Cinquantanni di Storia Italiana, Vol. II, Milano Hoepli 191
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di Vincenzo Masi
Istruzione pubblica e privata

Ferruccio Parri - Dall'Astrolabio n. 23 del 1967
Ferruccio Parri - Dall'Astrolabio n. 23 del 1967
Nel 1860, l'alba del nostro risorgimento politico trovava l’Italia ricca di splendide opere e di gloriose tradizioni in ogni ramo dell’umano sapere e dell'arte, ma povera affatto di buoni ordinamenti scolastici e di quel divulgamento dell'istruzione pubblica che già esisteva nelle principali nazioni dell’Europa, e che costituiva uno dei primi elementi del loro potere e della loro influenza nel mondo. Un solo Governo, com’è noto, aveva, anche in questo campo, preso il cammino alla testa degli altri Stati italiani, sia dando ricetto a molti esuli politici insigni per dottrina e per carattere, sia introducendo nelle proprie scuole insegnamenti adatti al progresso dei nuovi tempi: dico il piccolo regno del Piemonte. Esso infatti ci dava, subito dopo le grandi vittorie ottenute con l'aiuto dei Francesi sui campi di battaglia, nel 1859, la migliore legge organica e generale, in materia di scuole, che abbia avuto l’Italia, e i cui benefici effetti si risentono ancora, non ostante i mutamenti avvenuti e i tentativi di riforme fatti in questi ultimi cinquant'anni: quella che porta la data del 13 novembre 1859 e il nome di Gabrio Casati, un lombardo, ministro del re piemontese che doveva, poco dopo. nel marzo del 1861, essere proclamato re d’Italia. La legge Casati venne a mano a mano estesa, in tutto o in parte, alle altre provincie della Italia, e fu modello alle disposizioni speciali che vennero emanate dai poteri straordinari, costituiti, durante la formazione del regno, nelle varie regioni della penisola. Il nuovo regno non trovava, però, i vari rami dell'istruzione in uguale condizione, perché, mentre, in generale. la istruzione superiore e, in molte parti, anche la media classica, erano in mano dello Stato, sebbene la seconda per lo più delegata a corporazioni religiose, la elementare era del tutto trascurata e lasciata in piena balia delle famiglie e dei parroci; val quanto dire che imperava un analfabetismo, si può dire, generale, su quella parte della popolazione che non era destinata a proseguire gli studi per procurarsi una professione o un impiego, cioè su tutta la classe dei poveri, degli operai, dei contadini.
I.
Istruzione Elementare.
Carlo.Rosselli con sua moglie - Astrolabio n. 23 del 1967
Carlo.Rosselli con sua moglie - Astrolabio n. 23 del 1967
Uno, pertanto, dei più gravi e dei più difficili compiti che s’imponevano al nuovo regno, era quello de1l’istrnzione primaria e popolare: parrebbe fosse stato ovvio il provvedimento di estendere subito a tutto il regno il titolo V della legge Casati, il quale regolava compiutamente la materia, stabilendo come principi fondamentali la gratuità dell'istruzione e l'obbligo, per i comuni, di impartirla a proprie spese. Questo obbligo, che involgeva un onere non indifferente, massime per i comuni più poveri, dev’essere stato cagione d’incertezza nell'applicazione della legge, in un tempo in cui tutto era da fare in ordine ai servizi pubblici e alla sistemazione tributaria del regno. Soltanto con la legge Coppino del 15 luglio 1877, per la quale fu sancito l’obbligo dell’istruzione elementare inferiore per tutti i fanciulli che avessero compiuto l’età di sei anni, fu (art. 12) esteso a tutte le provincie del regno il titolo V della legge 13 novembre 1859, senza, però, mutare le tabelle esistenti degli stipendi per riguardo alle finanze comunali. Ma era manifesto che il problema della scuola non poteva essere disgiunto da quello degli stipendi dei maestri; e tuttavia si giunse fino al 1886, prima che si potesse disporre anche la unificazione delle tabelle dei maestri. Le leggi speciali, emanate nel tempo dei poteri straordinari nel 1860 e 1861 - tra le quali sono particolarmente da ricordare, per la estensione del territorio che abbracciarono, il decreto legge Imbriani del 10 febbraio 1861 per le provincie continentali dell'ex-regno di Napoli, e il decreto prodittatoriale del Garibaldi per la Sicilia, del 17 ottobre 1860 - si occupavano solamente della istruzione media e della superiore; sicché si puo dire che nel primo trentennio del regno l’istruzione elementare, non ostante i tentativi di riforme studiate, né mai potute condurre in porto da vari ministri, fu lasciata quasi in balia di se stessa, o, meglio, dei comuni, che, fatta eccezione per i maggiori, non ebbero di essa la cura necessaria. Ciò è dimostrato dalle statistiche, le quali ci danno una cifra spaventosa di analfabeti che al 31 dicembre 1861, quando fu fatto il primo censimento, computando gli analfabeti dai 5 anni in su, sopra una popolazione di 21.777.334, saliva al numero di 14.053.711, che è quanto dire alla media del 75 per cento.
