Cinquantanni di Storia Italiana, Vol. II, Milano Hoepli 191
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di Vincenzo Masi
Istruzione pubblica e privata
I.
Istruzione Elementare.
Fin da allora cominciò quella caccia all’analfabetismo, quella santa crociata per l'istruzione del popolo, che non ha potuto ancora ottenere i frutti desiderati e che da tempo fa agitare la questione se non convenga avocare allo Stato tutta la istruzione elementare: problema di immensa difficoltà, più per la parte finanziaria che non per l’amministrativa, giacché, una volta che l'istruzione primaria fosse in mano del Governo, questo dovrebbe provvedere, equamente e proporzionalmente alla popolazione, non solo al numero delle scuole, ma ai locali scolastici, all’arredamento di essi, alle biblioteche popolari, agli stipendi dei maestri con un aumento corrispondente alle condizioni, che via via di fanno più dispendiose, della vita pubblica: tutto ciò vuol dire milioni e milioni a diecine. Nondimeno, provvedimenti per risolvere questi vari problemi furono tentati, come si può constatare dalla rapida enumerazione, che ora faremo, dei principali condotti ad effetto; mentre altri rimasero allo stato di semplici tentativi.
Nondimeno, due tra i più bei nomi del nostro risorgimento si affaticavano intorno al problema della scuola popolare, quali Terenzio Mamiani nel 1861 e Domenico Berti nel 1866; ma i loro disegni non poterono essere tramutati in legge: essi, però, e gli altri ministri, che portavano i nomi illustri di Francesco De Sanctis, di Pasquale Stanislao Mancini, di Carlo Matteucci, di Michele Amari, di Cesare Correnti, promossero, con provvedimenti amministrativi, il migliore assetto e l’incremento delle scuole primarie, mediante l’opera di quei funzionari dell’amministrazione centrale e della provinciale, che erano deputati a curarla, a sorvegliarla, a seguirla nel suo svolgimento. La legge Casati aveva provveduto all’istituzione di un ispettore centrale e di ispettori locali in ciascun capoluogo di provincia; ma quell’organismo parve ed era insufficiente al bisogno di tante scuole quante si sarebbero dovute istituire secondo la legge: onde, oltre il Mamiani e il Berti, anche il Correnti rivolse la sua attenzione a questa parte dell’amministrazione scolastica, la quale ebbe poi i maggiori mutamenti per effetto dei decreti reali che, sebbene non trasformati mai in legge, cambiarono radicalmente così l’organo centrale, come gli ordinamenti della provincia.
Questi furono costituiti, per quanto si attiene all’istruzione primaria, da tre organismi principali, che furono il Consiglio scolastico provinciale, il provveditore agli studi nei capoluoghi di provincia, e gl’ispettori circondariali.
Il regolamento del 8 novembre 1877, emanato dal ministro Michele Coppino e che vige tuttora più o meno modificato nelle varie sue parti, fu il primo a disciplinare compiutamente l’amministrazione provinciale e a stabilire in modo particolareggiato le attribuzioni del Consiglio scolastico, del provveditore agli studi e degli ispettori scolastici; e inoltre aggiunse a sussidio di questi, in ciascun mandamento, uno o più Delegati scolastici, scelti tra le persone più notevoli del luogo, coll'incarico di invigilare sulle scuole primarie e di avere “cura speciale di quanto riguarda l’educazione morale e fisica degli alunni”. Per procurare maggiore autorità e vigore all’opera del Consiglio e dei funzionari dello State, la presidenza del Consiglio stesso fu data al prefetto togliendola al provveditore, e la composizione del Consiglio fu allargata, introducendovi un maggior numero di elementi locali e una rappresentanza dell’amministrazione finanziaria e della sanitaria. E se questo fu il maggiore strappo alle disposizioni della legge Casati, si ebbe il vantaggio di intensificare l'autorità delle Stato sui comuni rispetto agli obblighi dell'istruzione, perché l’autorità del prefetto può e più poteva allora sui comuni meglio che quella dei provveditori e degli ispettori. Gl’inconvenienti, però, di varia natura, che col tempo si sono manifestati nella dipendenza dell'auterità scolastica all’autorità politica: la civiltà progredita, e i provvedimenti legislativi degli ultimi tempi, rendono ora meno opportuna siffatta dipendenza, sicché vediamo prevalere l'opinione che sia bene ridare l’autonomia all'autorità scolastica, e consacrarla in un disegno di legge presentato recentemente dal ministro Daneo e gia approvate dalla Camera dei Deputati. E’ manifesta la importanza dell'opera degli ispettori scolastici;
E contemporaneamente all'aumento del numero, si cura di migliorare la qualità degli ispettori mediante la richiesta di un titolo e diploma speciale che si ottiene per esami, e l’allettamento di stipendi meno meschini.
Frattanto l'opera legislativa si era potuta finalmente affermare con una legge di capitale importanza, proposta dal ministro Michele Coppino e che porta la data del 15 luglio 1877, sull’obbligo dell’istruzione primaria. Anche nella legge Casati, quest’obbligo si poteva ritenere implicito nello spirito di essa e nel complesso delle sue disposizioni; ma, come abbiamo accennato, fu incerta e debole l'opera del Governo nei primi anni del nostro risorgimento in riguardo alle condizioni poco floride dei comuni, per i quali la legge comunale e provinciale dichiarava obbligatoria la spesa dell'istruzione elementare; sicché una dichiarazione esplicita del potere legislativo che imponeva e sanciva siffatto obbligo, deve considerarsi come il punto fondamentale della guerra indetta all’analfabetismo, poiché, contemporaneamente ad essa, si estendeva a tutto il regno, come si è accennato, il titolo V della legge Casati, ciò che voleva dire la sistemazione uniforme, in tutte le provincie, delle scuole e degli insegnamenti del popolo; impresa colossale che, nonostante la buona volontà di tutti e l'opera a volta a volta più o meno energica del Governo, non è ancora compiuta, anzi è ancora lontana dal suo compimento. Ce lo dicono le cifre. Come ho osservato più addietro, nel 1861 gli analfabeti dai 5 anni in su erano in media del 75 per cento nella parte d’Italia allora riunita al regno di Piemonte; questa media, nel 1871, quando al regno italiano erano già state annesse le provincie venete e la romana, era diminuita solamente del 6 per cento, cioè ridotta al 69 per cento, ragguagliata pero agli analfabeti dai 6 anni in su. Bene inteso che questa proporzione variava assai da regione a regione, perché, mentre in Piemonte sia veva il minimo con la media del 50 per cento, nella Basilicata si aveva il massimo con quella dell’89 per cento.
Ma dal 1871 in poi abbiamo dati che ci permettono di meglio stabilire il progresso dell’istruzione primaria in tutto il regno, potendo dare il numero delle scuole e degli alunni che le frequentarono. [...]