Presentazione di La Via Sacra Langobardorum a cura di Pasquale Corsi, Foggia, Edizioni del Rosone, 2012. S. Marco in Lamis, Liceo Giannone' 23 gennaio 2013 |
Una delle affermazioni a cui, qui a San Marco, si è oltremodo affezionati è che il nostro Santuario di S. Matteo, già abbazia benedettina di S. Giovanni in Lamis, sia stato fondato dai Longobardi nel 567. Il nostro P. Diomede Scaramuzzi nel suo libretto Il Santuario di S. Matteo sul Gargano, stampato nel 1909, munì la pretesa data di fondazione di S. Matteo di un vistoso punto interrogativo, sembrandogli alquanto inverosimile che i Longobardi fondassero l’abbazia di San Giovanni in Lamis un anno prima di varcare i sacri confini della patria. Meglio e più ha scritto un redattore di pubblici avvisi secondo il quale i Longobardi, avendo già fondato, dieci o venti anni prima del 567 d.C., il monastero di S. Giovanni in Lamis, in quella data lo donarono ai Benedettini. Insomma: sembra che da queste parti non si possa fare a meno dei Longobardi supposti, dimenticando tuttavia i Longobardi veri i quali, avendo lasciato anche nella nostra cittadina notevoli tracce nella lingua e nei costumi, meriterebbero ben altra attenzione.
Non si sa quando i Longobardi siano stati inseriti a forza nella toponomastica garganica. La letteratura locale fino ai primi decenni del sec. XX non fa alcun cenno alla locuzione Via Sacra dei Longobardi, in seguito assunta a nome proprio del tratto di strada da Stignano a Monte Sant’Angelo. Forse non è il caso, essendo i nomi a detta del Manzoni solo puri purissimi accidenti, di discutere oltre un certo limite se questo nome sia dotato o meno di dovuta legittimità, o se, invece, sarebbe più opportuno ripristinare l’originario nome di Via Francesca, che dispone peraltro di solida documentazione.
Personalmente penso che oggi sia molto più importante chiarire gli elementi che storicamente hanno provocato la nascita della strada e il suo perdurare nel tempo, nonché il suo significato per la storia civile e religiosa del Gargano. Gli Atti del convegno celebrato a Monte Sant’Angelo tra il 27 e il 29 aprile 2007 tentano di rispondere all’interrogativo con una serie di ricerche che, pur non ricoprendo per intero la vasta gamma delle suggestioni, danno importanti contributi alla conoscenza della Via e del ruolo da essa svolto nel corso dei secoli. Nello stesso tempo danno notevoli puntualizzazioni sulla metodologia di approccio all’argomento.
La Via è la protagonista del libro perché è la protagonista del pellegrinaggio. Il santuario è la meta, il sito dove il pellegrino realizza il suo scopo che è l’incontro con Dio. Il luogo dove il fedele inizia e completa il suo processo di maturazione spirituale è la Via. Su di essa, quindi, il pellegrinaggio si sviluppa nella forma e nella misura che l’ambiente umano, spirituale, culturale e fisico gli propone.
A questo proposito è utile rievocare la radice linguistica della parola pellegrino dal latino externus peregre adveniens, l’estraneo che arriva camminando per i campi. Il pellegrino, come il vagabondo che dal contado aspirava all’asilo delle munite città romane, spesso non ha modo di scegliersi l’itinerario, ma cammina per tentativi o seguendo le esperienze di chi lo ha preceduto. I campi gli offrono qualche frutto da mangiare, qualche grotta dove rifugiarsi, ma anche insicurezza e pericoli in quantità, come ancora oggi succede lungo la SS. 272, erede della Via Francesca. Aggiungo che questa non è storia definitivamente vecchia, ma è un aspetto del pellegrinaggio molto attuale e in netta crescita. E con questo intendo riferirmi esclusivamente ai veri pellegrini, non ai camminatori o scopritori di paesaggi e di prodotti tipici che sono un’altra cosa.
