a fra Matteo Bibiani
alla cara memoria di fra Luigi Perrotti
in questo Santuario di San Matteo
dei pellegrini
gentili servitori
La tanto spesso contestata e in taluni casi demonizzata, almeno negli ultimi decenni, religiosità popolare, emerge in tutta la sua ricchezza e preziosità, in questa opera che narra e descrive un singolare momento della vita di una comunità, quella di Ripabottoni in Molise, comunità a me cara per i nove anni nei quali, come vescovo della diocesi di Termoli-Larino, frequenti sono stati i contatti e la conoscenza di questa piccola parrocchia di circa settecento anime, ricca di uno stupendo monumento qual è la Chiesa Parrocchiale di S. Maria Assunta impreziosita dalle opere di Paolo Gamba, il maggior pittore molisano del secolo XVIII.
Il momento singolare è l'annuale pellegrinaggio di otto giorni che ha il suo punto centrale nella visita al Santuario di S. Michele Arcangelo in Monte Sant'Angelo. Scrive P. Villani nella ricca e documentata nota introduttiva:
“L'intero percorso, chiamato con una espressione di difficile interpretazione il 'rito santuario' o semplicemente ‘il santuario’, è percepito come un unico santuario, di cui la grotta di S. Michele è il momento culminante. Più che a quello di S. Michele, il pellegrinaggio è diretto verso il Santuario del Gargano”.
La singolare esperienza di questo pellegrinaggio si distanzia notevolmente dall'abituale lettura della particolarità che questo momento o gesto della vita del cristiano solitamente esprime.
Nelle pagine che seguono il pellegrinaggio è presentato e vissuto
“come anello importante nel grande pellegrinaggio della vita che ha visto, e ancora vedrà, camminare su queste strade popoli e nazioni, santi e peccatori, tutti verso il punto di incontro con il Signore che viene” (pag. 28).
È un momento che la comunità vive con atteggiamento di penitenza, col desiderio della conversione e con i significativi gesti che lo accompagnano (basta sottolineare il segno del perdono, condizione prerequisita per accedere al luogo santo), e la intensità diuturna della preghiera e delle varie altre devozioni. Un tale itinerario vissuto nella semplicità ma nella profonda verità della sua proposta, opera realmente una vita nuova. Comprendo allora il significato della festosa accoglienza che la comunità riserva ai pellegrini che tornano dal Santuario, dal pellegrinaggio.
“con il suo fortissimo richiamo alla conversione, rappresenta un momento privilegiato di crescita della comunità” un momento che “ha anche il potere di rinsaldare il vincolo interno della comunità, di approfondire i contenuti spirituali nella quotidianità della vita di famiglia e di quella ecclesiale, del lavoro e dell'impegno sociale (...), sviluppando all'interno di un gruppo stabile un continuo confronto, fatto di costante revisione d vita, di correzione fraterna e di partecipazione a un'intensa vita comune” (p. 5).
Un grazie a P. Villani per la fatica e l'impegno che ci garantisce, anche attraverso questa pubblicazione, il legame con quella fede del popolo di Dio spesso sconosciuta o peggio ancora maltrattata. Riprendere qualcosa dei segni e delle preghiere di questo rituale per i nostri pellegrinaggi ‘mordi e fuggi’, ci aiuterà a sentirci legati con una tradizione che segna ancora tanta religiosità delle nostre comunità e a proiettarci sui percorsi di sempre per irrobustire la speranza della fede per l'oggi.
DOMENICO D'AMBROSIO
Arcivescovo di Foggia - Bovino
1. La Via Francesca e i pellegrini al Gargano
La strada che, venendo da San Severo, s'inerpica per la Valle di Stignano lungo la gola del torrente Jana verso San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo e Monte Sant'Angelo, è il testimone muto e fedele di questo salire secolare verso il luogo munito e inquietante dove l'Arcangelo ha lasciato la sua orma.
La letteratura turistica e gli autori delle storie patrie hanno dato a questa strada un nome nobile e suggestivo ‘Via Sacra Langobardorum’, ma il suo nome proprio è ‘Via Francesca’ che appare in scarne reliquie documentarie attinenti l'abbazia benedettina di San Giovanni in Piano presso Apricena, il monastero di San Giovanni in Lamis, attualmente convento di San Matteo a San Marco in Lamis, e quello di San Leonardo alle Marine presso Siponto.
Il primo documento, del 1030, del Catapano Bicciano (Nota 2), cita la Via Francesca relativamente al tratto posto ad est del monastero di San Giovanni il Lamis, fra San Giovanni Rotondo e Monte Sant'Angelo. La conferma di Enrico (Nota 3), conte di Monte Sant'Angelo, del 1095, si riferisce al tratto che corre lungo le pendici occidentali del Gargano fra l'imboccatura della Valle di Stignano e l'abitato di Apricena. Gli ultimi due documenti, del 1134 di Ruggero II (Nota 4) e del 1176 di Guglielmo II (Nota 5), fanno riferimento al tratto della Via Francesca posto ad est dell'abbazia immediatamente dopo l'abitato di San Giovanni Rotondo.
Il nome della strada era utilizzato anche come elemento identifìcativo di tutta la zona posta ai suoi lati, tanto pare che sia deducibile dalla lettura di una risoluzione del papa Alessandro III il quale, chiamato a dirimere una questione di possesso tra l'abate del monastero di Santa Sofia a Benevento e quello di San Giovanni in Lamis, identifica il podere in questione dalla sua collocazione in loco qui dicitur Francisca (Nota 6).
