Le tavolette votive rappresentano solo una parte della complessa problematica degli ex voto e s’inseriscono, con caratteristiche e ruoli propri, tra gli ex voto di ringraziamento.
Fortemente ancorate al territorio e alle evoluzioni della sua storia sociale, economica e religiosa, politica e culturale, le tavolette offrono la possibilità di una lettura a vastissimo raggio che, partendo dal dato religioso, investe il campo dell’arte, dell’antropologia e della storia in generale.
Altra caratteristica delle tavolette dipinte è il loro linguaggio enfatico e ridondante che tende a sottolineare la gravità del pericolo corso dal protagonista.
In questa sede mi preme sottolineare di esse solo alcuni aspetti il cui approfondimento può consentire una lettura più completa ed equilibrata.
La tavoletta votiva: un atto pubblico
La caratteristica fondamentale delle tavolette votive dipinte è che sono destinate ad essere pubblicamente lette e proclamate sulla scorta di quanto dice il libro di Tobia:
Allora Raffaele li chiamò tutti e due in disparte e disse loro: 'Benedite Dio e proclamate davanti a tutti i viventi il bene che vi ha fatto, perché sia benedetto e celebrato il suo nome. Fate conoscere a tutti gli uomini le opere de Dio, com’è giusto, e non trascurate di ringraziarlo. E bene tenere nascosto il segreto del re, ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio (Tb 12, 6-7).
Il miracolato nel piccolo dipinto è rappresentato mentre vive un momento unico della sua vita, di enorme importanza in cui, posto sull’orlo del baratro, già consegnato alla morte, ne è stato ritratto da insperata mano provvidenziale. La volontà di proclamare, di far conoscere al mondo di essere stati oggetto di una grazia straordinaria è l’intenzione della tavoletta votiva. La tavoletta è, quindi, un atto pubblico. Il pittore è assimilato al notaio che con la sua arte rende pubblicamente intelligibile, garantendone nel contempo la verità, quanto accaduto in un zona riservata dell’esistenza, sia che questa si collochi nel segreto delle mura domestiche, o sulla strada pubblica, o in un ospedale.
In questo la piccola tavoletta che racconta ingenuamente fatti e segreti, è stretta parente delle grandi chiese erette per ricordare nei secoli i benefici ricevuti in momenti particolarmente drammatici della vita di una città o di una comunità. Tra le più famose le monumentali basiliche della Salute a Venezia costruita da Baldassarre Longhena in scioglimento del voto del Doge Nicoletto Contarini in occasione della grande pestilenza del 1630, o quella di Superga a Torino voluta dal Principe Amedeo II di Savoia ed edificata da Filippo Juvarra in ringraziamento per la vittoria sui francesi del 7 settembre 1706. Ricordo anche il bel San Michele che domina la città di Roma dall’alto della mole adriana che ricorda al mondo come la città, decimata dalla peste, sia stata liberata dall’Arcangelo.
La tavoletta votiva si pone, quindi, in perfetta consonanza di intenzioni, anche se con un linguaggio tutto suo, nell’essenza stessa dell’evangelizzazione, nell’annuncio della buona novella, di quel messaggio della salvezza che, ascoltato in segreto, deve essere proclamato dai tetti. Il devoto sente il bisogno di raccontare, di mettere a disposizione della chiesa intera la sua esperienza, come il cieco nato e la Samaritana del Vangelo di Giovanni sentirono l’irrefrenabile bisogno di confessare e di confessarsi e proclamare pubblicamente il gratuito intervento del Salvatore che ha provocato il cambiamento radicale della loro vita.
La vita in un attimo, il tempo ristretto delle tavolette votive.
La maggior parte delle tavolette votive descrivono incidenti: stradali, di lavoro, di casa, del mondo contadino, con animali, carretti ecc. L’incidente è costituito dal sorgere improvviso e imprevedibile di un elemento che provoca il passaggio repentino da uno stato di quiete, di equilibrio fisico e psicologico, di tranquillo scorrere del tempo, a condizione nuova in cui tutto è fluido, in movimento, e senza che questo movimento sia razionalmente controllabile.