La Via, allora, non è solo struttura logistica che consente di transitare da un luogo all’altro. È percepita, invece, come criterio interpretativo di una realtà polimorfa che abbraccia la vasta gamma del vivere: dai bisogni materiali della sopravvivenza, a quelli spirituali, dagli insediamenti urbani agli eremi, dall’architettura rurale ai linguaggi. Il tutto prodotto e interconnesso da un universo umano liquido, perpetuamente in movimento, fluttuante tra la roccia del promontorio e le molte regioni italiane e straniere di cui il Mons Sancti Angeli era ed è ancora centro spirituale. La Via Sacra dei Longobardi è il luogo del movimento e dello scambio.
È emblematico il fatto che le antiche carte geografiche presentino col nome di Monte Sant’Angelo non tanto la omonima città, quanto l’intera montagna garganica, intesa come punto di arrivo e di partenza. E tutto questo sviluppato in un arco temporale che va dalla più remota antichità ai tempi nostri.
È utile rammentare che la nostra Via Sacra Langobardorum è il grande collettore di pellegrini e di varia umanità provenienti dai luoghi più disparati dell’Italia e dell’Europa condotti nel Tavoliere da una miriade di strade provenienti da nord, da ovest e dal meridione. I popoli che nei secoli l’hanno percorsa hanno forgiato il paesaggio rurale e cittadino, umano, culturale e religioso che si snoda lungo la profonda fenditura che da Stignano a Mattinata separa il Gargano meridionale dalla zona settentrionale.
In qualche maniera qui tutto è figlio della strada e questa storia è raccontata dalla strada stessa. A Stignano si narra dei pastori abruzzesi, del loro faticoso andare e fidente affidarsi alla Vergine dell’albero. I molti eremi sparsi nella vallata di Stignano, di Pulsano e di S. Matteo narrano di uomini e donne di stampo superiore provenienti dalle regioni italiane ed europee dediti alla preghiera e alla contemplazione. Molti dei loro nomi sono conosciuti, come il beato Giovanni da Matera, S. Guglielmo da Vercelli, il beato Giovanni da Tufara. A S. Matteo si vive un momento esaltante fatto di finestre aperte su uno scenario vasto. Qui il Gargano, fecondato dalle presenze benedettine e francescane, apre la sua aridità, apparentemente fredda e chiusa, alla grande storia del mondo. E poi c’è la Grotta dell’Arcangelo Michele dove oriente e occidente s’incontrano, cielo e terra si toccano, popoli e lingue diverse provenienti dai quattro venti s’incontrano e si pacificano. Qualcuno può anche pensare che queste cose appartengano a un mondo definitivamente trascorso e che qui noi stiamo celebrando fasti di archeologico sapore.
Non è così. Infatti la Via Sacra dei Longobardi si rigenera e attua nuove strategie, come è accennato in vari luoghi degli Atti di questo convegno. Nei tempi moderni la funzione propria della Grotta dell’Arcangelo è svolta anche dal santuario di P. Pio a San Giovanni Rotondo. Gli altri santuari, da parte loro, hanno troppo ben presente il senso della storia e del suo evolversi per cadere nella trappola di un linguaggio obsoleto e intraducibile. Se ci sono delle realtà che non fanno fatica ad essere moderne, queste sono i santuari del Gargano, come è stato sottolineato a più riprese in questo convegno.
La nostra è una strada che raccoglie e rilancia, benché si articoli su un percorso difficile, stretto, pietroso e pieno di pericoli.
Nel corso degli Atti appena pubblicati viene spesso evocata la singolarità di questa via che focalizza la mente dei viandanti sull’incontro con Dio nell’antro misterioso dell’Arcangelo Michele. Questo incontro, però, non è concepito come il punto finale della storia; bensì come la conclusione di un lungo itinerario e l’inizio di un’altra storia. Al reditus, il rientro nella casa del Padre, segue l’exitus, l’uscita per le vie del mondo per portare dappertutto il nuovo annuncio. Questo è, in fondo, il cuore del pellegrinaggio. Che sia religioso o non religioso, ogni pellegrinaggio si svolge fra ritorni e partenze fin quando i fili della vita non saranno riuniti in unica tessitura.
