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Presentazione del volume di fra Riccardo Fabiano Padre Benedetto Nardella da San Marco in Lamis (1872-1942), Pedagogo e Maestro Ministro Provinciale Cappuccini, direttore Spirituale di Padre Pio.
San Marco in Lamis, Biblioteca civica, 29 maggio 2012, h. 18,30

p. Benedetto Nardella, frate cappuccino e confessore di Padre Pio
p. Benedetto Nardella, frate cappuccino e confessore di Padre Pio
Padre Benedetto Nardella e il contesto religioso di San Marco in Lamis
La vita di P. Benedetto Nardella si è svolta dal 1872 al 1942, in un periodo storico denso di avvenimenti drammatici e trasformazioni epocali sia per la chiesa che per la società.
Nel 1873 l’Italia si era politicamente riunificata da 12 anni, ma l’unità culturale e umana ancora non emetteva i suoi primi vagiti. La nostra Capitanata, da poco uscita dal triste fenomeno del brigantaggio, era ancora caratterizzata da incertezza e confusione politica e amministrativa dovuta alle novità delle leggi e degli organismi statali, alla fragilità della organizzazione sociale, al persistere di blocchi mentali atavici a cui se n’erano aggiunti altri portati dai nuovi governanti. Foggia, privata della sua antica tradizione produttiva e commerciale dovuta alla transumanza delle greggi abruzzesi, era declassata nel nuovo ordinamento statale al rango di centro amministrativo di una provincia secondaria.
Le cose non andavano meglio per la Chiesa.
Dopo la perdita di gran parte dello Stato Pontificio annesso al Regno di Sardegna, il Papa era stato privato, nel 1870, anche della città di Roma. La breccia di Porta Pia, il 20 settembre di quell’anno, aveva innescato la fase più dura e confusa della Questione Romana. Il problema si era ingrandito e spostato dall’aspetto puramente politico a quello teologico. Non si trattava più di discettare sulla legittimità della occupazione dello Stato Pontificio da parte del Regno di Sardegna, ma di salvaguardare l’indipendenza del Sommo Pontefice nell’esercizio del suo ministero. Si trattava, soprattutto, di chiarire se l’autorità del Papa derivasse dalla benevola concessione dello Stato Italiano, o avesse le sue radici altrove. In effetti, il Papa rischiava di diventare un vescovo italiano, soggetto alle leggi italiane, al controllo delle autorità italiane. La storia della Chiesa ci dice che il timore viene da lontano. Lo troviamo già nel secolo VIII quando il Papa Stefano II, nel 754, stringe un patto con Pipino il Breve per evitare di diventare un vescovo longobardo. Lo ritroviamo nella prima metà del sec. XIII, quando i Papi Innocenzo III, Onorio III e Gregorio IX lottano contro l’autoreferenziale supremazia di Federico II di Svevia sullo stesso Papa. Lo troviamo parimenti nella millenaria distinzione tra chiesa cattolica e chiese ortodosse orientali acefale e con forte radicamento sui territori nazionali.
La locandina della presentazione del volume su padre Benedetto Nardella
La locandina della presentazione del volume su padre Benedetto Nardella
Si aggiunga che spesso tale delicata materia era trattata da personaggi ignoranti e gonfi delle ideologie anticlericali alla moda, che parlavano con decisione e autorità di cose di cui erano perfettamente ignari. La nostra Provincia di Capitanata era in questo assolutamente privilegiata avendo avuto come dirigenti diversi di questi personaggi.
Ne derivò una pericolosa incertezza nella legislazione del nuovo Stato, in dubbio se accettare in pieno il principio della separazione netta fra Stato e Chiesa, o affermare la pretesa di imporre alla Chiesa controlli che spesso ne paralizzavano la missione.
Tutto ciò, se lasciava sostanzialmente estranei i buoni fedeli cattolici, perfettamente ignari di quanto stava succedendo, non risparmiava, invece, i vescovi e i religiosi.
A farne le spese fu il primo vescovo di Foggia, mons. Bernardino Maria Frascolla, la cui odissea è da tutti conosciuta. Poi toccò al vescovo di Bovino, mons. Alessandro Cantoli, privato del seminario, dei mezzi di sussistenza e dello stesso episcopio.
Naturalmente tutto ciò si rifletteva anche sul basso clero, quello che, a stretto contatto col popolo, viveva, insieme ad esso, una realtà fatta di piccole cose e di grandi difficoltà, aduso ad accomodarsi realisticamente all’evolversi degli avvenimenti.
San Marco in Lamis, da parte sua, stava attraversando il difficile passaggio dall’autonomia abbaziale all’ordinario regime della giurisdizione vescovile.