L’ex voto documenta il momento stesso in cui il dramma si consuma; l’attimo in cui il mondo esplode e la persona diventa pura fisicità soggetta ad altre leggi.
L’assenza di consapevolezza è totale. L’evento assorbe lo spazio, il tempo, l’essere della persona in un turbinio vorticoso, compresso in pochi istanti, che cambia radicalmente la vita, dopo il quale niente più è possibile di quanto fosse un attimo prima. E’ l’imprevisto e l’imprevedibile che azzera tutto, ciò che si è e ciò che si ha, abilità e ricchezze, insieme al complesso delle relazioni, di affetti e di interessi. La persona che, tranquilla, percorre la sua strada, o attende al suo lavoro, o é immersa nel quieto scorrere della vita quotidiana, circondata da affetti e relazioni stabili e conosciute, d’improvviso non ha più contatti con se stessa, perde la percezione del fluire della vita. Non è in grado di compiere azioni nè reazioni. Il tempo che sta vivendo è talmente ristretto e compresso che non gli è consentito di chiedere o desiderare un aiuto.
Credo che l’essenza della tavoletta votiva sia proprio qui. Il santo è presente all’evento, come sono presenti i parenti, gli amici, i colleghi della vittima: ritratti con le braccia alzate, del tutto impreparati, protestano la loro impotenza, meravigliati e sgomenti incapaci di capire. L’intervento del Santo è contemporaneo, intrinseco all’evento stesso. Il Santo scende nelle vicende umane, è partecipe e protagonista anche lui, interviene dall’interno dell’avvenimento cambiandone il naturale esito.
Dorotino Matteo nato il 4 aprile 1939 a Manfredonia nell’offrire al San Matteo vuole ricordare con devozione al Santo il giorno 16 ottobre 1970 giorno in cui si accasciò su di lui la tremenda sciagura: mentre rincasava con l’auto finisce contro la murata di pietre capovolgendosi più volte sulla strada ne esce illeso. (N. 190)
L’intervento di Dio attraverso i suoi santi non è provocato da un gemito o da un’invocazione, non deriva da una promessa, non è frutto di impietosimento. È gratuito, come gratuito e imprevisto è l’incidente occorso. Alcune tavolette votive esprimono esplicitamente e con grande chiarezza questo fatto. La n. 414 raffigura un incidente occorso a due persone che a bordo di un calesse percorrono una strada di montagna. Arrivati a un ponticello su un profondo canale in fondo al quale scorre un torrente, il cavallo per cause sconosciute scavalca la spalletta e precipita nel vuoto trascinandosi il calesse. Il calesse resta ancorato alla spalletta del ponticello col cavallo a mezz’aria appeso ai finimenti. I due passeggeri a capofitto sono giunti quasi sul fondo, dove San Matteo li aspetta con le braccia aperte.
L’ex voto n. 157 raffigura una scena di violenza brigantesca. Un’automobile percorre una strada solitaria. All’improvviso è incrociata da una banda di briganti armati di fucili e bastoni. I passeggeri guardano spaventati. Poi un lampo abbaglia i malviventi. La Madonna Addolorata, col petto trafitto dalle sette spade, s’interpone; gli assalitori alzano le braccia in gesto di meravigliato terrore.
La tavoletta n. 457 narra di una bimba, già pronta per la scuola, col grembiulino e la cartella a tracolla, che cade dal secondo piano. La bimba vola a testa in giù verso l’impiantito, dal basso le sale incontro con le ali aperte l’Angelo Custode.
De profundis clamavi ad te, Domine: l’ex voto e l’inizio di una nuova vita.
Il momento della consegna della tavoletta votiva agli addetti del Santuario segna, il più delle volte, anche una nuova fase della vita del miracolato: quella della riscoperta di Dio nella propria vita.
