La tradizione assegna al 1001 l'origine del santuario dell'Incoronata. Il conte d'Ariano, di cui non si conosce il nome, dopo una giornata di caccia, fu colto dal buio in un casolare nel folto della foresta nei pressi del fiume Cervaro. Durante la notte una luce vivissima avvolse la selva. Attrato dal chiarore, il conte giunse ai piedi di un albero dalla cui sommità una misteriosa Signora, avvolta in aura sfolgorante, gli indicava una statua poggiata fra i rami di una quercia.
Nello stesso tempo un contadino che si recava al lavoro con i suoi buoi, alla vista della Signora, capì subito di essere alla presenza della Vergine Santissima. Strazzacappa, così si chiamava il contadino, prese il paiolo che gli serviva per il magro pasto giornaliero, vi versò dal cornetto 'l'olio della mesata', e cioè tutto l'olio che avrebbe dovuto bastargli per un mese intero e, fatto un rozzo stoppino, l'accese in onore della Madonna.
I canti popolari in seguito inneggiarono a Strazzacappa e alla sua sublime generosità in onore della Madonna. Il suo omaggio restò per sempre, come il povero obolo della vedova evangelica, simbolo del Santuario e segno di una fede che tutto dona al Signore e che dal Signore tutto riceve. A questi sentimenti s'ispira la bellissima preghiera che i pellegrini di Ripabottoni tuttora rivolgono alla Madonna Incoronata:

vi preghiamo d'ungere il nostro proprio animo con quell'olio che il semplice campagnuolo volgarmente detto Strazzacappa mise ad ardere a voi sull'albero. Percio fate che nell'anima nostra non manca mai l'olio della fede, l'unzione della ferma speranza e la fiamma della santa carita.

Il nobile conte di Ariano fece costruire una cappella che poi divenne un Santuario famoso.
La chiesina fu affidata a un romito, ma le comitive di villani e di pastori, sempre più numerose, e soprattutto i pellegrini che passavano diretti al grande Santuario dell'Arcangelo Michele a Monte Sant'Angelo, ne consigliarono l'ampliamento.
La nuova chiesa fu affidata ai monaci Basiliani, che la tennero fino al 1139. In quella data il normanno Ruggero II la donò a San Guglielmo da Vercelli che aveva da poco fondato il monastero di Montevergine sulla montagna del Partenio presso Avellino. Il santo vi rimase fino alla morte avvenuta nel 1142 nel monastero di Goleto.

Non vi sono documenti che illustrino questo passaggio. E' probabile che l'allontanamento dei monaci Basiliani di rito greco e l'insediamento dei benedettini virginiani sia da interpretare nell'ambito della politica di latinizzazione di tutte le realtà ecclesiastiche che i Normanni, dopo essersi riappacificati col Papa perseguivano tenacemente.
Con la donazione di Ruggero II a San Guglielmo da Vercelli, il santuario dell'Incoronata esce dalla piccola e angusta, anche se gloriosa, storia religiosa della Capitanata per entrare in un movimento religioso di vasto respiro che, iniziato a Cluny nel cuore della Francia nel sec. X, aveva riempito di nuovi fermenti tutta l'Europa. Dopo il torpore del "secolo oscuro", la Chiesa aveva imboccato il difficile cammino della restaurazione svegliando le sue energie nascoste. E' il tempo di S. Gregorio VII, di Matilde di Canossa e di S. Bernardo.
Nella nostra Capitanata quest'ansia rinnovatrice era stata portata nel sec. XII dai santi Guglielmo da Vercelli e Giovanni da Matera.
La storia ci narra le loro peripezie e di come, dopo lungo cercare, abbiano finalmente trovato, intorno al Gargano e alla Capitanata, il luogo della loro pace. Guglielmo da Vercelli, dopo aver dimorato a lungo presso la Grotta dell'Arcangelo a Monte Sant'Angelo, fondò il monastero di Montevergine e, infine, nel 1139, si ritirò all'Incoronata di Foggia per vivere in solitudine con pochi compagni e dedicarsi all'apostolato fra i contadini dauni e i pastori abruzzesi.
Giovanni da Matera, amico e discepolo di Guglielmo, dopo molte esperienze, finalmente trovò la sua dimora nell'antico e ormai abbandonato monastero di S. Gregorio a Pulsano, nei pressi di Monte Sant'Angelo, ribattezzato 'Santa Maria di Pulsano'. I monasteri fondati dai due santi hanno avuto una parte non piccola nella storia civile e religiosa della Capitanata e del Mezzogiorno d'Italia.
A questo punto è da ricordare anche il beato Giovanni da Tufara fondatore dell'abbazia di S. Maria del Gualdo a Mazzocca presso Foiano di Val Fortore, contemporaneo dei due santi di cui si è fatto cenno, il quale, avendo in comune con loro molta parte dell'esperienza religiosa, percorse a lungo le aspre balze del Gargano alla ricerca di un luogo dove vivere in povertà prima di scegliere la solitaria pace della Valle Fortore.