Il convento di san Matteo coperto di neve.
Il convento di san Matteo coperto di neve.
L’ente feudale Abbazia di San Giovanni in Lamis, dichiarato di Regio Patronato nel 1782, restava in piedi come Abbazia Nullius, affidata a un vicario, integrata per la potestà di Ordine nella Diocesi di S. Severo. Nel 1818 il nuovo Concordato tra il Regno delle Due Sicilie e la Santa Sede abolì definitivamente questa particolare giurisdizione dell’Abbazia Nullius e inserì l’intero territorio della defunta Abbazia nella diocesi di Manfredonia. Seguirono altre discussioni ed episodi antipatici che si protrassero ancora.
Questi complicati trasferimenti della responsabilità della conduzione religiosa avevano suscitato malumori, insieme alle inevitabili confusioni, nel clero e tra gli abitanti di San Marco. I quali, tuttavia, avendo saputo, tra il 1840 e il 1850, che si stava lavorando per costituire la nuova Diocesi di Foggia, cominciarono a fare progetti e a porre premesse per aiutare la fortuna. A Foggia la presenza di preti sammarchesi era già rilevante. Uno di questi, il Can. Ciavarella, era segretario del Vescovo di Troia Mons. Antonino Manforte e, mentre Sua Ecc. brigava con Roma perché s’istituisse la nuova Diocesi, il suo segretario si dava da fare perché i dirigenti e il popolo sammarchese si convincessero che era meglio per loro essere incorporati nella diocesi di Foggia che restare in quella di Manfredonia. Ci fu perfino un ordine del giorno dell’Amministrazione Comunale. Nel 1855 fu istituita la Diocesi di Foggia comprendente i due centri di Foggia e San Marco in Lamis.
p. Agostino Daniele da S. Marco in Lamis, frate cappuccino e padre spirituale di Padre Pio
p. Agostino Daniele da S. Marco in Lamis, frate cappuccino e padre spirituale di Padre Pio
L’inserimento di San Marco nella nuova diocesi di Foggia avrebbe dovuto provocare nella mente dei suoi cittadini un diverso modo di pensare. Si ricorda che uno dei primi atti del primo vescovo di Foggia, Mons. Frascolla, nei confronti dei sammarchesi fu la condanna di una tradizione fortemente offensiva per la dignità delle donne.
Se un giovane voleva costringere al matrimonio una ragazza che gli si rifiutava, poteva risolvere la faccenda con le spicce. La domenica mattina s’appostava, spalleggiato da amici, nei pressi della chiesa dove sapeva che la ragazza andava a Messa. Quando la giovane usciva, con rapida corsa le strappava dalle spalle il fazzoletto e i giochi erano fatti. La ragazza, compromessa, era costretta a sposarlo. Il vescovo stigmatizzò duramente l’usanza la quale, tuttavia, continuò ad essere praticata per lungo tempo. Lo scrittore milanese Antonio Beltramelli, che visitò i nostri luoghi nel 1907 (il viaggio del Beltramelli sul Gargano è del 1905. Il 1907 è l'anno di pubblicazione del suo libro. NdR), ne parla con gusto nel suo libro dedicato al Gargano. In tutti i casi, l’usanza si estendeva a tutto il Gargano, tanto che il vescovo di Lucera Mons. Di Girolamo, nella seconda metà del sec. XIX, ne parlò in una lettera pastorale.
Per dirla in breve, la giovinezza di P. Benedetto Nardella si è articolata in un ambiente sociale e religioso fortemente caratterizzato da instabilità e mancanza di chiarezza progettuale, dove si accavallavano rapidamente fenomeni sociali, politici e religiosi contraddittori, tipici dei periodi di passaggio dal vecchio al nuovo.
Nel 1866 il Governo della nuova Italia unita emanò il provvedimento di soppressione degli Ordini Religiosi. I Frati furono semplicemente cacciati dai conventi di S. Matteo, di Stignano e dal vicino convento cappuccino di Santa Maria delle Grazie in San Giovanni Rotondo. I Frati erano autorizzati a portare con sé qualche effetto personale, tutto il resto, libri, archivio, opere d’arte, mobili, provviste rimanevano in convento, diventato proprietà dello Stato.
Non passò molto tempo che i conventi furono spogliati di tutto.
L'area circostante il convento di san Matteo.
L'area circostante il convento di san Matteo.
