Anni fa ho scansionato il testo che vi propongo con OCR (era battuto a macchina) e lo ho controllato parola per parola. Mi è costato molto lavoro ma ne valeva la pena. |
p. Fancesco Antonio Fasani o.f.m.
Piccolo florilegio dalla sua vita
Nacque il 6 agosto del 1681 a Lucera, antica nobile decaduta, stesa fra il Subappennino e il Tavoliere a crogiolarsi al ricordo di Federico II. Già da tempo, tuttavia, il castello svevo era tutta una rovina e il nome di Federico accuratamente esorcizzato. La gente pensava a scampar la pelle e, possibilmente, anche l'anima, dribblando carestie e pestilenze, antiche povertà e soperchierie di nobilotti spocchiosi.
Il padre, Giuseppe, e la madre, Isabella della Monaca, arricchirono il bimbo di nomi e protezioni celesti. Gli imposero i nomi di Donato, Antonio, Giovanni e Niccolò, ma da tutti, fin dal primo istante, fu chiamato Giovanniello. La sua casa natale, quale conosciamo da vecchie fotografie, non era un palazzo: la porta stretta, il tetto basso, niente finestre, una pietra consunta per sedersi all'aperto.
Mio padre è uno zappatore
La povertà fu la normale dimensione di Francesco Antonio Fasani. Gli restò addosso per tutta la vita come una seconda pelle, al naturale, senza traccia di rassegnazione, né di rigurgiti rivendicatori. Qualche decennio dopo, ministro provinciale dei Conventuali pugliesi, insieme al generale dell'Ordine, salì a Vasto a far visita a Don Cesare d'Avalos, marchese di quella terra. Don Cesare, riferisce il Direttore spirituale del santo, gli fece molta accoglienza ed esibizioni. All'interrogar qual'era sua patria rispose: Son di Lucera. Soggiunse il Marchese: di Lucera? Ivi vi è gran nobiltà. Siete dunque voi uno appartenente a quel ceto? No, rispose, ma figlio di un povero zappatore.
Il certificato falso
Il figlio dello zappatore ricevette dai suoi un gran timor di Dio e il gusto delle cose sante. Bazzicò subito l'antico convento di S. Francesco. I frati gli vollero bene e lo coltivarono. A quattordici anni fece il passo. Ma quattordici anni son pochi per entrare nel noviziato dei frati. Giovanniello pensò di farli crescere invecchiando, sul certificato di battesimo, il proprio anno di nascita che così da l68l divenne 1680. L'incerta grafia dell'Archivista che gli aveva rilasciato il documento gli diede una mano, gli occhi deboli del Provinciale fecero il resto. Così Giovanniello divenne Fr. Francesco Antonio; seguì il noviziato, la professione e gli studi di teologia. Il ricordo dell'imbroglio però gli mise addosso qualche pensiero: forse la professione non è valida, forse bisognerà rifare il noviziato. Ad ogni buon conto, il suo Provinciale, d'accordo col Generale, gli fece ripetere la professione.
Trascorse l'anno di noviziato nel convento di S. Francesco a Monte Sant'Angelo; studiò filosofia e teologia a S. Lorenzo Maggiore in Napoli. Nel 1705 ad Assisi finalmente fu ordinato sacerdote. Nella patria del Poverello assorbì fino in fondo lo spirito di S. Francesco e compì le prime esperienze apostoliche. Terminò il suo curriculum formativo nello studio di S. Bonaventura ai Santi Apostoli in Roma di dove uscì col titolo di Maestro di Teologia.