Appena accaduto l’evento, la persona si ritrova sola, nuda e impotente in una povertà assoluta e senza speranza. Questo ‘ritrovarsi’, benché doloroso e sconvolgente, è tuttavia il primo momento positivo: è il primo attimo di coscienza dopo che l’evento l’ha scaraventata in un mondo sconosciuto. Ora, riacquistato un nuovo scomodo equilibrio, la persona è in grado di percepire i dolori, di far l’inventario dei danni, di guardare se l’abisso in cui è caduta offre qualche via di uscita, se esiste da qualche parte un aiuto su cui fare affidamento.
È il momento in cui si ristabiliscono le relazioni. Il disgraziato si scopre solo, nudo e impotente di fronte agli eventi. Intanto si ritrova vivo, e questo è già un guadagno. Scopre, parimenti, di avere una forza nascosta, di riserva: è la forza di chiedere, di invocare, di rivolgersi almeno col pensiero a qualcuno che può molto più degli eventi. Questo è il momento dell’invocazione, a cui segue quello del ringraziamento. Nell’abisso del pozzo fiducioso invocai il tuo nome o San Matteo. Tu mi salvasti. A te la mia riconoscenza e la mia fede eterna. Così recita l’iscrizione della tavoletta n. 240. Non solo i sentimenti sono descritti, ma anche la situazione fisica dell’interessato, finito insieme ad un compagno in fondo a un pozzo. Le alte murate e la solitudine del sito sembrano precludere ogni via di scampo. Non si può non notare in questa iscrizione il riferimento non velato, addirittura una parentela letterale, col Salmo 130 De profundis clamavi ad te, Domine; la profondità del pozzo è l’estrema condizione dell’uomo, rimasto senza ricchezze, né orpelli, né possibilità alcuna. Ha perso tutto, gli è rimasta solo la vita, ma questa sembra priva di ogni possibilità razionale. Tutto intorno al povero disgraziato è stato eretto un alto muro che non gli lascia scampo; la riacquistata coscienza acuisce il dolore; incombono l’ottusità della mente, l’insensata ribellione e la disperazione. La condizione umana non può essere più bassa. Poi l’estrema debolezza diventa forza di ringraziare per la vita preservata, forza di chiedere aiuto a Dio. L’unica speranza è ritornare nel seno materno dove in tutto fummo dipendenti dalla disponibilità e dall’amore degli altri, riacquisire la coscienza della propria piccolezza, tendere la mano: Nell’abisso del pozzo fiducioso invocai il tuo nome o San Matteo.
La tavoletta votiva, così letta, diventa un’icona della vita, soprattutto quando il degrado spirituale fa scadere l’uomo a livelli infimi di ottusità mentale, di indifferenza al bene e al male, e di disperazione non avvertita. Lo stato di incoscienza, come negli incidenti, può durare a lungo. Poi arriva il momento in cui la fede illumina l’esistenza umana e le rivela il suo vero stato. Ma questo è già il primo gradino di un nuovo esistere in cui si realizza il rinnovato desiderio di vivere: è il tempo della Grazia che dona il pius credulitatis affectus, primo lampo di vita a cui segue, ineludibile, il bisogno di consolidare questo barlume di nuova esistenza, di risalire dall’abisso del pozzo.
Tornano alla mente le terzine del primo canto dell’Inferno in cui Dante narra di quel primo momento di consapevolezza (mi ritrovai) dopo che il mentis somnum (San Ambrogio, Aeterne rerum conditor, inno delle Lodi di domenica) lo ha portato a un lungo insensato vagare nella selva oscura (io non so ben ridir com’io v’entrai: tant’era pieno di sonno a quel punto che la verace via abbandonai). Quel primo momento di coscienza gli chiarisce subito la gravità della situazione, la pesantezza del rapporto ricattatorio che subisce da esta selva selvaggia e aspra e forte dalla quale è imprigionato e soffocato, dove è vissuto a lungo, ma da cui ora, se non fisicamente, è spiritualmente tanto lontano che il suo stesso ricordo gli è fonte di terrore, nel pensier rinnova la paura. Tant’è amara che poco è più morte. (Nota)
p. Mario Villani
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