatto che le riforme, se si accumulano tutte in una direzione e si concentrano tutte sui gruppi organizzati della classe lavoratrice, mentre la gran massa resta esclusa, produrranno questo effetto: che la organizzazione operaia finirà per costituirsi in oligarchia privilegiata, nemica della classe intera, pronta a tirare la focaccia tutta per sé, lasciando debole e abbandonato il resto della classe”. Ciò vuol dire che la politica riformista andava guardata con sospetto perché riusciva dannosa per tutte le zone dell’Italia più arretrate. Ed infatti, su questo punto la polemica di Salvemini incalza, sollevandosi nei toni e diventando sempre più aspra. Le accuse, oltretutto ben fondate, non possono non essere tenute in considerazione. Non è possibile sottovalutare parole come: “i risultati della politica socialista si possono classificare in tre categorie fondamentali: per gli operai delle industrie: leggi sociali che non si estendono mai ai lavoratori della terra; per le organizzazioni agricole della zona padana: concessioni continue dei lavori pubblici, anche non urgenti, anche non necessari; per gli impiegati pubblici: aumenti di stipendi ed aumento continuo della burocrazia centrale”. Dunque, quello dei riformisti, non può essere considerato socialismo poiché, come scrive Salvemini, loro si atteggiavano “a difensori degl’interessi industriali… futuri del Mezzodì per chiedere nuovi favori agli interessi industriali… presenti al Nord”. La politica esclusivista di cui essi si facevano promotori e portavoce, escludeva, giocoforza, la vera anima del socialismo prospettato da Salvemini. “Il Partito socialista – scrive Salvemini – ha perduto di vista da alcuni anni questo suo dovere fondamentale. Allorché si costituisce un gruppo di forze proletarie, e questo gruppo di avanguardia afferma di essere socialista impadronendosi così di quella meravigliosa forza di espansione morale che è racchiusa nella formula dell’ideale socialista, e suscita così intorno a sé grandi simpatie morali, e riesce ad imporsi alla borghesia con una forza di pressione che è certo superiore alla reale forza delle sue organizzazioni, quest’avanguardia non ha il diritto di conquistare per sé tutti i vantaggi della situazione: ha il dovere di adoperare queste forze per tutti coloro che sono diseredati”.
A parere di Salvemini, quindi, quest’ala socialista, provava un profondo ed inspiegabile disinteresse per una parte del paese. Promuoveva, infatti, una politica estremamente attenta al proletariato del Nord, senza tenere in nessuna considerazione i bisogni e le differenti necessità del Sud. Una politica classista, dunque, contraria ad ogni principio socialista, che non teneva in nessuna considerazione la grande massa della proletariato, il quale restava inerme ed impossibilitato a reagire ad ogni forma di sopruso e di violenza.
Pasquale Padula
Collaboratore della cattedra di Dottrina dello Stato Università LUISS Guido Carli e di Storia delle dottrine politiche Università del Sannio
G. Arfè, Introduzione a Movimento socialista e questione meridionale, in Opere IV, vol. II, Feltrinelli, Milano 196., p. XIII
L. Basso, Gaetano Salvemini socialista e meridionalista, Lacaita, 1959, p. 48
G. Salvemini, Risposta ad un’inchiesta, in Scritti sulla questione meridionale (1896-1955 ), Torino, Einaudi 1955 p. 60
G. Salvemini, Un comune dell’Italia meridionale: Molfetta, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 10
G. Bedeschi, La fabbrica delle ideologie, Laterza, Roma- Bari 2002. p. 30
G. Salvemini, La questione meridionale e i partiti politici, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 284
M. Rossi-Doria, Gaetano Salvemini, in Gli uomini e la storia, Laterza, Roma- Bari, 1990 pp. 37-38
G. Bedeschi, La fabbrica delle ideologie, Laterza, Roma- Bari 2002. p. 31
M. Rossi-Doria, Gaetano Salvemini, in Gli uomini e la storia, op. cit. p. 38
L. Basso, Gaetano Salvemini socialista e meridionalista, Lacaita,1959. p. 60
G. Salvemini, La piccola borghesia intellettuale nel Mezzogiorno d’Italia, in Scritti sulla questione meridionale (1896-1955 ), Torino, Einaudi, 1955. p. 415
G. Salvemini, Suffragio universale, questione meridionale e riformismo, in Movimento socialiste e questione meridionale, op. cit. pp. 331-352
