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Debiti senza freni
di Bruno Visentini (1915-1995) - Rep. 27.01.94
Mi pare giustificata, a

Adolf Hitler
Adolf Hitler
nche in relazione ad alcune recenti discussioni, qualche considerazione sulla situazione della nostra finanza pubblica e su alcuni aspetti della nostra economia.
Il livello dei prezzi è aumentato nel 1993 del quattro per cento: il più contenuto da molti anni a questa parte. Vi è chi dà molta importanza a questo elemento e chi ne dà meno. In effetti, la stabilità dei prezzi è indice di buona salute nelle fasi di sviluppo economico, o per lo meno di stabilità economica. Ma è diverso quando deriva da depressione economica. Il contenimento della nostra inflazione deriva appunto, per una parte certamente non irrilevante, dalla recessione della nostra economia e di quelle degli altri paesi europei. La recessione ha evitato anche che la svalutazione della lira in confronto alle altre monete si ripercuotesse interamente sui prezzi dei prodotti importati, poiché gli esportatori esteri hanno preferito limitare gli adeguamenti dei prezzi in lire nel mercato italiano pur di non perdere volumi di vendita e quote di mercato.
Non riprenderò la disputa tradizionale (e un po' banale)se sia preferibile lo sviluppo con (accettabile) inflazione, o la stagnazione con stabilità dei prezzi e con moneta forte. E’ chiaro che il risultato da perseguire è lo sviluppo nella stabilità: anche perché vi è chi ritiene che lo sviluppo non sia “sano” se è “drogato” dall'inflazione. Ma devo soggiungere che considero che i mali peggiori per il nostro paese siano il ristagno e la recessione, e con essi la disoccupazione e gli oramai evidenti aspetti di deindustrializzazione.
Hanno avuto andamento positivo le esportazioni, che hanno sostenuto la produzione. Il risultato favorevole deriva dalla svalutazione della lira in confronto alle altre monete. Essa ha eliminato la penalizzazione che derivava alla nostra economia da rapporti di cambio che da tempo erano diventati del tutto irreali. Nel differente andamento dell'inflazione da noi e negli altri paesi e in presenza delle nostre minori efficienze, era privo di senso - come da anni andavo affermando - svolgere una politica tributaria assai pesante, una condotta monetaria assai rigorosa e sostenere nello stesso tempo l’immutabilità dei cambi. Ma l’immutabilità dei cambi veniva affermata da illustri commentatori, quali Luigi Spaventa, e veniva difesa dalla Banca d 'Italia del Governatore Ciampi. Finché nel settembre 1992 la realtà si impose: ed oggi tutti vantano la svalutazione della lira come avvenimento benefico.
Non avrei ragione di ricordare queste vicende, se le posizioni prese allora da persone autorevoli e altamente stimabili e che oggi hanno funzioni politiche determinanti, non fossero l'espressione di indirizzi e convinzioni che attribuiscono a talune grandezze (cambi e moneta) valori preminenti e assoluti anziché considerarli elementi e strumenti (anche se delicati) di possibili politiche intese allo sviluppo e all'occupazione.
Gustav Krupp, Hermann Roechling e Friederich Flick
Gustav Krupp, Hermann Roechling e Friederich Flick
Nel 1993 il fabbisogno dello Stato è risultato di 153 mila miliardi, e quindi sostanzialmente al livello di quello degli ultimi anni precedenti (159 mila nel 1992). Essendo stato il prodotto interno lordo in lieve flessione, anche la percentuale su questo rimane sostanzialmente invariata.
Ma anche per il 1993 vale il rilievo - che ho fatto e ripetuto negli anni precedenti, che il fabbisogno effettivo è stato in realtà superiore, perché vengono esclusi da esso alcuni “regolamenti” di debiti pregressi e non pregressi) che avvengono direttamente con emissione di titoli del debito pubblico (per esempio, il pagamento di crediti d'imposta a favore dell'Iri). Inoltre la previsione di un fabbisogno di 144 mila miliardi per il 1994, fatta in sede di legge finanziaria, va già modificata, sulla base di elementi sopravvenuti, a 156 mila miliardi, mentre l'indebitamento (ufficiale) dello Stato si avvia al 120 per cento del prodotto interno lordo. Né servono consolatorie “correzioni” per l’inflazione, soprattutto se viziate da gravi errori, come di recente è avvenuto: “correzioni” che comunque valgono, a mio avviso, per l'indebitamento a medio-lungo termine e non per quello a breve per spese correnti.
