Presentazione di 'La Via Sacra Langobardorum', a cura di Pasquale Corsi, Foggia, Edizioni del Rosone, 2012. S. Marco in Lamis, Liceo 'Giannone', 23 gennaio 2013 |
Non si sa quando i Longobardi siano stati inseriti a forza nella toponomastica garganica. La letteratura locale fino ai primi decenni del sec. XX non fa alcun cenno alla locuzione Via Sacra dei Longobardi, in seguito assunta a nome proprio del tratto di strada da Stignano a Monte Sant’Angelo. Forse non è il caso, essendo i nomi a detta del Manzoni solo puri purissimi accidenti, di discutere oltre un certo limite se questo nome sia dotato o meno di dovuta legittimità, o se, invece, sarebbe più opportuno ripristinare l’originario nome di Via Francesca, che dispone peraltro di solida documentazione.
La Via è la protagonista del libro perché è la protagonista del pellegrinaggio. Il santuario è la meta, il sito dove il pellegrino realizza il suo scopo che è l’incontro con Dio. Il luogo dove il fedele inizia e completa il suo processo di maturazione spirituale è la Via. Su di essa, quindi, il pellegrinaggio si sviluppa nella forma e nella misura che l’ambiente umano, spirituale, culturale e fisico gli propone.
A questo proposito è utile rievocare la radice linguistica della parola pellegrino dal latino externus peregre adveniens, l’estraneo che arriva camminando per i campi. Il pellegrino, come il vagabondo che dal contado aspirava all’asilo delle munite città romane, spesso non ha modo di scegliersi l’itinerario, ma cammina per tentativi o seguendo le esperienze di chi lo ha preceduto. I campi gli offrono qualche frutto da mangiare, qualche grotta dove rifugiarsi, ma anche insicurezza e pericoli in quantità, come ancora oggi succede lungo la SS. 272, erede della Via Francesca. Aggiungo che questa non è storia definitivamente vecchia, ma è un aspetto del pellegrinaggio molto attuale e in netta crescita. E con questo intendo riferirmi esclusivamente ai veri pellegrini, non ai camminatori o scopritori di paesaggi e di prodotti tipici che sono un’altra cosa.
La Via, allora, non è solo struttura logistica che consente di transitare da un luogo all’altro. È percepita, invece, come criterio interpretativo di una realtà polimorfa che abbraccia la vasta gamma del vivere: dai bisogni materiali della sopravvivenza, a quelli spirituali, dagli insediamenti urbani agli eremi, dall’architettura rurale ai linguaggi. Il tutto prodotto e interconnesso da un universo umano liquido, perpetuamente in movimento, fluttuante tra la roccia del promontorio e le molte regioni italiane e straniere di cui il Mons Sancti Angeli era ed è ancora centro spirituale. La Via Sacra dei Longobardi è il luogo del movimento e dello scambio.
È utile rammentare che la nostra Via Sacra Langobardorum è il grande collettore di pellegrini e di varia umanità provenienti dai luoghi più disparati dell’Italia e dell’Europa condotti nel Tavoliere da una miriade di strade provenienti da nord, da ovest e dal meridione. I popoli che nei secoli l’hanno percorsa hanno forgiato il paesaggio rurale e cittadino, umano, culturale e religioso che si snoda lungo la profonda fenditura che da Stignano a Mattinata separa il Gargano meridionale dalla zona settentrionale.
In qualche maniera qui tutto è figlio della strada e questa storia è raccontata dalla strada stessa. A Stignano si narra dei pastori abruzzesi, del loro faticoso andare e fidente affidarsi alla Vergine dell’albero. I molti eremi sparsi nella vallata di Stignano, di Pulsano e di S. Matteo narrano di uomini e donne di stampo superiore provenienti dalle regioni italiane ed europee dediti alla preghiera e alla contemplazione. Molti dei loro nomi sono conosciuti, come il beato Giovanni da Matera, S. Guglielmo da Vercelli, il beato Giovanni da Tufara. A S. Matteo si vive un momento esaltante fatto di finestre aperte su uno scenario vasto. Qui il Gargano, fecondato dalle presenze benedettine e francescane, apre la sua aridità, apparentemente fredda e chiusa, alla grande storia del mondo. E poi c’è la Grotta dell’Arcangelo Michele dove oriente e occidente s’incontrano, cielo e terra si toccano, popoli e lingue diverse provenienti dai quattro venti s’incontrano e si pacificano. Qualcuno può anche pensare che queste cose appartengano a un mondo definitivamente trascorso e che qui noi stiamo celebrando fasti di archeologico sapore.
