Da www.eticapa.it
Riflessioni sulla crisi in corso
di Antonio Zucaro
Questa crisi è gravissima ed è inedita, perché sconvolge le abitudini, i rapporti, la vita intera delle persone. Lascerà, perciò, oltre ad una serie di pesanti conseguenze materiali, cicatrici incise nel profondo della psiche collettiva. Nel mondo ed in Italia, che ancora una volta si trova sulla prima linea di una crisi globale. Nell’immediato il Governo italiano si è mosso bene, almeno secondo la valutazione dell’OMS e degli altri Governi. Al di là dei ritardi locali e di alcune scelte problematiche è emersa una sintonia di fondo tra la graduale accentuazione delle restrizioni e la crescita della consapevolezza pubblica sulla gravità della situazione, che sta garantendo una condivisione di massa del senso dei provvedimenti presi. Quando sarà finita si aprirà un altro scenario, diverso dal dramma attuale ma anche dalla situazione precedente. Le persone non chiedono che di tornare alla vita di prima. È comprensibile, ma non sarà possibile. Oggi il Governo impiega i poteri eccezionali previsti dall’ordinamento per far fronte all’emergenza sanitaria ed alle relative necessità col sostanziale consenso del Paese. Le misure economiche avviano la distribuzione di risorse consistenti ricavabili dal ricorso all’indebitamento, senza sacrificare nessuno. Ma non basterà, innanzitutto sul piano quantitativo. La pandemia sta mettendo dolorosamente allo scoperto contraddizioni già ben presenti, finora occultate o mistificate dalla cultura dominante e che adesso sarà impossibile ignorare. Di queste i tagli alla spesa sanitaria pubblica costituiscono oggi l’aspetto più evidente, ma certo non l’unico. Occorre aver chiaro che lo shock del coronavirus non è una disgrazia che si è aggiunta ad una crisi economica che tra alti e bassi va avanti da dodici anni. Questa pandemia è essa stessa un evento, una manifestazione violenta della crisi globale che ha investito il mondo all’avvio di questo millennio, come l’attacco alle torri gemelle del 2001, la crisi dei mutui subprime del 2007, le “primavere arabe” e le guerre conseguenti, la Brexit quest’anno. Eventi militari, politici, finanziari, finiti sempre e comunque in un peggioramento della situazione economica. Una crisi globale permanente, che procede per shock successivi. L’ecosistema globale In particolare di questa pandemia va messa a fuoco la collocazione nelle trasformazioni in atto nell’ecosistema globale. I processi “produttivi” che generano il cambiamento climatico non investono solo il clima, ma anche la terra e l’acqua, le specie animali e le specie vegetali. Con effetti più veloci sugli organismi più piccoli, come i virus. Le possibilità di sviluppo di 2 nuovi virus sono moltiplicate dagli allevamenti intensivi di animali da macello, che rappresentano anche immensi serbatoi di virus, e dalle estese deforestazioni che incrementano i contatti tra la natura selvatica e le comunità umane. Quella in atto è l’ultima epidemia di una serie cominciata con l’influenza aviaria, proseguita con la SARS del 2003, l’influenza suina del 2009. Era attesa, è la più grave, ve ne saranno altre. Numerosi sono i testi scientifici e divulgativi disponibili al riguardo. Dunque di virus ne arriveranno altri, come di conflitti doganali, di crisi finanziarie, di guerre locali, di eventi meteorologici straordinari. La singolarità dello shock in corso sta nella gravità del suo impatto a livello globale sulle condizioni di vita delle persone, oltre che sull’economia reale, impatto che rende evidente l’impreparazione dei Governi e l’inadeguatezza delle politiche pubbliche davanti alla crisi. Tale questione si sta ponendo, al momento, in termini emergenziali, ovvero di come parare gli effetti della pandemia in corso, innanzitutto sul piano sanitario e poi su quello economico. Quando il mondo sarà uscito dall’emergenza attuale, c’è da attendersi una ripresa delle tendenze di fondo e delle politiche seguite finora, perché le dinamiche degli interessi dominanti