Fin da allora cominciò quella caccia all’analfabetismo, quella santa crociata per l'istruzione del popolo, che non ha potuto ancora ottenere i frutti desiderati e che da tempo fa agitare la questione se non convenga avocare allo Stato tutta la istruzione elementare: problema di immensa difficoltà, più per la parte finanziaria che non per l’amministrativa, giacché, una volta che l'istruzione primaria fosse in mano del Governo, questo dovrebbe provvedere, equamente e proporzionalmente alla popolazione, non solo al numero delle scuole, ma ai locali scolastici, all’arredamento di essi, alle biblioteche popolari, agli stipendi dei maestri con un aumento corrispondente alle condizioni, che via via di fanno più dispendiose, della vita pubblica: tutto ciò vuol dire milioni e milioni a diecine. Nondimeno, provvedimenti per risolvere questi vari problemi furono tentati, come si può constatare dalla rapida enumerazione, che ora faremo, dei principali condotti ad effetto; mentre altri rimasero allo stato di semplici tentativi.
Benedetto Croce - Dall'Astrolabio n. 2 del 1967
Benedetto Croce - Dall'Astrolabio n. 2 del 1967
Nel decennio che corse tra il 1861 e il 1871, la preoccupazione politica della indipendenza e dell'unità della patria prevalse sopra qualunque altro pensiero: basti ricordare la guerra del 1866 contro l’Austria, il tentativo fallito nella campagna romana nel 1867, e la presa di Roma del 1870.
Nondimeno, due tra i più bei nomi del nostro risorgimento si affaticavano intorno al problema della scuola popolare, quali Terenzio Mamiani nel 1861 e Domenico Berti nel 1866; ma i loro disegni non poterono essere tramutati in legge: essi, però, e gli altri ministri, che portavano i nomi illustri di Francesco De Sanctis, di Pasquale Stanislao Mancini, di Carlo Matteucci, di Michele Amari, di Cesare Correnti, promossero, con provvedimenti amministrativi, il migliore assetto e l’incremento delle scuole primarie, mediante l’opera di quei funzionari dell’amministrazione centrale e della provinciale, che erano deputati a curarla, a sorvegliarla, a seguirla nel suo svolgimento. La legge Casati aveva provveduto all’istituzione di un ispettore centrale e di ispettori locali in ciascun capoluogo di provincia; ma quell’organismo parve ed era insufficiente al bisogno di tante scuole quante si sarebbero dovute istituire secondo la legge: onde, oltre il Mamiani e il Berti, anche il Correnti rivolse la sua attenzione a questa parte dell’amministrazione scolastica, la quale ebbe poi i maggiori mutamenti per effetto dei decreti reali che, sebbene non trasformati mai in legge, cambiarono radicalmente così l’organo centrale, come gli ordinamenti della provincia.
Questi furono costituiti, per quanto si attiene all’istruzione primaria, da tre organismi principali, che furono il Consiglio scolastico provinciale, il provveditore agli studi nei capoluoghi di provincia, e gl’ispettori circondariali.