Sorte peggiore toccò ai frati, rimasti senza casa e senza mezzi di sussistenza. Alcuni diventarono preti e furono incardinati nelle diocesi, altri trovarono rifugio in famiglia, altri per sopravvivere facevano i contadini e i mandriani, altri vagavano senza meta. Per tutta la seconda metà del sec. XIX il problema dei conventi rimasti senza frati fu oggetto di dibattiti e tentativi vari. Qualche anno dalla sua chiusura, il convento di S. Matteo si rivelò un cattivo affare per i nuovi padroni. Troppo lontano dai centri abitati, senza una comoda via d’accesso, mostrava tutti i suoi anni con rughe e crepe che s’ingrandivano sempre più. Si pensò di farne un ospedale, poi qualcuno pensò di trasferire l’Orfanotrofio Maria Cristina di Foggia. Il Demanio lo cedette al Comune di San Marco. Ma anche il Comune non sapeva che farsene; in un reparto alloggiò le Guardie Forestali, il resto fu abbandonato alle serpi e ai rovi. La chiesa andava in rovina, le splendide tele del Solimena erano sparite insieme a tutto l’antico arredo, la biblioteca, il ricchissimo archivio. Lo spigolo occidentale del convento scivolava a valle.
Autoritratto di Francesco Solimena
Autoritratto di Francesco Solimena
Nessuna delle soluzioni andava bene. Intanto sia i frati Minori di S. Matteo che i Frati Cappuccini di San Giovanni non stavano con le mani in mano. Aiutati sottobanco dalle autorità comunali e con l’aperto favore delle popolazioni, alcuni Frati erano rientrati nei conventi come cappellani. Un frate laico di San Marco comprò l’orto e il boschetto di S. Matteo.
Tra il 1891 e il 1898 ci fu un episodio importante che, in qualche modo, aiutò le autorità a prendere le decisioni. Da poco S. Giovanni Bosco aveva fondato la sua Società Salesiana. Le istituzioni educative salesiane si moltiplicavano in tutta Italia. Il Comune di San Marco, su sollecitazione di un sacerdote del paese, avanzò presso i superiori salesiani la proposta di istituire anche a San Marco, nel convento di S. Matteo, un collegio per l’educazione della gioventù. Era una buona proposta, ma i superiori salesiani volevano vagliare la situazione in considerazione della posizione del convento, non propriamente comoda per gli usi che si prospettavano. C’era, in tutti i casi, un’altra difficoltà. Il convento di S. Matteo, benché privato dei suoi Frati con la forza della legge italiana, dal punto di vista del Diritto Canonico, restava pur sempre legato all’Ordine dei Frati Minori. Non poteva, quindi, essere ceduto ad altre congregazioni religiose senza il consenso della Santa Sede, la quale non l’avrebbe dato senza l’approvazione dei Superiori Generali dell’Ordine Francescano. Il ministro Generale dei Frati disse che il convento di S. Matteo era dei Frati e ai Frati sarebbe un giorno tornato. Finalmente, nel 1905 gli Amministratori di San Marco, in mancanza di altre soluzioni, pensarono bene di restituire il convento ai Frati. Questi istituirono nel convento la loro scuola di teologia, uno dei primi Lettori, o Professori, fu un frate di San Giovanni Rotondo, P. Diomede Scaramuzzi. Nel 1908 i Frati tennero a battesimo il Villaggio San Matteo, diventato poi Borgo Celano.
In questo quadro storico s’incornicia la giovinezza di P. Benedetto Nardella.
Sarebbe abbastanza agevole tessere l’elogio di un Frate Cappuccino esemplare, uomo di Dio, disponibile a tutto ciò che la Provvidenza gli pone dinanzi. Ma P. Benedetto non è un fiore solitario. Egli è veramente figlio della sua terra che legittimamente lo ha generato anche come uomo di Dio e seguace di S. Francesco.
Il piazzale antistante il convento di san Matteo.
Il piazzale antistante il convento di san Matteo.
In questo secolo magmatico, in continua evoluzione, dove i movimenti si succedevano rapidi e devastanti investendo senza apparente razionalità la società civile, la Chiesa, gli Ordini Religiosi e la popolazione, si nascondeva una profonda forza di rinnovamento cristiano. Sarebbe impresa alquanto lunga e difficile approfondire le cause, o anche semplicemente enumerarle, di questa spinta rinnovatrice che in tutta la Chiesa europea cresceva man mano che sembravano prevalere le difficoltà provocate dalle ideologie politiche. Basti dire in questa sede che protagonisti di questa ripresa erano i cristiani laici. Ridotti a nulla i religiosi, con i sacerdoti diocesani ancora tenacemente arroccati intorno a un sistema pastorale di stampo feudale che subordinava ogni azione pastorale al beneficio, non esisteva, in pratica, alcuna organizzazione capace di catechizzare o, comunque impostare una qualunque azione educativa per la gioventù e il popolo di Dio. I più attrezzati erano i laici delle confraternite, e, soprattutto gli aderenti al Terz’Ordine Francescano. Non mancavano, però, laici isolati che avevano a cuore il problema. Inoltre, anche se costretti a vivere duramente e senza guida, i cristiani laici avevano conservato un senso religioso convinto e forte, a volte anche duro, che emergeva quando era necessario. Uno di questi laici era Bernardino De Lillo, padre di famiglia e orafo.