Tra gli studiosi va sempre più prendendo piede l'opinione che Giovanni da Matera e il suo maestro Guglielmo da Vercelli, anche se sono da considerare rappresentanti di quella rinascita che da Cluny si irradiò per tutta l'Europa, purtuttavia hanno provocato il superamento dell'impostazione eminentemente monastica dei cluniacensi con il forte impegno pastorale assunto come dimensione abituale della vita religiosa.
Per questo motivo i pulsanesi preannunciano la nascita degli ordini mendicanti. Anzi, secondo alcuni, l'ordine pulsanese è quello che più da vicino prefigura la spiritualità francescana.
E' probabile che in questo periodo si sia consolidato il rapporto fra il santuario dell'Incoronata con quello di San Michele sul Gargano. I Normanni, cavalieri infaticabili, grandi camminatori, diedero forte impulso ai pellegrinaggi inserendo nei grandi percorsi europei diretti al Monte Gargano anche il piccolo ma già importante monastero benedettino dell'Incoronata.
E' da considerare, inoltre che, poiché il monastero di Montevergine era la casa madre di un rilevante numero di monasteri dislocati in molte regioni del Mezzogiorno, l'Incoronata si trovò a far parte di una organizzazione monastica di vasto respiro, che permettendo un notevole scambio culturale, oltre che di beni e di energie, consentiva al neonato monastero di usufruire di un complesso umano e religioso di grande forza ideale, oltre che di notevoli potenzialità progettuali e organizzative.
Per questi motivi l'Incoronata crebbe rapidamente fino a diventare abbazia autonoma già nel 1143, tre anni dopo la sua fondazione, sebbene fosse rimasta legata alla casa madre di Montevergine. Sei anni dopo, nel 1149, il monastero scoppiava di salute, tanto che l'abate Pietro poté trasferire al monastero femminile del Goleto ben 74 monaci, di cui 12 sacerdoti e 62 coristi perché attendessero alle necessità spirituali e materiali delle monache. Nel frattempo crescevano i possessi fondiari. Iniziarono a manifestarsi anche le prime insofferenze verso la scomoda dipendenza dalla casa madre di Montevergine. Ci furono tentativi di ribellione che vennero sedati con maniere forti nel 1228 dal papa Gregorio IX.
I malumori cessarono quando, verso il 1230, con il consenso del papa Gregorio IX il monastero passò, con tutti i suoi monaci, ai cistercensi.
Questo ordine monastico, derivato anch'esso, come i monaci dell'Incoronata, dal grande albero dell'Ordine Benedettino, erano in piena espansione. Nel corso del secolo XIII e nella prima metà del XIV completeranno l'assunzione di tutte le maggiori abbazie della Capitanata, da quella delle Tremiti, a quella di Ripalta vicino Lesina, a San Giovanni in Lamis, attuale convento di San Matteo a San Marco in Lamis.
I Cistercensi rifecero la Chiesa e costruirono un ampio monastero. Austeri e contemplativi, lavoratori infaticabili, diedero forte impulso al santuario favorendo tra le popolazioni la devozione alla Madonna sulla scia spirituale del loro confratello più importante e noto, San Bernardo di Chiaravalle, chiamato doctor mellifluus, grande cantore di Maria.
Secondo il loro stile di vita coltivavano la terra, bonificavano le zone paludose. Fu questo probabilmente il periodo più attivo, prima del 1950, della lunga vita del santuario dell'Incoronata. Con i cistercensi il santuario consolidò la sua presenza benefica tra le popolazioni daune e i pastori abruzzesi con una più esperta e puntuale attività pastorale che comprendeva, oltre che l'assistenza religiosa, anche l'assistenza materiale in caso di malattie, soprattutto della malaria che infestava larghe zone del Tavoliere. Il rapporto profondo e consolidato con i pastori abruzzesi favorì l'estensione del culto della vergine Incoronata fino al lontano Abruzzo.
Probabilmente in questa temperie di forte ripresa religiosa e civile si ascrive la tradizione, che sembra molto fondata, della breve permanenza nel 1295 di San Pietro da Morrone che da poco si era dimesso, com'è noto, dall'ufficio di Sommo Pontefice, capo supremo della Chiesa Cattolica che aveva retto col nome di Celestino V.
Verso la metà del sec. XVI l'amministrazione del monastero fu affidata a dignitari ecclesiastici, chiamati Abati Commendatari, di cui solo di alcuni è stato conservato il nome. Quello della Commenda è un istituto che ha interessato la maggior parte dei monasteri non solo italiani ma anche francesi e tedeschi. Sulla carta il monastero continuava ad essere dell'Ordine che l'aveva fondato o che attualmente lo deteneva. In pratica il Commendatario dirigeva il tutto e teneva i cordoni della borsa. In questo periodo i cistercensi sparirono dalla scena.