resteranno le stesse. In sostanza, i grandi capitali investiti nelle attività finanziarie e produttive continueranno a seguire le proprie logiche di accrescimento, con l’appoggio degli Stati di riferimento e di alcune Istituzioni internazionali. Aggravando contraddizioni, deteriorando l’ambiente, determinando conflitti, fino alla generazione di altri shock. È evidente la necessità di una svolta, perché i rischi che corre l’umanità stanno diventando evidenti. Queste tendenze e dinamiche di fondo vanno contrastate a livello globale, mobilitando l’accresciuta consapevolezza dell’opinione pubblica mondiale per intervenire sulle cause di fondo della crisi. Ma si tratta di proseguire, modificare o avviare ex novo un insieme di partite di grande complessità, e non è ragionevole attendersi a breve termine risultati tali da migliorare significativamente la situazione in atto. Le risposte del sistema pubblico Perciò intanto occorre concentrarsi a livello nazionale. Per poter far fronte alle conseguenze di questa pandemia, al proseguire della crisi, all’arrivo di nuovi shock è necessario attrezzare una adeguata capacità di risposta del sistema pubblico, facendo tesoro delle lezioni provenienti dall’ esperienza in corso. Non si tratta solo di evitare il ritorno al passato. Occorre cominciare ad affermare con forza e chiarezza una questione centrale, in controtendenza rispetto al pensiero dominante negli ultimi decenni. La questione è il ruolo dello Stato, inteso come sistema delle istituzioni pubbliche. Sistema che dovrebbe partire dall’Unione Europea, avvolta nelle difficoltà di cui si tratterà in seguito, ma che intanto deve poggiare sullo Stato nazionale. Non solo in questa emergenza, ma ogni volta che è necessario. In una situazione di crisi endemica a livello globale, che procede da uno shock all’altro con effetti più o meno severi, sono le strutture dello Stato nazionale a rappresentare le linee di difesa che proteggono il Paese. Rispetto ai flussi globali di merci, persone, dati, denaro, virus, agenti inquinanti, e rispetto agli effetti ed alle reazioni che ne derivano nei processi vitali della società italiana. La lezione dell’emergenza attuale è già chiarissima nel settore della sanità. Va affermato come priorità nazionale un sistema sanitario pubblico, adeguatamente finanziato, programmato nelle sue dinamiche sulla base delle esigenze della collettività, definite dalla politica con l’apporto della ricerca e della scienza. La sanità privata può svolgere un ruolo 3 complementare, aggiuntivo, non prevalente come ora. Perché non è vero che è più efficiente, se si assume come prevalente il punto di vista delle esigenze della collettività, subordinando a questo quello della valorizzazione dei capitali privati impegnati nel settore. Questa lezione, sintetizzabile in termini di più Stato, meno mercato, va applicata in generale alle altre funzioni pubbliche di governo. Cominciando dal governo del territorio, ovvero degli insediamenti abitativi, delle attività produttive, dei servizi pubblici, dei trasporti. Le situazioni esistenti vanno razionalizzate secondo logiche di programmazione, integrate e flessibili. Secondo le esigenze ed i bisogni della collettività, prima di quelle dei capitali privati investiti nell’immobiliare o nelle grandi opere. E la prima esigenza – oggi è più evidente – è la salvaguardia dell’ambiente nelle sue componenti essenziali: aria, acqua, terra, energia. Specie vegetali, specie animali, specie umana. Un Green new deal delle proporzioni necessarie a far fronte agli effetti della crisi e dei singoli shock, intanto sul territorio nazionale. Poi, quando sarà possibile, in Europa e a livello globale. Per realizzare questa svolta occorrono risorse economiche assai consistenti. Più Stato, meno mercato significa soprattutto invertire la tendenza dominante ormai da decenni, per cui la quantità di risorse disponibili nel sistema dell’economia privata ha continuato a crescere mentre si sono progressivamente ridotte le risorse impiegate