Il giovane scocciatore
A soli 26 anni possedeva già la convinzione, la prudenza e la sagacia del più consumato maestro di spirito. L'Ordine francescano, al quale apparteneva, era per lui prima di tutto scuola e palestra di santità, oltre che luogo di servizio e di apostolato. La Provvidenza gli fu benigna dandogli per maestri uomini di prim'ordine come P. Francesco Pasquali, nei duri anni di apprendistato, e P. Giuseppe Antonio Marcheselli ad Assisi. Soprattutto da questi due santi religiosi apprese l'amore per la vita, per S. Francesco e per tutto ciò che essi erano e rappresentavano. Ebbe, poi, amico carissimo, suo conforto e stimolo, P. Antonio Lucci, coetaneo, compagno di studi e di cammino spirituale. II Padre Lucci fu poi vescovo di Bovino dove morì santamente come era vissuto e dove il suo ricordo è ancora una benedizione.
A Lucera il P. Francesco Antonio non trovò una situazione spirituale molto florida. Non che i frati avessero dimenticato lo spirito di S. Francesco, o dessero scandalo, ma, certo, l'aria che si respirava non era quella schietta di Assisi. Fu colpito da una certa qual sciatteria che la comunità religiosa mostrava nel dir l'Uffizio delle Ore. Fu il primo impatto con la realtà dura di una Fraternità di periferia dove a volte gli accomodamenti sembrano necessari. I suoi sforzi di ricondurre la Liturgia delle Ore alla sua dignità non furono universalmente apprezzati. Lo stesso accadde quando, qualche anno dopo, fatto Provinciale, volle ripristinare la vita della Fraternità francescana secondo la lettera e lo spirito della Regola e delle Costituzioni Urbaniane. Ipocrita, Scarambino, Collo torto, Strascina Cristo, Provinciale di Breviario furono alcuni titoli di cui fu onorato da frati pigri e indolenti che non trovarono di meglio della mormorazione e del dileggio. Fratelli, diceva, bisogna in qualche parte imitare Gesù Cristo. Che se mai riceviamo uno schiaffo, bisogna volgere l'altra guancia per ricevere l'altro.
Padre guardiano, avete una fede di ricotta
Ci volle molta fede a immaginare e fare la chiesa più solida e decorosa. Ce ne volle molta di più a portare avanti una comunità religiosa, forse non di molte pretese, ma certo di molte bocche. La comuunità era numerosa, molti erano giovani novizi. A tutti bisognava provvedere cibo, vestito, un po' di fuoco nelle giornate più fredde. La 'mensa del Signore' non fu mai avara con lui né con i suoi frati concretizzandosi nelle sue mani il miracolo promesso da Gesù a S. Francesco che, se nel mondo intero rimanessero solo due pani, uno di certo sarebbe per sfamare i frati.
Ricordo, testimonia il P. Avone, che essendo io Guardiano di questo convento poco tempo prima della morte del Ven. Servo di Dio, quando ricorreva una gran carestia, ed il prezzo del grano era molto caro, [...] si affligeva assai perché era senza denaro e senza provvista del suddetto cereale. Al vedermi così passionato: cosa avete? disse egli; Vedendo, gli risposi, la gran miseria e bisogno del convento, non saprei trovare modo e mezzo come sollevare i miei fratelli. Ah, ripigliò sorridendo, P. Guardiano, avete una fede di ricotta. Fede in Maria. Maria provvederà. E così fu, giacché il domani la Signora Duchessa di Civitella Donna Livia Candida spiccò al convento a titolo di pura limosina 18 rubbii di grano, il quale appena veduto dal Servo di Dio esclamò: 'edete, P. Guardiano, quant'opera la fede? Fede dunque, fede verso Dio, e Maria Vergine.
Io vi dò la pioggia, e voi i vestiti per i poveri
A volte la sua fede smuoveva davvero le montagne,soprattutto quelle dell'egoismo. I poveri erano la pupilla dei suoi occhi. Ad essi sacrificava non il superfluo, che nel suo convento era scarso, ma il necessario. Una volta, venendo da Alberona dove aveva predicato la Quaresima, s'imbatté in un povero, nudo e stracciato come Cristo alla colonna. Dietro un cespuglio si liberò del camicione intimo, tutto buchi e pezze, e lo diede al fratello; tornò poi in convento con la sola tonaca. Fu chiamato 'Padre dei poveri'. Per le sue mani passarono migliaia di ducati e tonnellate di vestiti e di generi alimentari tutti regolarmente smistati nelle stamberghe della città. La sua porzione di pesce o di carne, e spesso anche quella di qualche frate, finì sempre ugualmente distribuita ai poveri che affollavano quotidianamente la porta del convento. Fra i poveri elemosinanti, spesso, anche la madre Isabella e la sorella minore del santo.
