Calzolaio Dal web
Calzolaio Dal web
Il Catasto Onciario del 1742 ci permette di individuare una certa varietà di mansioni - quasi una gerarchia - nell'attività di questo settore artigianale. Dal "lavorante di scarparo" al "solapianelle" allo "scarparo" e al "calzolaio", per finire all'artigiano più qualificato, il "mastro scarparo".
Ci soffermiamo essenzialmente sulla figura del calzolaio, cioè di quell'artigiano che realizzava scarpe di vario genere: scarpe basse, i skarpeine, scarpe con lacci, i skarpe allacceite, gambaletti, i skarpe a ggammalètte, mezzi stivali, i mizze stuele, stivali, i stuele, scarpe eleganti da passeggio, i skarpe de lusse, e scarpe più robuste per la campagna, i skarpe de faure.
Il cuoio e le altre pelli necessarie - vitello, capretto, mucca dura - venivano acquistati presso due magazzini all'ingrosso locali, uno di Michele Noè e l'altro di Cesare Azzollino.
La realizzazione di una scarpa iniziava dopo aver preso le misure - con strisce di carta - della lunghezza del piede, della forma e larghezza della pianta, dell'accollo. In base alle misure il calzolaio sceglieva la forma di legno, la forme de lègne, più adeguata, fra le tante che aveva in dotazione, diverse per genere e per numero. Sulla forma si montava prima la base o pianta, in cuoio più spesso, il calcagno, u forte, e la mascherina o cappelletto, la ponte de la skarpe, in cuoio più sottile, bagnando in precedenza la pelle in modo da farla asciugare già montata sulla forma stessa. L'asciugatura impegnava alcune ore. Tutto intorno con l'ago e lo spago, di varia doppiezza (a 5-6 capi per le scarpe normali, a 8 capi per quelle da campagna), veniva cucito il guàrdolo, u guarduncille, una striscia sottile di cuoio. Successivamente, veniva montata la tomaia, che veniva prima ritagliata - con il trincetto, u kurtidde - su un modello di cartone (il calzolaio ne aveva una ricca serie che modificava secondo le esigenze), quindi veniva tirata e modellata sulla forma, sulla quale veniva inchiodata con chiodini, i spengulèlle, di diversa misura, a seconda del tipo di scarpe.
Calzolaio Dal web
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Seguiva la montatura della suola, in tre fasi.
Si iniziava con la messa in opera dello strato più interno, quello a contatto del piede, in cuoio leggero. Poi si inseriva - come intercapedine - uno strato di cuoio più sottile, u sckeime. Infine, si montava quello più esterno, a contatto con il suolo, in cuoio di maggiore spessore.
La scarpa veniva terminata con la montatura dei tacchi, il cui taglio andava levigato, insieme a quello della suola, con il biségolo. Si passava, poi, cera calda, stendendola con la liscia, u péte de purke, mentre la tomaia veniva lucidata con una vernicetta nera o marrone.
Sformata la scarpa, si rendeva la suola più sicura passandovi della cera.
I lacci, soprattutto quelli più grossolani e resistenti per le scarpe da campagna, si ottenevano con strisce sottilissime di pelle di mucca che, passate sotto il ferro da stiro a freddo, si attorcigliavano a mò di spago.
Oltre quelli già citati, numerosissimi erano gli arnesi che il calzolaio usava e che teneva in ordine sul deschetto, u vanghetidde du skarpere, tra i tanti ricordiamo: la raspa, la raspe; il punteruolo, u puntareule; la lesina, l'assugghije; pinze di varie misure e per occhielli, i ppinze; tenaglie, i ttenagghije; il martello, u martidde di skarpere; il marcapunti; gli aghi; rotoli di spago di varia doppiezza; il salvapunti di ferro; il ferro a lingua; il piede di ferro; lo scatolino della cera, u sckatelidde e la cere.
Fra i calzolai ricordiamo: Antonio Cascella, Ruggero Divito, Michele Granato, Matteo Milazzo, Pietro Pugliese, Michele Pierno (fornitore di scarpe, gambali e stivaletti dei vigili urbani di Cerignola), Martino Russo.