Con le misure prese negli ultimi due anni, soprattutto dal Governo Amato, si è evitato il tracollo. Ma disavanzi, fabbisogni, incrementi dell'indebitamento, rimangono ai medesimi livelli patologici. E il problema centrale rimane l´indebitamento dello Stato. Finché non verrà affrontato, nessuna politica di sviluppo potrà essere svolta. Lo vado ripetendo da diversi anni e gli avvenimenti lo confermano.
Al fine di attenuare la recessione, il recente “libro bianco” della Commissione dell'Unione Europea consiglia politiche di spesa (e di indebitamento) per grandi opere strutturali. La Germania - anche in connessione con l'unificazione - segue questa politica. La Francia - pur con un governo conservatore - si sta avviando su questo indirizzo. E´evidente che per noi questo è precluso. Ogni politica è preclusa se non si attua un ragionevole, anche se parziale, risanamento. Senza di questo rimane soltanto la prospettiva di dieci anni e più di politiche restrittive e recessive, di difesa della moneta, di difesa dei cambi, di pesantissima fiscalità nei confronti di tutti tranne che dei portatori (persone fisiche) del debito pubblico, per assicurare la difesa del debito pubblico e per attuare un immenso trasferimento di ricchezza, per interessi e rimborsi, dalle categorie produttrici e lavoratrici ai possessori dei titoli di Stato, come ho esposto più volte anche dalle colonne di questo giornale (21 gennaio 1993).
Adolf Hitler e Alfred Rosenberg
Adolf Hitler e Alfred Rosenberg
Sono grato a Guido Carli di avere ricordato, nel suo libro postumo di memorie, la nostra vecchia amicizia, con espressioni di viva stima nei miei confronti: una reciproca stima ed una solidarietà che sono state costanti nella nostra vita. Devo tuttavia precisare un punto importante.
Carli richiama le nostre conversazioni sul debito pubblico e, continuando nel libro, come nelle nostre discussioni, a ridurre il mio pensiero, afferma che tutte le mie proposte si sarebbero risolte nella “ristrutturazione forzosa del debito pubblico”; mentre rivendica un proprio indirizzo di “rifiuto assoluto di qualsiasi azione detta di finanza straordinaria o di gestione attiva del debito pubblico”.
Da parte mia, in Parlamento e dalle colonne di questo giornale, ho da tempo affermato - pur con le evidenti cautele che la materia impone, proprio la opposta convinzione sulla necessità di misure di finanza straordinaria e di “gestione attiva” del debito pubblico. Ma queste misure non significano una “ristrutturazione forzosa del debito pubblico”: la quale costituirebbe una misura disperata, che va evitata, ma ché finirà con l'imporsi se non si procederà a misure risanatrici entro breve tempo.
Le misure alle quali io penso sono assai articolate e con possibili alternative, anche sulla base di scelte di ordine politico e sociale, dovendosi individuare chi paghi i costi del risanamento. I quali, a mio avviso, dovranno gravare su tutti, compresi (e non esclusi) i portatori del debito pubblico. II risanamento attraverso strumenti ordinari, supposto che sia possibile, comporterebbe, come ho già detto più volte e ripetuto sopra, lunghi anni di politiche restrittive e di effetti recessivi, e verrebbe “pagato” dalle categorie produttive e dai lavoratori dipendenti, come del resto stiamo vedendo.
Questi miei punti di vista e le misure che ritengo necessarie, avevo esposto a Giuliano Amato quando si accingeva a formare il suo governo; e avevo sperato che egli si indirizzasse nel senso che indicavo. Le misure prese dal Governo Amato sono andate, anche coraggiosamente, più in là dei consueti “tamponamenti”. Ma il problema principale è rimasto irrisolto.

Hai mai visto gli ex voto di san Matteo? Conosci Giovanni Gelsomino?