dal sistema pubblico. Se questo, oggi, deve far fronte in termini più incisivi agli effetti della crisi sulla vita delle persone, è necessario che impieghi una quota maggiore del reddito nazionale. Il che significa diverse cose, ma in primo luogo comporta un ribaltamento della politica fiscale rispetto all’indirizzo della flat tax, riproposta anche oggi, ma già in vigore sulle rendite da capitale e sulle rendite urbane (affitti). Va riapplicato il principio costituzionale della progressività fiscale, facendo pagare il giusto ai grandi patrimoni e ai redditi milionari. E riuscendo a far pagare le tasse alle multinazionali del web. È necessario superare ogni timidezza. Gli strumenti che si stanno prospettando per affrontare la crisi economica non potranno funzionare oltre certi limiti. Il ricorso all’indebitamento, praticato da tutti gli Stati, farà i conti con una disponibilità di capitali non infinita e con il venir meno della fiducia dei mercati di fronte all’aumento della massa dei debiti. La distribuzione di liquidità a pioggia porterà all’aumento dei prezzi, anche per la riduzione nella produzione di beni e servizi. Occorrono modifiche strutturali e stabili, con l’acquisizione alla disponibilità del settore pubblico di una parte consistente delle grandi risorse finora sottratte al dovere fiscale. In parte si può fare a livello nazionale, in parte richiederà accordi internazionali. Finita l’emergenza sanitaria è il primo fronte da aprire, perché senza denari non si cantano messe di nessun genere. L’altro fronte è quello istituzionale. L’altra contraddizione emersa in queste settimane è quella alla base del rapporto tra Stato centrale e Regioni, come regolato dal Titolo V. Sotto il velo dei poteri straordinari attribuiti allo Stato centrale dall’emergenza sono emerse le divaricazioni strutturali nel rapporto con la sanità privata e nella regolazione delle attività sul territorio, facendo danni ancora difficili da calcolare. È evidente, a questo punto, che le ipotesi di autonomia differenziata vanno messe da parte per ridiscutere l’intero impianto dl Titolo V della Costituzione, ovvero il sistema delle “competenze concorrenti”. A partire dalla necessità che nel nostro ordinamento costituzionale venga inserito il principio, presente nella Costituzione tedesca, per cui, quale che sia il riparto di competenze tra Stato e Regioni, in ogni 4 situazione dove emerga la prevalenza dell’interesse nazionale è lo Stato che decide e che opera. Sentendo le Regioni, delegando alcune funzioni, ma con una sola linea di comando. Sullo sfondo, a questo punto, emerge la questione, fondamentale per la democrazia, del rapporto tra Governo e Parlamento, ovvero nei diversi livelli istituzionali tra potere esecutivo ed assemblee elettive, per le scelte di competenza. Anche qui la problematica è complessa ma la linea d’uscita è chiara, essendo anche prevista dall’ordinamento, sia pure in termini imperfetti. Il Parlamento, anche su iniziativa del Governo, deve formulare gli orientamenti generali sui problemi aperti, auspicabilmente prima che si aprano, altrimenti in corso d’opera, decidendo anche – tempi permettendo - le modifiche di legge necessarie. Il Governo decide ed opera sulla base degli orientamenti assunti dal Parlamento, se ve ne sono, provvedendo anche con la decretazione d’urgenza. Il Parlamento infine, partendo dalle Commissioni competenti per materia, valuta l’operato del Governo e ne considera l’impatto sulla vita della comunità, riformula le linee di orientamento generale, modifica se necessario le normative. Soprattutto, con la legge di bilancio concede, nega o modifica gli stanziamenti necessari a finanziare le operazioni. Le norme già ci sono, vanno completate, anche come Regolamenti parlamentari, ed applicate cambiando il modo di lavorare, innanzitutto del Parlamento. In sintesi, meno leggine e più piani. E controllo su come vengono realizzati. In ogni caso, se occorre più Stato, inteso come sistema istituzionale, la questione più importante