Attilio Brunialti, Le nuove province italiane, Vol. VI, Torino Unione Tipografica Editrice Torinese 1921 [...] Capo III Trattato di Rapallo Panorama di FiumeNegli ultimi anni e specialmente dopo il 1860, seguendo l'impulso della politica austriaca fieramente avversa all'elemento italiano, e favorevole invece a quello croato, più fedele alla monarchia, si accese in Dalmazia l'aspra lotta dello slavismo, principalmente croato, contro ogni manifestazione, sino allora rispettata della civiltà italiana. Questa lotta, combattuta con ogni mezzo lecito ed illecito, conduce a grado a grado ad una sopraffazione dell'elemento italiano; ormai numericamente in minoranza, il quale, dopo memorabili battaglie talvolta vittoriose, ma sempre soffocate nella violenza, è costretto a cedere prima nelle campagne, poi nelle città, la direzione delle amministrazioni comunali, la maggioranza nelle elezioni politiche, la prevalenza sino allora conservata nell'uso della lingua ufficiale, il predominio nelle scuole, senza tuttavia perdere la sua importanza come elemento civile, nelle forme non ufficiali della vita sociale, nelle imprese economiche, nelle associazioni politiche o di cultura, negli usi della vita, nel linguaggio comune dei rapporti civili e marittimi, resistendo poi come elemento di maggioranza assoluta in alcune località, particolarmente a Zara. Cosicché, anche se la lotta [?]mente memorabile di un intero quarantennio, rivela l'inferiorità numerica dell’esercito italiano capace di opporre resistenza alle violenze dei Croati, dei Serbi e del governo austriaco, congiunti a suo danno in un patto di prepotenza inflessibile, essa dimostra chiaramente la vitalità tenace e indistruttibile di quell'elemento, il quale sempre e dovunque oppose una fiera resistenza, soffocato in una manifestazione divampa più vitale in un'altra, e così delude e sventa la bieca volontà dei suoi persecutori. Nel 1860 circa si era risvegliato in Croazia un movimento nazionale che manifestò subito la pretesa di annettersi la Dalmazia. Ma i Dalmati, persuasi che la loro secolare aspirazione li portasse ad unirsi all'Italia, per quanto vedessero per il momento tale unione irrealizzabile, sostennero il principio dell'autonomia, proclamando che la Dalmazia, posta sul mare, dirimpetto all'Italia, premuta alle spalle da una fitta popolazione slava, non doveva essere né croata né italiana; ma doveva sviluppare liberamente gli elementi latino-veneti della sua civiltà come regione autonoma, e come tramite di elevazione civile verso il retroterra slavo. Fiume - IstriaSu questo programma, che rivela il fine senso politico degli Italiani di Dalmazia, e che ebbe a propugnatore Niccolò Tommaseo, i Dalmati ottennero sostanzialmente vittoria. Poiché, se anche più tardi dovettero cedere alla sopraffazione slava, in mille modi protetta dall'amministrazione austriaca, essi mantennero tuttavia alla regione una condizione civile singolare, con alto predominio italiano, che nulla valse ad abbattere. D'altra parte con l'emancipazione delle nazionalità balcaniche e con l'estensione della cultura slava si andava ogni giorno più determinando un movimento diretto ad unire tutti gli Slavi meridionali, Sloveni, Croati, Serbi, per l'affinità della lingua riguardati come destinati a formare un popolo solo. Questo movimento si manifestò coi caratteri del cosiddetto trialismo, per cui la monarchia danubiana, retta sino allora sul predominio dualista dell'elemento tedesco ed ungarico, avrebbe dovuto aggiungere lo slavismo, tra gli elementi direttivi predominanti, e questo slavismo, costituito dall'unione di tutti gli Slavi della monarchia, Cecoslovacchi, Sloveni, Croati, Dalmati e Serbi, avrebbe dovuto abbracciare anche la Serbia, investendo così buona parte della Penisola Balcanica per spalancare definitivamente all'Austria e alla Germania la contesa strada dell'Oriente. È noto che lo scoppio della guerra europea si lega, in parte, a questo programma; né io accennerò alle vicende a tutti conosciute della guerra e alle conseguenze della vittoria, se non per ciò che si attiene al problema nazionale dell'Adriatico. La grande conflagrazione mondiale doveva necessariamente riaprire il problema delle nazionalità, principalmente verso l'Oriente europeo, il quale da anni aspetteva il suo assestamento. Mentre la Dalmazia assisteva al principio della guerra, alla lotta violenta dell'elemento croato contro la Serbia, in Italia venivano meno le ragioni che avevano fino allora consigliato un prudente riserbo sulla questione dalmata, per non accrescere le già gravissime difficoltà dell'irredentismo nazionale, e, tra le aspirazioni della nazionalità italiana, conforme alla tradizione del Risorgimento, veniva posto nettamente il diritto dell'Italia sulla Dalmazia, sia per garantire il possesso di una parte della costa orientale adriatica necessaria alla nostra sicurezza marittima e territoriale, sia per soddisfare le ragioni storiche e attuali dei vincoli di fratellanza [?] dalmata. Queste ragioni tutte furono in parte riconosciute nel Trattato con l'Intesa, firmato a Londra il 26 aprile 1915, patto che regolò l'intervento italiano nel conflitto mondiale. All'invito formale della Russia e della Francia, perché dovessero essere ridotte le pretese territoriali dell'Italia, e fossero invece tenute in conto le aspirazioni della Serbia verso l'Adriatico, il Governo italiano aderiva, consentendo ad attribuire alla Serbia una