La strada è il testimone non inerte di questo andare e venire. Il suo percorso è infatti costellato di luoghi che ricordano peccati e conversioni, incontri e progetti. I santuari posti in fila lungo il percorso costituiscono un itinerario di maturazione umana e spirituale. Nel contatto con i personaggi da cui i santuari prendono nome, i pellegrini, ma anche il non credente, toccano con mano la realtà della vita. La Vergine Madre di Dio, S. Matteo, Padre Pio, S. Giovanni Battista, il beato Giovanni da Matera, S. Leonardo abate sono personaggi veri. Questa è la strada di Ottone III e di Enrico il Santo, di S. Camillo de Lellis e di S. Francesco. Il pellegrino si specchia nella loro vita e riprogetta la sua. E, d’altra parte, questi personaggi gli propongono l’ottimismo del vedere e del vivere nonostante le difficoltà e le crudezze dell’esistenza. I pellegrini, poi, con una serie nutrita di croci, edicole, luoghi appositamente segnati, scandiscono l’intero percorso con i segni della preghiera, del perdono dato e ricevuto, della gioia dell’arrivo e dell’addio sereno e fidente.
Il prof. Corsi sottolinea, quindi, l’esistenza di un complesso “di elementi storici e geografici che fanno del percorso esaminato un unicum di eccezionale rilevanza culturale”. Perciò la Via Sacra dei Longobardi va assunta e vissuta nella sua interezza come un unicum che rappresenta, insieme, l’identità del nostro Gargano e il suo compito.
Credo che questo libro sia il primo tentativo serio di analisi di una realtà che, nonostante i suoi molti estimatori, resta sostanzialmente sconosciuta. L’ignoranza e il dilagare dei luoghi comuni di stampo consumistico stanno spingendo la Via Sacra dei Longobardi in un limbo interpretativo in cui pare che gli unici elementi che risplendono in tutta la loro oscura chiarezza siano quelli che lo scrittore di Rodi, Giuseppe Cassieri, chiama i giubilanti.
È necessario operare con una dose supplementare di chiarezza e decisione a cominciare da una conoscenza più puntuale e corretta.
Credo, quindi, che le molte linee di ricerca proposte in questo libro debbano essere coltivate ulteriormente. Penso, a titolo di esempio, al saggio di Adriana Pepe su Architettura e arte figurativa rinascimentale in area garganica, S. Maria di Stignano. Leggendolo non si può non desiderare di allargare la ricerca alle aree del subappennino settentrionale e a tutte le zone interessate dal fenomeno della transumanza la cui parentela col mondo garganico della Via Sacra dei Longobardi in molte emergenze appare evidente.
La ricerca sugli aspetti artistici è tuttavia legata strettamente agli scambi devozionali all’interno delle zone interessate alla transumanza. Tra le altre, mi sembra particolarmente interessante l’iniziativa dell’Asvir Moligal di Campobasso, capofila di una iniziativa internazionale che tende a rivitalizzare i tratturi e la civiltà ad essi associata coinvolgendo i luoghi della Via Sacra dei Longobardi insieme a tutte le realtà che insistono sul percorso da Monte Sant’Angelo a Campo Imperatore in Abruzzo. Tale progetto, di durata decennale, candida la rete tratturale delle regioni meridionali a patrimonio materiale ed immateriale dell’Unesco. Anche se la Via Sacra dei Longobardi, da Stignano a Monte esula dai percorsi della transumanza, l’Associazione ha voluto che fosse presente nel progetto esclusivamente per la forza della religione che ha unito nei secoli garganici, molisani e abruzzesi con la devozione a S. Michele, a S. Matteo e alla Vergine Incoronata di Foggia. Gli studi sulla devozione dei transumanti per l’Incoronata e per S. Michele sono ormai consolidati. Le ricerche in corso riguardano per lo più la devozione dei transumanti per S. Matteo. I risultati ottenuti comprovano la forte presenza dello spirito della Via Sacra dei Longobardi anche in regioni lontane. D’altra parte, nonostante l’enfasi che negli ultimi anni si è riservata alla cosiddetta Via Francigena del Sud, bisogna prendere atto che fino alla metà del secolo scorso, fin quando non è esploso il fenomeno di Padre Pio, la maggior parte dei pellegrini che percorrevano la Via Sacra dei Longobardi provenivano tutti dalle zone della transumanza.
