Finalmente nel 1939 il Santuario ritornò sotto la piena giurisdizione delle autorità ecclesiastiche. Il vescovo mons. Fortunato Maria Farina zelò l'onore di Dio riportando il Santuario dell'Incoronata alla primitiva funzione di Casa di Dio particolarmente cara al popolo cristiano per la speciale presenza della Vergine Madre di Dio.
Nel 1950 lo stesso mons. Farina, affidò ai Figli della Divina Provvidenza, fondati da don Luigi Orione, la custodia del Santuario. Da quell'anno la vita del Santuario crebbe in continuazione. Le popolazioni vicine avvertirono subito il benefico influsso dei Figli di Don Orione che avevano riportato lo spirito di preghiera, la dedizione ai pellegrini, il continuo dono di sé a tutti i devoti della Madonna, tutte cose che avevano caratterizzato la vita del santuario nei secoli passati quando nel bosco risuonava il salmodiare dei benedettini di Montevergine e dei cistercensi. I pellegrinaggi aumentavano per cui la vecchia chiesa divenne insufficiente.
Dopo una lunga fase di studio, nel 1953, si decise di realizzare il progetto dell'ing. Luigi Vagnetti di Roma. I lavori andarono avanti fra alterne vicende per oltre dieci anni. Finalmente nel 1965 il nuovo tempio, con il suo alto campanile era una realtà bella e consolante.
La nuova basilica si erge solitaria nell'antico bosco di querce a vegliare sul Tavoliere delle Puglie, ricco di grani, olivi e vigneti. Il complesso del Santuario esprime una felice sintesi fra elementi simbolici e strutture architettoniche tipiche del territorio. La grande area recintata, di cui il santuario è il centro, ispira il senso dell'arrivo e dello stare nella quiete piena di pace della casa di Dio. Ricorda anche gli stazzi, numerosi una volta intorno al bosco dell'Incoronata, disposti a corona intorno alle grande masserie, in cui trovavano rifugio le greggi di pecore dei pastori abruzzesi.
Fra i grandi Santuari mariani della Puglia, quello dell’Incoronata esprime meglio l’attesa operosa e lungimirante della Chiesa di vedere tutti i suoi figli intorno a lei, felici negli atri del Signore. E' la rappresentazione visiva della maternità di Maria e della Chiesa che tutti aspetta, tutti riceve nel suo seno provvido e materno.
L’altissimo campanile è, insieme, segno felice del trionfo della croce, preghiera che s’innalza solenne, voce della madre Chiesa che chiama.
Intorno le opere del Santuario, della Parrocchia e dei Padri Orionini fanno corona alla chiesa. Il complesso, pur attraverso una modernità di linee e di soluzioni, esprime mirabilmente una storia che, iniziata mille anni addietro, si concluderà solo quando i lontani saranno diventati vicini, quando i dispersi avranno trovato la via del ritorno, e i pellegrini del mondo saranno finalmente nella beata pace del Signore.
Nel segno della continuità spirituale con i padri che l’hanno fondato e frequentato in questi mille anni, il santuario conserva gelosamente tutto un patrimonio di tradizioni legate al particolare culto della Madonna. Fra le tradizioni ricordo la vestizione della Madonna che avviene il mercoledì precedente l’ultimo sabato di aprile.
Degna di nota è anche la Cavalcata degli Angeli che si svolge il venerdì successivo alla vestizione della statua. Vuole riproporre il tripudio angelico che aveva riempito la selva di canti e luci nella lontana notte di aprile del 1001 quando la Vergine apparve al conte di Ariano e all’umile e privilegiato Strazzacappa. Cavalli superbamente bardati, ornati di lustrini e campanelli, insieme a centinaia di fanciulli vestiti da angeli, da santi e da fraticelli girano per tre volte intorno al santuario in mezzo a decine di migliaia di fedeli che accompagnano il corteo col canto di antiche laudi.
Oggi i pellegrinaggi si esprimono con maggiore sobrietà. Una volta, invece, la gente umile più che con le parole, amava parlare col Signore attraverso la plasticità del gesto e il linguaggio dei simboli. Quando i pellegrini, arrivavano al ponte sul Cervaro o, per quelli che arrivavano da mezzogiorno, alla confluenza del tratturo con la ferrovia per Potenza, usavano togliersi i calzari e percorrere gli ultimi due chilometri a piedi nudi. Era un gesto di umiltà fatto nel ricordo di Mosè a cui sul monte Oreb il Signore aveva comandato 'togliti i sandali perché il suolo che calpesti è terra santa'. I luoghi ove i pellegrini si toglievano i sandali venivano detti 'scalzatori'.
Ora questa usanza, insieme ad altre pratiche penitenziali, non c’è più. E’ rimasto il triplice giro che ogni compagnia compie intorno al Santuario prima di entrarvi. E’ un ulteriore atto di omaggio alla Vergine Celeste, quasi un’anticamera, prima di chiedere umilmente il permesso di essere ammessi al cospetto della Regina del Cielo.