M Rossi-Doria, Gaetano Salvemini, in Gli uomini e la storia, op. cit. p. 38
G. Salvemini, Nord e Sud nel partito socialista italiano, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 242, 243
G. Salvemini, Riepilogo, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p.683
M. Rossi-Doria, Gaetano Salvemini in Gli uomini e la storia, op. cit. p. 38
G. Salvemini, Un comune dell’Italia meridionale: Molfetta, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 11
M. Rossi-Doria, Gaetano Salvemini, in Gli uomini e la storia, op. cit. p. 40
G. Salvemini, Il partito socialista di Imola, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 32
M. Rossi-Doria, Gaetano Salvemini, in Gli uomini e la storia, op. cit. p. 39
G. Salvemini, I socialisti meridionali, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 316
G. Salvemini, Un ricordo autobiografico, in Socialismo riformismo democrazia, Laterza, Roma- Bari 1990 p. 26
L. Basso, Gaetano Salvemini socialista e meridionalista, op. cit. p. 44
G. Salvemini, Dove pubblicalo?, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 7
Al congresso del Partito socialista che si tenne a Firenze l’11-13 luglio 1896, durante le discussioni relative alle varie proposte per la sede del giornale, Salvemini fu accusato dai socialisti meridionali di antimeridionalismo, ed in particolare Domanico, nel suo discorso, lo trattò da incosciente per le posizioni da lui assunte in difesa di Milano, senza che Salvemini riuscisse a replicare. Cfr. L. Basso, Gaetano Salvemini socialista e meridionalista, op. cit. p. 45-46
G. Salvemini, Dove pubblicalo?, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 8
L. Basso, Gaetano Salvemini socialista e meridionalista, op. cit. p. 46
A. Galante Garrone, Introduzione a Scritti vari, op. cit. p. 22
G. Bedeschi, La fabbrica delle ideologie, op. cit. p. 18
G. Arfè, Introduzione a Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. XIV
G. Salvemini, Sempre dritto!, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 98
G. Salvemini, Riforme parziali e riforme generali, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 447
G. Salvemini, Riforme parziali e riforme generali, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 446
G. Salvemini, Nord e Sud nel partito socialista italiano, in Movimento Socialista e questione meridionale, op. cit. p. 243
G. Salvemini, Riforme sociali e riforme politiche, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 302
G. Salvemini, I socialisti meridionali, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 319
F. Turati, cit. in G. Salvemini, I socialisti meridionali, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 318
G. Salvemini, I socialisti meridionali, in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 318
G. Giarrizzo, Gaetano Salvemini: la politica, in AA.VV. Gaetano Salvemini tra politica e storia, Laterza, Roma-Bari 1986 p.18
G. Salvemini, I socialisti meridionali in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 319
A. Labriola, cit. in G. Bedeschi, La fabbrica delle ideologie, op. cit. p. 19
G. Salvemini, I socialisti meridionali in Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 319
G. Salvemini, Il partito socialista e la situazione politica del primo dopoguerra, in Socialismo riformismo e democrazia, op. cit. p. 140
G. Salvemini, La deviazione oligarchica del movimento socialista, in B. Caizzi, Nuova antologia della questione meridionale, Milano, ed. di Comunità, 1975, p. 374
G. Salvemini, Riforme parziali e riforme generali, Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 447-448
G. Salvemini, Il partito socialista e la situazione politica del primo dopoguerra, in Socialismo riformismo e democrazia, op. cit. p. 142
G. Cingari, Il Mezzogiorno, in AA.VV. Gaetano Salvemini tra politica e storia, op. cit. p. 116
G. Salvemini, La deviazione oligarchica del movimento socialista, in B. Caizzi, Nuova antologia della questione meridionale, op. cit. p. 369
G. Salvemini, La questione meridionale e i partiti politici, Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 291
G. Salvemini, Riforme parziali e riforme generali, Movimento socialista e questione meridionale, op. cit. p. 446
Gaetano Salvemini e la questione meridionale
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