e complicata da affrontare è quella della statualità europea, ovvero della natura e del funzionamento dell’Unione europea. L’ Unione Europea Di fronte alla crisi globale, agli shock con cui si manifesta, alle reazioni degli altri Stati una politica economica, ambientale, sociale comune a tutta l’Unione sarebbe molto più efficace di quelle nazionali, ai fini della tutela di tutti i cittadini europei. Invece l’Unione continua a manifestare una inadeguatezza di fondo, emersa anche in quest’ultima occasione a proposito della applicazione o meno del patto di stabilità, per ora sospeso, ma che comunque tornerà in auge alla fine dell’emergenza. Intanto, nell’emergenza, i singoli Stati dell’Unione si muovono in ordine sparso, anche sulle prime misure per fronteggiare la crisi economica. Numerosi commentatori vanno ponendo la questione della sopravvivenza dell’Unione, concludendo che va salvata migliorando o rafforzando le politiche comuni. La questione, tuttavia, è strutturale. L’Unione resta comunque una unione pattizia di Stati sovrani fondata su alcuni Trattati da questi sottoscritti. Una Carta costituzionale europea, redatta a Roma nel 2004, è stata bocciata negli anni successivi in Francia ed in Olanda da referendum aventi esito negativo, seguiti nel 2007 dal Trattato di Lisbona, che ha rafforzato alcune strutture dell’Unione conservandone la natura pattizia. Successivamente, le resistenze di ordine nazionale-identitario si sono evolute nelle spinte sovraniste e populiste, e si sono consolidate le resistenze di ordine economico degli Stati del nord, con la difesa intransigente della politica di austerità alla base del Patto di stabilità, soprattutto da parte della Germania, avvantaggiata da tale politica nelle sue massicce esportazioni. La crisi attuale, tuttavia, svela ancora di più la fragilità delle frontiere nazionali. Taglia le esportazioni, già ridotte dall’accentuata concorrenza dei grandi sistemi Paese e dai conflitti doganali. Fa esplodere la contraddizione tra la politica di austerità e i relativi tagli alla spesa sociale, con le esigenze di tutela delle condizioni di vita delle persone. Riemerge con forza, oggi, la necessità di politiche diverse, più integrate, più efficaci per i cittadini, adeguate alle 5 esigenze di intervento poste dalla crisi globale nelle sue diverse manifestazioni. E dunque la necessità che l’Unione Europea si ponga come uno Stato federale dotato di una sovranità propria. Le proposte sono note. Occorre arrivare ad una Costituzione approvata per via referendaria da parte di tutti i cittadini europei. Con un Parlamento che voti la fiducia ad un Esecutivo per decidere insieme su tutte le materie di interesse comunitario, affidando il contemperamento delle esigenze dei singoli Stati e territori ad una sede istituzionale dove queste siano rappresentate, e che trovi l’equilibrio migliore possibile senza diritti di veto. Questa prospettiva, oggi, non è più un’utopia. La lacerazione delle abitudini quotidiane, il timore del contagio, la preoccupazione per le conseguenze economiche della crisi stanno provocando un mutamento dell’opinione pubblica, a livello cosciente e a livello profondo, nel senso di una consapevolezza molto maggiore della gravità dei rischi che si corrono e della radicalità delle misure necessarie a fronteggiarli. Il movimento già avviato tra i giovani dell’Occidente sull’obiettivo di fermare il cambiamento climatico, può ricevere dall’emergenza attuale un fortissimo impulso ed un ampliamento di prospettiva. Una iniziativa politica forte che faccia propria questa spinta e riesca a tradurla in progetti credibili in materia ambientale, economica, istituzionale può affrontare le ideologie, le convinzioni e le prassi consolidate che ci hanno portato a questo punto e riuscire a produrre i cambiamenti necessari. A livello globale nei diversi Paesi, intanto in Italia, ma anche in Europa, l’alternativa è possibile.
Roma, 26 marzo 2020
Il presidente dell’associazione Nuova Etica Pubblica
Antonio Zucaro