L'istituto della Commenda provocò nel Santuario dell'Incoronata una innaturale ed esiziale scissione tra i responsabili della pastorale dei pellegrini, incaricati del culto, della catechesi, dell'assistenza morale e materiale e i responsabili dell'amministrazione economica. In pratica i responsabili dell'amministrazione economica erano anche i titolari delle rendite col solo obbligo di provvedere alle necessità del culto e alle spese per l'assistenza dei pellegrini.
Non tutti gli Abati Commendatari giocarono al risparmio, alcuni, per es. il Cardinale Colonna, Commendatario dal 1756 al 1770, s'interessò assiduamente dell'arricchimento di arredi liturgici, della qualificazione dei cappellani, del decoro della chiesa e dei pellegrini coinvolgendo spesso anche lo stesso Vescovo di Troia nella cui diocesi ricadeva il Santuario. Il tono generale instaurato dal regime degli Abati Commendatari nel santuario, tuttavia, era di grande sciatteria religiosa e organizzativa, unita al sostanziale disinteresse per l'edificio e all'incapacità di capire un movimento importante e difficile come quello dei pellegrini, considerati il più delle volte come pura e semplice fonte di risorse economiche.
Di questo periodo si sono conservati preziosi documenti prodotti dai Vescovi, dalle Congregazioni Romane e dagli stessi Abati Commendatari. Questi documenti sembrano un lungo catalogo di disgrazie. Fa molta tristezza leggere, per esempio, alcuni brani della Relazione della Visita Pastorale effettuata da mons. Marco De Simone nel giugno del 1759: 'Rinnovò il decreto che si curino alcune tende, entro quindici giorni, e che si appendano davanti alla porta della Chiesa per impedire l'ingresso alle rondini a che vivano dentro la Chiesa e vi pernottino... Ordinò che per soddisfare la devozione dei fedeli esponga a loro richiesta, alla pubblica devozione, la Icona della B. Maria Vergine, affinché non appaia una sordida macchia di simonia esporla soltanto a richiesta di chi offre fiori per le litanie, sotto pena di sospensione incorrenda del Rettore'.
D'altra parte questi documenti sono preziosi perché documentano, attraverso le frequenti menzioni delle elemosine delle Messe, delle offerte, degli ex voto in oro e argento, un rapporto profondo, di antica data con un popolo devoto proveniente dalle plaghe più disparate che il disinteresse dei responsabili non riusciva a distaccare dalla loro Madonna nera seduta sull'albero, la Vergine Madre di Dio dagli angeli Incoronata.
Il sec. XIX fu il periodo più nero per il nostro Santuario in cui si consolidarono le tendenze di forte decadenza dovute soprattutto alla cattiva gestione delle risorse economiche, frutto dei contributi dei fedeli. Il secolo iniziò con l'occupazione francese del Regno di Napoli. Giuseppe Bonaparte, fra gli altri provvedimenti emanati nei riguardi degli Enti ecclesiastici, provvide ad abolire molti conventi fra cui il monastero dell'Incoronata. Le rendite vennero confiscate e attribuite ad enti pubblici di assistenza. Le molte migliaia di ducati di offerte libere furono in seguito destinate all'Ospedale cittadino, insieme al ricavato della vendita della maggior parte degli ex voto di oro e di argento, mentre le elemosine delle messe venivano drasticamente decurtate. Il risultato fu che i pellegrini, come nota una lettera inviata nel 1861 dal Rettore Giacinto Nigri al Vescovo di Foggia mons. Bernardino Maria Frascolla, cominciarono diminuire; chi andava, poi, decurtava drasticamente le offerte al santuario facendo preoccupare non poco gli amministratori pubblici.
Nel frattempo anche la qualità religiosa della frequentazione del santuario era fortemente decaduta. I pellegrini, come si sa, sono una inesauribile fonte di reddito non solo per albergatori e venditori di ricordini, ma anche , qualche volta per operatori di mestieri dubbi e sospetti. La sciatteria vigente al santuario dell'Incoronata favoriva atteggiamenti disinvolti, apertamente contrari alla sacralità del luogo e addirittura scandalosi. I Vescovi di Troia, prima, e quelli di Foggia poi, fino alla fine del secolo XIX, protestarono, raccomandarono, condannarono, ma tutto fu inutile.
Poi vennero tempi nuovi. I primi decenni del secolo XX videro l'opera solerte dei vescovi e di alcuni amministratori cittadini particolarmente solleciti della sorte dell'antichissimo Santuario; fra questi sono da ricordare Alberto Perrone e Gaetano Postiglione ambedue sindaci di Foggia.