Le grandi inchieste agrarie come fonti museografiche
La funzione espositiva che, fino agli anni Cinquanta, era ritenuta preminente per i musei etnografici e/o demologici, come in genere per tutti i musei, imponeva una rappresentazione geografica, tipologica o simbolica delle cose pertinenti in una determinata area, prescindendo per lo più da ogni precisazione temporale del loro uso. Ancora meno avvertita era l'esigenza della loro contestualizzazione. Ne consegue che l'attrezzo di lavoro o l'oggetto domestico, pur quando era indicato con il Suo nome dialettale e/o popolare, risultava muto.
Erroneamente si tendeva, (nei casi migliori) a seguire il modello degli atlanti linguistico-etnografici, nei quali, in effetti, le cose hanno avuto un ruolo meramente esplicativo e strumentale rispetto alle parole: queste sì, ed esse soltanto, venivano svolte e presentate nella dinamica delle loro Trasformazioni.
Alle cose si attribuiva un mutamento graduale pressoché omologato (in luoghi e tempi diversi, secondo il vecchio quadro concettuale della scuola antropologica inglese; senza considerare le differenziazioni non lineari, diacroniche e sincroniche, dovute alle funzioni pratiche e semantiche (usi e simboli) a cui le cose devono diversamente rispondere. Perciò, ad esempio, di un aratro, di un cassone o un telaio si esponevano campioni in serie seguendo la successione cronologica del loro impiego; per far notare l'evoluzione del tipo, dal più semplice al più complesso, dalla forma artigianale a quella meccanica. Il che dava solo un'apparenza di storia alle cose, la cui effettiva dinamica è legata non tanto alla storia delle ere o fasi etnologiche quanto a quella locale dell'illic et tunc, connessa con le condizioni fisiche, ambientali, economiche e sociali, che di fatto hanno determinato i processi di trasformazione delle cose stesse, in relazione diretta con l'uso che se n'è fatto. La rappresentazione museografica deve, insomma, contenere ed esprimere la storia di vita e di lavoro che si è svolta in una data area entro un dato tempo cronologico: quello che si proietta direttamente sul presente e che può essere ricostruito attraverso le fonti scritte e orali è circoscrivibile tra il XVIII e XIX secolo.
In tale prospettiva le relazioni sulla Capitanata, in cui è compreso il territorio di Cerignola, redatte per le grandi inchieste agrarie compiute nell'Italia meridionale dal '700 al '900 occupano un posto di rilievo tra le fonti scritte servibili al nostro scopo. Tanto più se si considera la posizione peculiare della Capitanata, rispetto alle altre province del Regno di Napoli (attuali sub-regioni), per la duplice funzione che ha svolto come maggiore fornitrice di produzione cerealicola e come centro propulsore di una pastorizia transumante attivissima nei suddetti secoli.
Si tenga conto altresì che le inchieste agrarie costituiscono l'asse portante di una assai ricca documentazione archivistica che dimostra quanto sia stata penetrante e incisiva in Capitanata l'osservazione dall'alto, compiuta attraverso l'ottica statale, per la misurazione dei livelli demografici e statistici e per la prospezione, a cui non sempre è seguita l'auspicata regolamentazione, della dinamica economica e sociale.
Le grandi inchieste agrarie
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