La nostra è una strada che raccoglie e rilancia, benché si articoli su un percorso difficile, stretto, pietroso e pieno di pericoli.
Nel corso degli Atti appena pubblicati viene spesso evocata la singolarità di questa via che focalizza la mente dei viandanti sull’incontro con Dio nell’antro misterioso dell’Arcangelo Michele. Questo incontro, però, non è concepito come il punto finale della storia; bensì come la conclusione di un lungo itinerario e l’inizio di un’altra storia. Al reditus, il rientro nella casa del Padre, segue l’exitus, l’uscita per le vie del mondo per portare dappertutto il nuovo annuncio. Questo è, in fondo, il cuore del pellegrinaggio. Che sia religioso o non religioso, ogni pellegrinaggio si svolge fra ritorni e partenze fin quando i fili della vita non saranno riuniti in unica tessitura.
La strada è il testimone non inerte di questo andare e venire. Il suo percorso è infatti costellato di luoghi che ricordano peccati e conversioni, incontri e progetti. I santuari posti in fila lungo il percorso costituiscono un itinerario di maturazione umana e spirituale. Nel contatto con i personaggi da cui i santuari prendono nome, i pellegrini, ma anche il non credente, toccano con mano la realtà della vita. La Vergine Madre di Dio, S. Matteo, Padre Pio , S. Giovanni Battista, il beato Giovanni da Matera, S. Leonardo abate sono personaggi veri. Questa è la strada di Ottone III e di Enrico il Santo, di S. Camillo de Lellis e di S. Francesco. Il pellegrino si specchia nella loro vita e riprogetta la sua. E, d’altra parte, questi personaggi gli propongono l’ottimismo del vedere e del vivere nonostante le difficoltà e le crudezze dell’esistenza. I pellegrini, poi, con una serie nutrita di croci, edicole, luoghi appositamente segnati, scandiscono l’intero percorso con i segni della preghiera, del perdono dato e ricevuto, della gioia dell’arrivo e dell’addio sereno e fidente.
Il prof. Corsi sottolinea, quindi, l’esistenza di un complesso “di elementi storici e geografici che fanno del percorso esaminato un unicum di eccezionale rilevanza culturale”. Perciò la Via Sacra dei Longobardi va assunta e vissuta nella sua interezza come un unicum che rappresenta, insieme, l’identità del nostro Gargano e il suo compito.
Credo che questo libro sia il primo tentativo serio di analisi di una realtà che, nonostante i suoi molti estimatori, resta sostanzialmente sconosciuta. L’ignoranza e il dilagare dei luoghi comuni di stampo consumistico stanno spingendo la Via Sacra dei Longobardi in un limbo interpretativo in cui pare che gli unici elementi che risplendono in tutta la loro oscura chiarezza siano quelli che lo scrittore di Rodi, Giuseppe Cassieri, chiama i giubilanti.
È necessario operare con una dose supplementare di chiarezza e decisione a cominciare da una conoscenza più puntuale e corretta.
Credo, quindi, che le molte linee di ricerca proposte in questo libro debbano essere coltivate ulteriormente. Penso, a titolo di esempio, al saggio di Adriana Pepe su Architettura e arte figurativa rinascimentale in area garganica, S. Maria di Stignano. Leggendolo non si può non desiderare di allargare la ricerca alle aree del subappennino settentrionale e a tutte le zone interessate dal fenomeno della transumanza la cui parentela col mondo garganico della Via Sacra dei Longobardi in molte emergenze appare evidente.
Si coglie a questo punto il significato primigenio della parola sanctuarium utilizzata in primis per designare l’angolo più riposto e sicuro della casa imperiale dove si conservava l’archivio privato dell’imperatore, le sue carte più riservate e preziose. Plinio il Vecchio riferisce che Pompeo entrò nel sanctuarium di Mitridate VI Eupatore re del Ponto dopo averlo sconfitto nel 63 a.C. In quella stanza segreta Pompeo trovò un libro su cui il re di propria mano aveva scritto la composizione dell’antidoto che gli aveva permesso di vivere nonostante i molti tentativi di avvelenarlo perpetrati dai suoi molti nemici. La parola designava, parimenti, le mura e le porte della città, gli edifici civili e religiosi la cui inviolabilità e sicurezza erano garantite e sancite (da cui sancta) da apposite leggi. Probabilmente i santuari della Via Sacra dei Longobardi nella loro fase iniziale erano intesi come asili sicuri dei pellegrini. In seguito, soprattutto per la presenza dei grandi ordini religiosi, divennero importanti luoghi di culto e, quindi, santuari nel senso moderno.
P. Mario Villani
S. Matteo 23 gennaio 2013