Altra pista che mi sembra degna di essere ulteriormente coltivata è quella dell’ambiente fisico che Federico Boenzi ha trattato nel saggio iniziale come elemento condizionatore dell’insediamento umano. Ma l’ambiente fisico è anche un grande laboratorio da cui emergono una grande quantità d simboli densi di significati religiosi. La montagna, le valli, gli orridi, le grotte, i prati ameni e fioriti, le fonti, i ruscelli sono stati sempre elementi importanti nel linguaggio di molte religioni, basti pensare alla Bibbia, alle religioni mesopotamiche. Dalla storia del cristianesimo emerge la forza simbolica e evocativa dell’ambiente fisico. L’altezza solitaria della montagna garganica, il suo essere punto di arrivo e di partenza per i viaggiatori di terra e di mare induce Marcello Cavaglieri, nel suo Pellegrino al Gargano, collegandosi con la Bibbia, ad affermare che Dio ha posto sul Monte Gargano la sua casa perché tutti, dai quattro angoli della terra possano vederla e desiderarla. Il Gargano, a suo modo di vedere, è costituito Monte di Dio prima e indipendentemente da S. Michele, da P. Pio e dagli altri Santi. Cogliamo in questa suggestione del Cavaglieri un elemento che ha attraversato tutta la storia devozionale del Gargano e della Via Sacra dei Longobardi: il pellegrinaggio è diretto al Gargano, inteso come unico grande santuario di cui la Grotta di S. Michele è il punto culminante. Il Rituale di Ripabottoni lo dice chiaramente.
I santi del cammino, anch’essi servi di Dio, sono le guide e difensori del pellegrino. Il cammino, infatti, è faticoso, difficile e pieno di pericoli; dove è facile incontrare serpenti e grassatori di strada. I santuari della Via sono luoghi di sosta, muniti e sicuri dove il viandante prega e riposa in tranquillità, e da cui, rifocillato e incoraggiato, riprende il suo cammino.
Si coglie a questo punto il significato primigenio della parola sanctuarium utilizzata in primis per designare l’angolo più riposto e sicuro della casa imperiale dove si conservava l’archivio privato dell’imperatore, le sue carte più riservate e preziose. Plinio il Vecchio riferisce che Pompeo entrò nel sanctuarium di Mitridate VI Eupatore re del Ponto dopo averlo sconfitto nel 63 a.C. In quella stanza segreta Pompeo trovò un libro su cui il re di propria mano aveva scritto la composizione dell’antidoto che gli aveva permesso di vivere nonostante i molti tentativi di avvelenarlo perpetrati dai suoi molti nemici. La parola designava, parimenti, le mura e le porte della città, gli edifici civili e religiosi la cui inviolabilità e sicurezza erano garantite e sancite (da cui sancta) da apposite leggi. Probabilmente i santuari della Via Sacra dei Longobardi nella loro fase iniziale erano intesi come asili sicuri dei pellegrini. In seguito, soprattutto per la presenza dei grandi ordini religiosi, divennero importanti luoghi di culto e, quindi, santuari nel senso moderno.
P. Mario Villani
S. Matteo 23 gennaio 2013