La vita per così dire pubblica di P. Benedetto si apre col suo incontro con don Bernardino De Lillo. Don Bernardino aveva fondato un Circolo od Oratorio per la gioventù. I giovani, ricorda P. Riccardo accorrevano numerosi per il gioco, il canto, la preghiera, la formazione cristiana. Tutto ciò non è davvero poco per la seconda metà del sec. XIX e per San Marco in particolare. Devo ricordare che a quell’epoca gli Oratori di S. Giovanni Bosco erano alle prime battute, e solo nella seconda decade del secolo XX il vescovo di Foggia, Mons. Salvatore Bella, pubblicò una lettera pastorale sugli Oratori. Frutto di questa Lettera fu, dopo molto tempo, l’istituzione dell’Oratorio di S. Michele a Foggia.
Non so come funzionasse l’Oratorio di don Bernardino, né quando si estinse. Un fatto, però, è certo: il circolo era nato sull’onda dell’avvertita necessità di dare ai giovani la giusta educazione religiosa, civile e culturale. Anche l’Amministrazione comunale sentiva la responsabilità della formazione giovanile. Aveva a tale scopo istituito una sorta di Istituto di Istruzione secondaria.
P. Benedetto la frequentò con ottimi risultati proseguendo poi gli studi a Foggia fino a diciotto anni nella Scuola professionale dove mostrò indubbie qualità in campo tecnico e artistico.
Come si vede, San Marco non si limitava ad essere un paese di pecorai e abigeatari. Era un luogo dove si pensava, si progettava e si cresceva.
Ricordo, inoltre, che S. Marco aveva dato nel 1841 i natali all’illustre teologo P. Giuseppe Piccirelli, della Compagnia di Gesù. Anche lui aveva frequentato la scuola del Comune uscendone con un bagaglio di sapienza classica espressa in bel latino.
La mole del convento di san Matteo a S. Marco in Lamis, dichiarato monumento nazionale.
La mole del convento di san Matteo a S. Marco in Lamis, dichiarato monumento nazionale.
Le avventure e l’importanza culturale di P. Piccirelli sono patrimonio della storia della ricerca teologica a cavallo tra la seconda metà del sec. XIX e i primi del XX.
In questa sede mi preme sottolineare che anche P. Piccirelli ha sentito il richiamo misterioso e forte, proprio della lunga storia sammarchese, di uscire, come P. Benedetto, dagli stretti confini delle alte montagne e percorrere libero le vie del mondo. Se P. Benedetto Nardella ha scelto la via terrestre e accidentata dell’essere cappuccino, pronto ad ascoltare, a lenire ed amare, pronto a cogliere gli stimoli della fantasia e della creatività per dialogare con un mondo difficile e sempre cangiante, P. Giuseppe Piccirelli, ha scelto l’altrettanto difficile strada della ricerca teologica e del dialogo interiore, senza tuttavia abbandonare il rapporto con la realtà sammarchese. In questo senso dobbiamo interpretare il suo legame spirituale con la baronessa Isabella De Rosis e con l’Istituto delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore da lei fondato. L’Istituto di S. Giuseppe fu una delle prime case delle Suore Riparatrici che a San Marco svolsero, e svolgono tuttora preziosa opera educatrice.
P. Benedetto e P. Giuseppe Piccirelli sono accomunati nell’opera di rinascita dei rispettivi Ordini Religiosi. Persone aperte e creative, non solo non hanno subito il fascino malefico del timore dei tempi avversi in cui vivevano, ma hanno ravvisato nelle difficoltà di cui erano circondati, il terreno di coltura di un nuovo essere apostoli. Ambedue sono, anche nella storia contemporanea, due importanti punti di riferimento per i rispettivi Istituti.
Questo è il mondo il cui Giuseppe-Gerardo Nardella, poi P. Benedetto, ha trascorso la sua prima giovinezza, dove è spuntata la sua vocazione religiosa e sacerdotale. Oggi per noi sammarchesi, e per la Provincia Cappuccina di Sant’ Angelo e P. Pio, P. Benedetto è una importante figura che ci incoraggia a proseguire nonostante la tristitia temporum; egli, infatti in tempi difficili ha saputo coltivare il campo dell’apostolato e della santità il cui più bel fiore è P. Pio da Pietrelcina.
P. Mario Villani
Convento S. Matteo 29 maggio 2012