Il regolamento del 8 novembre 1877, emanato dal ministro Michele Coppino e che vige tuttora più o meno modificato nelle varie sue parti, fu il primo a disciplinare compiutamente l’amministrazione provinciale e a stabilire in modo particolareggiato le attribuzioni del Consiglio scolastico, del provveditore agli studi e degli ispettori scolastici; e inoltre aggiunse a sussidio di questi, in ciascun mandamento, uno o più Delegati scolastici, scelti tra le persone più notevoli del luogo, coll'incarico di invigilare sulle scuole primarie e di avere “cura speciale di quanto riguarda l’educazione morale e fisica degli alunni”. Per procurare maggiore autorità e vigore all’opera del Consiglio e dei funzionari dello State, la presidenza del Consiglio stesso fu data al prefetto togliendola al provveditore, e la composizione del Consiglio fu allargata, introducendovi un maggior numero di elementi locali e una rappresentanza dell’amministrazione finanziaria e della sanitaria. E se questo fu il maggiore strappo alle disposizioni della legge Casati, si ebbe il vantaggio di intensificare l'autorità delle Stato sui comuni rispetto agli obblighi dell'istruzione, perché l’autorità del prefetto può e più poteva allora sui comuni meglio che quella dei provveditori e degli ispettori. Gl’inconvenienti, però, di varia natura, che col tempo si sono manifestati nella dipendenza dell'auterità scolastica all’autorità politica: la civiltà progredita, e i provvedimenti legislativi degli ultimi tempi, rendono ora meno opportuna siffatta dipendenza, sicché vediamo prevalere l'opinione che sia bene ridare l’autonomia all'autorità scolastica, e consacrarla in un disegno di legge presentato recentemente dal ministro Daneo e gia approvate dalla Camera dei Deputati. E’ manifesta la importanza dell'opera degli ispettori scolastici;
Ernesto Rossi - Astrolabio n. 8 del 1967
Ernesto Rossi - Astrolabio n. 8 del 1967
il cui compito è duplice: di eccitare i comuni a istituire e mantenere il numero di scuole corrispondente alla propria popolazione, e di curare e sorvegliare che l'insegnamento sia efficace e dato nelle forme prescritte dal Governo. Onde non fa meraviglia se il numero di questi funzionari si è via via aumentato in misura che il Governo è andato escogitando e attuando provvedimenti a vantaggio dell’istruzione primaria: da 17 che essi erano nella tabella A della legge Casati, furono portati a 283 con la legge del 30 giugno 1908 sullo stato economico degl'impiegati civili, e il loro numero è incomparabilmente aumentato con il disegno di legge Daneo emendato dal ministro Credaro, già approvato dalla Camera dei Deputati, per il quale gl’ispettori salgono al numero di 400 e si instituiscono 1000 vice-ispettori.
E contemporaneamente all'aumento del numero, si cura di migliorare la qualità degli ispettori mediante la richiesta di un titolo e diploma speciale che si ottiene per esami, e l’allettamento di stipendi meno meschini.
Ernesto Rossi volontario nella I guerra - Astrolabio n. 8 del 1967
Ernesto Rossi volontario nella I guerra - Astrolabio n. 8 del 1967
A rinforzare l’opera loro si è venuta sviluppando la istituzione dei direttori didattici, la cui figura era già abbozzata nell'art. 818 della legge Casati, la quale dava facoltà ai comuni di avere un direttore delle proprie scuole per guidare e sorvegliare l'indirizzo didattico ed educativo dei maestri; ma la legge del 19 febbraio 1908 la consacra rendendola obbligatoria per i comuni aventi una popolazione non inferiore ai diecimila abitanti, un numero di almeno venti classi, richiedendo speciali titoli di abilitazione per poter esercitarla, e assegnando lore uno stipendio alquanto superiore al massimo dei maestri, con speciali doveri e garanzie. Finalmente, il disegno di legge Daneo-Credaro estende l'obbligo della direzione didattica a tutti i comuni, conservando però ai minori la facoltà di unirsi in consorzi e circoli.
Frattanto l'opera legislativa si era potuta finalmente affermare con una legge di capitale importanza, proposta dal ministro Michele Coppino e che porta la data del 15 luglio 1877, sull’obbligo dell’istruzione primaria. Anche nella legge Casati, quest’obbligo si poteva ritenere implicito nello spirito di essa e nel complesso delle sue disposizioni; ma, come abbiamo accennato, fu incerta e debole l'opera del Governo nei primi anni del nostro risorgimento in riguardo alle condizioni poco floride dei comuni, per i quali la legge comunale e provinciale dichiarava obbligatoria la spesa dell'istruzione elementare; sicché una dichiarazione esplicita del potere legislativo che imponeva e sanciva siffatto obbligo, deve considerarsi come il punto fondamentale della guerra indetta all’analfabetismo, poiché, contemporaneamente ad essa, si estendeva a tutto il regno, come si è accennato, il titolo V della legge Casati, ciò che voleva dire la sistemazione uniforme, in tutte le provincie, delle scuole e degli insegnamenti del popolo; impresa colossale che, nonostante la buona volontà di tutti e l'opera a volta a volta più o meno energica del Governo, non è ancora compiuta, anzi è ancora lontana dal suo compimento. Ce lo dicono le cifre. Come ho osservato più addietro, nel 1861 gli analfabeti dai 5 anni in su erano in media del 75 per cento nella parte d’Italia allora riunita al regno di Piemonte; questa media, nel 1871, quando al regno italiano erano già state annesse le provincie venete e la romana, era diminuita solamente del 6 per cento, cioè ridotta al 69 per cento, ragguagliata pero agli analfabeti dai 6 anni in su. Bene inteso che questa proporzione variava assai da regione a regione, perché, mentre in Piemonte sia veva il minimo con la media del 50 per cento, nella Basilicata si aveva il massimo con quella dell’89 per cento.
Ma dal 1871 in poi abbiamo dati che ci permettono di meglio stabilire il progresso dell’istruzione primaria in tutto il regno, potendo dare il numero delle scuole e degli alunni che le frequentarono. [...]