Anche il tratto di strada proveniente dalle pianure del Tavoliere e diretta verso il Gargano attraverso la città di Siponto spesso viene chiamata dai documenti ‘Via Francesca’. Si fa riferimento in particolare ai documenti del Monastero di San Leonardo alle Matine, presso Siponto, fondato nel secolo XI iuxta stratam peregrinorum (Nota 7), chiamata anche ‘Via Francesca’ (Nota 8).
Il tratto garganico e dauno della Via Francesca ha conservato nel tempo, insieme al nome, anche la funzione religiosa che questa antica denominazione rievoca. I suoi santuari si sgranano descrivendo un arco da ovest verso est, e poi ancora da est ben dentro la pianura sconfinata del Tavoliere delle Puglie verso mezzogiorno dove si salda con le altre strade della Capitanata.
Il tratto garganico della Via Francesca è tuttora il più attivo percorso di pellegrini in Italia Meridionale e congiunge, attraversando da ovest ad est il Gargano meridionale, i santuari garganici maggiori (Nota 9).
La prima categoria è costituita dagli eredi delle grandi migrazioni devote del medioevo, legati a questi luoghi secondo rituali secolari che pongono in unica catena e in successione gerarchica i santuari di Santa Maria di Stignano, San Matteo, Monte Sant'Angelo, Santa Maria di Pulsano, San Leonardo a Siponto, l'Incoronata di Foggia. Molte comitive proseguono per Bari dove visitano il santuario di San Nicola.
In questi pellegrinaggi prevale lo spontaneismo con esclusiva caratterizzazione religiosa. Gli interessi economici e altri scopi sono del tutto assenti; l'eventuale utile che si ricava dal pellegrinaggio viene destinato alla festa patronale o alle necessità della chiesa (Nota 10).
I capi-compagnia ordinariamente guidano ogni anno un solo pellegrinaggio, raramente due, ricostruendo quasi sempre lo stesso gruppo degli anni precedenti.
La quasi totalità dei gruppi, eccettuati alcuni provenienti dalle città e dai centri più popolosi, si organizza al di fuori delle strutture ecclesiastiche territoriali, parrocchie e diocesi, ma senza alcuna concorrenzialità con esse. Infatti alla devota comitiva viene riconosciuto un ben preciso ruolo nella vita della comunità, quasi fosse incaricata di rappresentare la totalità della popolazione presso il Santo verso il cui santuario si incammina (Nota 11). In genere il viaggio inizia con la benedizione del parroco in chiesa o al margine del paese alla presenza della popolazione al suono delle campane. Al ritorno i pellegrini vengono accolti con molta festa, suoni di campane, luminarie e spari di mortaretti, sindaco e parroco in testa.
Probabilmente il legame di questi tipi di pellegrinaggio con le confraternite è molto più intimo di quanto a prima vista si possa pensare. Il pellegrinaggio che da San Marco in Lamis s'incammina verso Monte Sant'Angelo alla metà di maggio, anche se aperto a tutti, è, ancora oggi, inteso come emanazione della Confraternita di San Michele Arcangelo di antica fondazione il cui centro è il santuario micaelico garganico. Anch'esso, secondo documenti recentemente venuti alla luce (Nota 13), iniziava il suo cammino con la benedizione da parte del sacerdote e con la consegna dei simboli del pellegrinaggio; proseguiva poi in perfetta autonomia. Sostanzialmente anche oggi, seppur con un rapporto più morbido con i responsabili delle chiese locali, il pellegrinaggio viene realizzato con le stesse modalità dei secoli passati.
Il primo è costituito dalla forte disponibilità delle confraternite all'assistenza ai pellegrini intesa come una delle opere di misericordia. Troia e San Marco in Lamis avevano confraternite il cui compito sociale era ospitare e assistere i pellegrini (Nota 14). Anche molti ospedali per i pellegrini erano gestiti da confraternite. Si può ipotizzare che l'organizzazione confraternale di cui lo stesso pellegrinaggio era dotato, fosse resa necessaria dalla complessità organizzativa del pellegrinaggio stesso e dalle sue spesso imprevedibili necessità imposte dal lungo e non facile cammino. Soprattutto era resa necessaria dall'esigenza di stabilire con le popolazioni dei territori attraversati un forte legame organizzativo, oltre che spirituale. Effettivamente, fino a non molto tempo fa, i pellegrini facevano in qualche maniera parte del quadro culturale e religioso delle popolazioni attraversate. In tale quadro religioso trovava la sua sobria ed efficace collocazione un modesto ma significativo ritorno economico.
Tutto ciò, vissuto con fede, ha il potere di relativizzare molti idoli e spuntare gli artigli a molte paure. Ha anche il potere di rinsaldare il vincolo interno della comunità, di rinverdire la conoscenza di valori condivisi, di puntualizzare gli obiettivi, di scoprire le risorse nascoste.
La seconda categoria mette al centro della propria devozione i santuari di San Matteo e di Santa Maria di Stignano a San Marco in Lamis e della Madonna Incoronata di Foggia. La storia di questi tre santuari evidenzia una forte concatenazione nel medesimo itinerario della Via Francesca, o Via Sacra dei Longobardi, e, insieme, una spiccata e ricca personalità storica e religiosa che li ha nel contempo costituiti centri autonomi di irradiazione religiosa e punti culminanti di un unico percorso devoto.
Il santuario della Madonna dell'Incoronata è il centro di un vero e proprio sistema santuariale con un notevole numero di santuari minori che ad esso si ispirano dislocati lungo tutti i principali fratturi della transumanza.
La terza categoria è costituita da pellegrini di tutta Italia e di molte località straniere diretti alla tomba di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. È un fenomeno recente nato e cresciuto in regime di facilità di trasporti e relativa disponibilità finanziaria. P. Pio esercita un richiamo 'nuovo' e autentico soprattutto fra le popolazioni urbane.