Parlava chiaro onde farsi intendere
A Lucera e nei dintorni, molto di più di quella materiale, abbondava la povertà delle cose di Dio. P. Francesco Antonio fu un formidabile annunciatore del Vangelo. Le sue prediche erano quanto di più essenziale, efficace, diretto si potesse immaginare 'lungi affatto dalle Grazie e dalle Veneri della meretricante, affettata ed orpellata eloquenza', come dice uno dei suoi biografi. Osserva pienamente quanto S. Francesco dice nel Cap. IX della Regola le loro parole siano ponderate e caste a utilità e a edificatione del popolo, annunciando ai fedeli i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso poiché il Signore disse sulla terra parole brevi'. 'I pubblici suoi discorsi in chiesa, testimonia un frate al processo di beatificazione, erano familiari, chiari, e senza ornamenti, ma però succosi e compuntivi, indirizzati tutti al bene dell'anima, a penetrare il cuore degli astanti ed a muoverli a compunzionc e a tenerezza verso Gesù Sagramentato e Maria Imamacolata. Il suo amico P. Antonio Lucci aggiungeva nel predicare s'infervorava molto contro i vizi, e parlava chiaro, onde farsi intendere da tutti. Qualche volta i frutti si vedevano subito come successe nella Chiesa dei Morti. Mentre il santo parlava di Gesù Sacramentato nel terzo giorno di Carnevale, una gentildonna, nota a tutta la città per la sua vita dissoluta e per gli scandali che aveva seminato, si sentì trafiggere il cuore. Si confessò e visse poi santamente per trentadue anni nel Terz'Ordine Francescano.
Le prediche del santo erano costituite soprattutto da riflessioni sulla Sacra Scrittura. La sera, dopo aver cenato con due bicchieri di vino annacquato, e trascorso qualche ora in preghiera, si stendeva sul sacco pieno di sarmenti che fungeva da letto e studiava la Sacra Scrittura. Predicò a Campobasso, Agnone, Foggia, S. Severo, Troia, Manfredonia, Monte Sant'Angelo, Bovino, S. Marco in Lamis, S. Nicandro, Castelnuovo, Alberona, Pietra Montecorvino, Castelluccio e in molti luoghi ancora. Cosa molto rara, a quei tempi, ogni domenica spiegava al popolo le letture della messa.
Seduto sull'asino e con la mitra in testa
Per il bene delle anime non esitava a mettere in pericolo la vita e la reputazione. Un giorno venne a sapere che nel Conservatorio delle Orfane era ospite una giovane 'la più scellerata e infelice del mondo', la quale in cambio di certi abietti, miserabili vantaggi,aveva venduto l'anima al demonio. Il santo l'avvicina, tira fuori tutta la sua dolcezza e bontà, la stanca, la vince. La giovane si pente del mal fatto, si confessa. Il demonio, tuttavia, in un improvviso ritorno costringe la poveretta a ogni sorta di stranezze e cattiverie e per sua bocca lancia al santo la minaccia: 'una delle due; o abbandona quest'anima una volta per sempre, o pure muoverò tutte le pietre per farti perdere il buon nome', al che il santo rispose
se per salvare quest'anima dovessi andare colla mitria in testa (come, per divertimento del volgo, erano costretti anticamente i condannati per gravi delitti) sopra un asino per tutta Lucera, ed essere frustato, e poi strascinato a coda di cavallo, ne sarei ben contento.
Dio benedetto mi ha fatto il decreto
Morì il 29 novembre 1742, festa di tutti i Santi dell'Ordine francescano.
P. Mario Villani O.F.M.
Convento di San Matteo, 27.09.2011