parte della Dalmazia centrale, e tutta la Dalmazia meridionale, da Traù fino a Cattaro. FiumeVeniva l'Italia così a restringere le sue rivendicazioni nazionali ad una parte delle isole e a quella parte di Dalmazia settentrionale e centrale che riteneva sufficiente a garantire la sua posizione strategica sull'Adriatico e cercava di barcamenarsi tra le pretese dello slavismo e quelle dell'italianità in Dalmazia. Senonché, mentre la guerra continuava il suo tragico ritmo fra i due gruppi di Potenze, e la Serbia era travolta sotto l'invasione austro-tedesca, si svolgeva nei circoli di Londra, di Parigi, della Svizzera e dell'America, tra i fuorusciti slavi dell'Austria e gli esuli serbi, un movimento rivolto a riprendere l'idea dell'Unione degli Slavi meridionali, non più sotto la forma del trialismo austriaco, ma sotto uno Stato unitario o federale, col nome di Jugoslavia, che rappresentasse un centro organico di coesione fra le razze slave del mezzogiorno. Tale movimento, concretamente fondato, non più sotto la forma del trialismo austriaco, ma sotto uno Stato unitario o federale, col nome di Jugoslavia, che rappresentasse ·un centro organico di coesione fra le razze slave del mezzogiorno. Tale movimento, concretamente fondato, nel Patto di Corfù che veniva intanto stretto tra i rappresentanti dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, fu giudicato uno strumento opportuno per provocare la disgregazione della Monarchia austriaca, sicché trovò fautori non solamente in Inghilterra e in Francia, ma anche in Italia, specialmente dopo Caporetto, allorché le forze dell'Austria parvero rinsaldate e si ritenne necessario di intensificare la politica della nazionalità a favore della Polonia, della Boemia e della Jugoslavia contro il nesso oppressore degli Imperi centrali. Nacque così il Patto di Roma del 10 aprile 1918 [link], nel quale, da autorevoli circoli politici esponenti dell'Intesa, i diritti di queste nazionalità furono solennemente proclamati principalmente contro l'Austria; e per quanto in quel Patto non si stabilisse nulla .nei rapporti delle questioni territoriali, rimandate ad una definizione futura, che doveva pure prendere in esame gli interessi vitali dei diversi Stati, tuttavia l'equivoco già nato riguardo ai diritti della Jugoslavia sulle terre dell'Adriatico, trovò motivo a metter radici per il suo futuro sviluppo. RapalloQuando la battaglia di Vittorio Veneto venne a dare all'Austria già barcollante e fiaccata per la rovina dell'offensiva del giugno, l'ultimo colpo, e l'Italia vittoriosa s'avanzò a minacciare nel cuore la sconfitta rivale, i patti dell'armistizio, troncando il corso alla giustizia che l'Italia avrebbe saputo farsi da sola, assegnarono ad essa la linea già preveduta dal Trattato di Londra, nell'Adriatico e nella Dalmazia. Fu allora che, non si sa se per mal repressa invidia, o per ingiustificato timore, si delineò più aspra l'opposizione straniera contro le rivendicazioni italiane, complicata inoltre per l'impegno dell'assegnazione di Fiume alla Croazia, assunto in quel Trattato per particolari ragioni, che non avrebbero mai lasciato supporre un così completo crollo del vasto Impero austroungarico. Fu allora che la Jugoslavia proclamatasi come Regno dei Serbi-Croati-Sloveni in nome dell'asserita preponderanza slava della popolazione istriana e dalmata, avanzò la pretesa di annettersi tutti i territori della Venezia Giulia, dell'Istria e della Dalmazia; dove fosse preponderante lo slavismo. Ben doloroso è a dirsi come questa sua pretesa trovò favore in alcune correnti politiche dell'Inghilterra, della Francia e dell'America interessate a limitare una temuta espansione commerciale italiana verso i Balcani, per sfruttare più liberamente a loro vantaggio le risorse di quei paesi. L'Italia, che pure aveva senza risparmio combattuto nella lunga ed aspra guerra per tutti gli alleati, grandi e piccoli, per i diritti di civiltà e di indipendenza di tutti i popoli, si trovò sola, la vittoriosa, nel1'ora decisiva delle trattative di pace. Sola, senza appoggi e senza garanzie, coi diritti già segnati in un solenne Trattato, discussi e contestati, con la questione di Fiume esacerbata dalla tenace irremovibilità di Wilson, con l'opinione pubblica interna dolorosamente divisa, sul problema delle rivendicazioni nazionali in Dalmazia. La ·notte di Ronchi e il grande gesto di Gabriele D'Annunzio, che sprezzando ogni viltà e troncando ogni indugio muove su Fiume coi suoi legionari, trova in Italia e all'Estero consenso unanime e plaudente. Le bandiere alleate lasciano il posto a quella italiana; l'Italianissima Fiume vede nel poeta-soldato il suo liberatore e sotto il di lui illuminato Governo per ben diciotto mesi attende in vita febbrile di sacrificio e di esaltazione quella libertà che dal Trattato di Rapallo le è consacrata col riconoscimento dei diritti del Corpus separatum. Ma il Trattato di Rapallo sfronda moltissime delle nostre legittime aspirazioni sulla Dalmazia, ci toglie l'italiana Sebenico, Spalato, Traù, quasi tutte le isole, terre in cui freme e si agita e pulsa l'anima italiana, e l'Italia deve cedere con gesto nobile e generoso, per quanto prudente.In ultima analisi il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 ci assegna Fiume col suo territorio, la città di Zara e le isole di Unie, Cherso, Lussin, Lagosta e gli isolotti adiacenti.
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